I tifosi dell'Inter e Palacio. Esultanza dopo il gol dell'1-0 di Inter - Carpi

Il dramma del tifoso dell'Inter: imporre la post verità con la moviola giudiziaria

Claudio Cerasa

Il supporter interista ha smesso di guardare il mondo con occhi sinceri, ha creato una realtà e accettato di diventare il prototipo del grillino perfetto

Lo confesso. Sono un tifoso interista. Seguo l’Inter da quando avevo sei anni. Ho sognato con Ronaldo. Ho goduto con Mourinho. Ho sbattuto più volte la testa al muro vedendo correre sulle fasce delle più improbabili formazioni guidate dai Gigi Simoni e dagli Héctor Cúper i vari Gresko, Macellari, Centofanti, Cirillo, Coco, Fresi, Wome. Ho pianto, come tutti, per l’unico 5 maggio che conta nella vita degli interisti: non quello cantato da Alessandro Manzoni, che chissenefrega, ma quello dei disastri di Gresko e Di Biagio. Era il 2002, l’anno di quel 5 maggio, e le ragioni del perché l’Inter perdeva (e perde) valevano ieri e valgono anche oggi: l’Inter non vinceva (e non vince) non per colpa degli arbitri o di Luciano Moggi o di Totò Riina o della P4 ma perché gli avversari, e in particolare la Juventus, segnavano e segnano di più, giocavano e giocano meglio, sbagliavano e sbagliano di meno.

 

Eppure, dal 2002 a oggi, il tifoso interista, ancora scioccato forse da quel maledetto 5 maggio, ha smesso di guardare il mondo con occhi sinceri e ha creato una realtà virtuale all’interno della quale ha accettato di diventare il prototipo del grillino perfetto, scaricando le proprie incapacità sul sistema corrotto, delegittimando gli arbitri per nascondere i propri difetti e cercando infine di cavalcare, con la complicità dei giornali della buona borghesia calcistica da tempo specializzati nell’alimentare su ogni fronte gli istinti anti casta, una penosa via giudiziaria per la risoluzione dei conflitti calcistici. Le notizie degli ultimi giorni – con ampia e documentata e ridicola polemica sui presunti errori commessi dall’arbitro Rizzoli durante la partita vinta domenica scorsa dalla Juventus sull’Inter per 1-0 – sono soltanto la coda di un problema più grande che affonda le radici in un momento preciso della nostra vita calcistica: quando, nel 2006, venne istruito un processo farsa contro la Juventus, in cui tutte le frustrazioni degli anti casta del calcio italiano vennero prima abilmente trasformate in illeciti sportivi e poi amabilmente trasferite in forma di gogna in tutti i talk-show.

Fu in quel preciso momento che il tifoso medio interista – che grazie al supporto decisivo di un interista piazzato al vertice della Federazione Italiana Giuoco Calcio (Guido Rossi) dopo il caso Calciopoli riuscì a vincere un campionato a tavolino (2005/2006) e uno successivo nell’anno in cui la Juventus fu mandata in B (2006/2007) –  scelse di alimentare il circo mediatico sportivo portando in prima serata e sulle prime pagine dei giornali le chiacchiere da bar, facendole uscire dai confini delle serate con Aldo Biscardi con lo stesso effetto che si avrebbe oggi se in prima serata venissero riproposte le telefonate registrate senza filtri da Radio Radicale ai tempi di Radio Parolaccia. Il tempo passa ma le modalità del processo sono le stesse che osserviamo oggi anche in altri ambiti.

E l’idea che sia legittimo sconfiggere il nemico per via giudiziaria puntando sulla post verità è ormai un dato assodato della nostra vita non solo sportiva. Ed è un dato che prescinde da ogni giudizio di merito. La Juve gioca meglio dell’Inter? La colpa è dell’arbitro che non ha visto un rigore. La Juve vince più scudetti dell’Inter? La colpa è delle sim di Moggi e non dei Buffon, Cannavaro, Zambrotta, Emerson, Del Piero, Camoranesi e Vieira che valevano più dell’Inter degli Zé Maria, Adriano, Burdisso, Favalli e Kily González. Naturalmente, il tifoso medio dell’Inter non è l’unico a cui può essere affibbiata la spilletta del moralista.

 

Ma a differenza degli altri, l’interista ha la particolarità unica di essere il punto di intersezione perfetto tra la frustrazione del popolo (la Curva Nord) e l’indignazione della borghesia (la Gazzetta dello Sport). E fino a quando il tifoso interista non avrà uno scatto d’orgoglio – e non organizzerà un bel vDay contro gli ultras frignoni pronti a sventolare allo stadio fazzoletti bianchi sognando di vincere scudetti con Guido Rossi e la moviola – continuerà ad alimentare un sistema perverso in cui sguazzano gli Ingroia e in cui verrà considerato sempre legittimo il tentativo di imporre la propria post verità per via giudiziaria. Vale nel calcio, vale nel resto. Qui siamo pronti a reagire, e voi?

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.