Roberta Vinci ha battuto la numero 1 al mondo, Serena Williams, e giocherà la finale contro un'altra italiana, l'amica Flavia Pennetta (LaPresse)

Vinci-Pennetta in finale agli Us Open

Stanotte New York è italiana, l'Età dell'Oro del nostro tennis continua

Stefano Priarone
Se sei l’allenatore-guru-compagno (a volte ex, a volte in carica) della tennista numero uno al mondo, favoritissima per essere la quarta nella storia a fare il Grande Slam forse è meglio che non sfidi la scaramanzia mettendo il cappellino di Giovanni da Verrazzano quando la tua giocatrice affronta un’italiana. Ieri Patrick Mouratoglu guardava la sua Serena Williams affrontare la tarantina Roberta Vinci con in testa il berretto dell’esploratore italiano al quale è dedicato l’omonimo ponte che congiunge Staten Island e Brooklyn.

Se sei l’allenatore-guru-compagno (a volte ex, a volte in carica) della tennista numero uno al mondo, favoritissima per essere la quarta nella storia a fare il Grande Slam forse è meglio che non sfidi la scaramanzia mettendo il cappellino di Giovanni da Verrazzano quando la tua giocatrice affronta un’italiana. Ieri Patrick Mouratoglu guardava la sua Serena Williams affrontare la tarantina Roberta Vinci con in testa il berretto dell’esploratore italiano al quale è dedicato l’omonimo ponte che congiunge Staten Island e Brooklyn.

 

E  Vinci, classe 1983, ex numero 11 al mondo in singolare e vincitrice di cinque slam in doppio, mentre giocava la semifinale dello US Open sembrava un po’ come l’esploratore toscano, il primo europeo a raggiungere, nel Cinquecento, la zona dove sarebbe sorta New York, ma a lungo ignorato dagli americani i quali gli hanno sempre preferito l’inglese Henry Hudson, che però viaggiò in quei lidi soltanto nel 1609.

 

I precedenti erano quattro a zero per Serena (che peraltro ha precedenti positivi con tutte o quasi le sue avversarie), Vinci sarebbe stata un ostacolo trascurabile, una vittima designata nella sua corsa verso il Grande Slam, vincere i quattro major (Australian Open, Roland Garros, Wimbledon, US Open a Flushing Meadows) nello stesso anno solare, impresa riuscita soltanto a tre tenniste nella storia, l’americana Maureen “Little Mo” Connolly nel 1953, l’australiana Margaret Court nel 1970 e la tedesca Steffi Graf, l’attuale signora Agassi nel 1988. Williams si era  aggiudicata i primi tre e ne aveva vinti quattro di fila (anche lo US Open dell’anno scorso), facendo quello che lei chiama il “Serena Slam”, il secondo dopo quello del 2002-2003.

 

Serena ha vinto facile il primo set 6-2, ma poi Roberta con il suo slice, le sue palle basse e sporche condite da accelerazioni improvvise ha mandato fuori di testa la numero uno al mondo, già di per se tesa per il possibile Grande Slam che la avrebbe consacrata come la probabile “migliore di sempre”.

 

Ha perso il secondo set 6-4 si è portata in vantaggio 2-0 e 40-30, poteva prendere il largo ma Vinci è riuscita non si sa come a rispondere a una prima della miglior servitrice del circuito, e le ha strappato al battuta. Da lì in poi l’inerzia del match è andata in favore della tarantina, che giocava senza pressione, “in the zone” (persino una demi volèe di rovescio a due mani), mentre i fantasmi della sconfitta, del maledetto Grande Slam che le sfuggiva dopo essere stato vicinissimo affollavano la mente di Serena, che ha perso il set decisivo 6-4.

 

Due ore prima altra clamorosa sorpresa, seppure leggermente minore (i precedenti erano 3-1 per l’azzurra anche le sue vittorie erano vecchiotte), la brindisina Flavia Pennetta aveva distrutto (6-1 6-3) la numero due al mondo, la romena Simona Halep.

Sull’Arthur Ashe Stadium si è assistito a una delle più grandi sorprese nella storia del tennis: due under dog che battono in semifinale in uno Slam le due favorite, per la gioia di chi ha scommesso loro favore (le vittorie di Vinci e Pennetta erano date rispettivamente a 8 e a 3,50). 

 

Ieri è stata  la più grande giornata nella storia del tennis italiano, e forse una della più importanti dello sport azzurro in assoluto: mai c’erano stati due giocatori (uomini o donne) in finale in uno Slam, ed è pure il primo US Open azzurro, prima di allora avevamo vinto solo il Roland Garros (con Nicola Pietrangeli – due volte – Adriano Panatta e fra le donne Francesca Schiavone). 

 

Stasera quindi lo Us Open sarà italiano (fra l’altro le due sono della stessa regione, la Puglia): forse Pennetta, classe 1982, lo meriterebbe di più, è stata la prima italiana (nel 2009) a entrare fra le prime dieci, ha giocato a lungo ad alti livelli, è riuscita, a oltre trent’anni, a venire a capo di un infortunio al polso che la aveva costretta a operarsi. Ma sarebbe bella anche una vittoria di Vinci, considerata, a torto, solamente una forte doppista (giocava – e vinceva – con Sara Errani, poi la coppia, come a volte succede nel tennis femminile, è scoppiata).

 

[**Video_box_2**]Nessuno di coloro i quali vivono nell'Età dell'Oro ne è consapevole, tutti rimpiangono il passato: perfino il romano Catone il censore rimpiangeva la Roma del 600 avanti Cristo. Eppure le età del'oro esistono: e noi da anni stiamo vivendo l'Età dell'Oro del tennis italiano. Non tanto per gli uomini, anche se Fabio Fognini (compagno di Flavia che a Flushing Meadows ha battuto Rafa Nadal) e Andreas Seppi fanno la loro parte, quanto per le donne, le migliori della storia, fra vittorie in Federation Cup, la Davis femminile (ben quattro), piazzamenti e vittorie negli Slam (Schiavone che vince il Roland Garros nel 2010 e nel 2011 fa finale, Errani finalista nel 2011), tornei Slam di doppio. Stasera, pioggia permettendo che potrebbe far slittare la finale a domani, sull'Ashe Stadium verrà reso omaggio a un movimento che è forte da un decennio, con ragazze dal fisico tipicamente italico che si misurano, spesso con successo, con amazzoni di 10-20 centimetri più alte e di 10-15 chili più pesanti.  

 

Certo, si potrebbe anche dire che  due ultratrentenni per la prima volta in finale in un major, come anche il dominio di Serena, che ha sfiorato il Grande Slam a quasi trentaquattro anni, siano fra i sintomi della grande crisi di ricambio per il tennis femminile, meno di un mese fa al torneo di Cincinnati Vinci ha lasciato solo un game alla canadese Eugenie Bouchard, classe 1994, considerata tra le tenniste emergenti.

 

Ma non sono considerazioni da fare adesso. Stanotte, come cinquecento anni fa con Giovanni da Verrazzano, stanotte New York è italiana.

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