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La tendenza

Per i giovani il lavoro è come un videogame: alla ricerca sempre di condizioni migliori

Ester Viola

I nuovi assunti durano poco. La media è restare quattro mesi, cinque, poi dimettersi. Così la soluzione dell’impiegato è diventata quella del capitalista: migliorare l’indotto come questione di vita o di morte. E non importa nulla di tutto il resto

Giovani lavoratori. Carne fresca per il macello, le nuove leve, il futuro della nazione. Mi spiace per loro perché sono pochi, ma restano i pagatori delle pensioni che verranno, come noi paghiamo le pensioni dei padri, e così nei secoli, amen.

Gioventù, dicevamo. Come se la passano, che vogliono, che ambizioni hanno? Al momento i dispacci dicono questo: ci telefonano dalle aziende, medie e più o meno grandi, e pare abbiano tutti lo stesso problema. Se ne vanno. Come facciamo a trattenerli? 

Trattenerli chi? I nuovi. I nuovi assunti durano poco. La media è restare quattro mesi, cinque, poi dimettersi - ci riferiscono. Eppure parevano contenti. Ma non vi trattiamo bene? Che è successo? Spallucce. Alle risorse umane ormai i ruoli sono rovesciati. All’amministrazione sono disperati. Buttano soldi inutilmente, sei mesi sono giusto il tempo della formazione, si deve ricominciare daccapo col prossimo, che durerà altri sei mesi. Ci si sforza di capire. Riunioni su riunioni con i consulenti: lo psicologo del lavoro, l’avvocato (io). 

Ma perché questi se ne vanno? E lo chiedete a noi? Dicono: rifacciamo i contratti, diamo i bonus, mettiamo lo sportello sostegno maternità, promuoviamo il corso sulla diversità, sulla parità, mettiamo il fondo baby sitter, organizziamo la giornata team building, l’aperitivo di consolidamento rapporti, portiamoli in crociera. Facciamo qualcosa! Non basta. Non serve.

Vuol dire una sola cosa: che esiste e s’è rinforzato un sindacato silenzioso e finalmente funzionante. Si muove sottotraccia, senza sigla, è fatto di “me ne vado” senza punto esclamativo, l’arma totale. Mi spiego meglio. Chiunque abbia un’attività, uno studio professionale, una bottega qualsiasi vi racconterà la stessa storia: da un paio d’anni c’è un frullare di curriculum, un turn over senza precedenti. Si vive ogni giorno come se fosse l’ultimo, in azienda. Dal giorno della firma del contratto i ragazzi si rimettono su Linkedin come stanno i fidanzati su Tinder. In cerca di qualcosa. Non importa stare bene, male, com’è il vicino di posto, qual è il grado di stronzaggine del capo ufficio, cosa impari, se ti piace, non ti piace. La soluzione dell’impiegato è diventata quella del capitalista: migliorare l’indotto come questione di vita o di morte.
 

Vogliono:

  • chi dà più soldi 
  • chi lascia più tempo a casa in smart 
  • entrambe
     

Possiamo scordarci le grandi dimissioni come fenomeno post Covid. Le dimissioni sistemiche sono diventate una faccenda strutturale, continuativa. Il remote working ha aperto la finestra sul regno di: puoi stare meglio di così. E quindi lavorare adesso include la costante, ininterrotta ricerca di un altrove. Il capitalismo dovrà attrezzarsi, perché si cominciano a vedere i primi segni di cedimento. È la prima volta nella storia dell’umanità che vedo vincere i lavoratori. È una messa a punto di Bartleby. L’abbandono della resistenza passiva per qualcosa di più efficace. Non preferirei di no, ma “addio”. Panico tra i plutocrati.

Quello che sta succedendo dappertutto si chiama job hopping. Passare da un datore all’altro. In passato (ieri) nessuno si sognava, per amore di solidità del curriculum, di cambiare con troppa frenesia. Saresti sembrato inaffidabile. È sotterrata anche la tendenza a restare nello stesso posto per costruirsi un ruolo, relazioni solide e guadagnare terreno. Il datore di lavoro adesso è inteso in un’unica declinazione: lo sfruttatore. La stanzialità professionale scavalcata dalla tendenza più legittimamente mercenaria: “vado dove le condizioni sono migliori”

Dalle parti mie un praticante avvocato fino a poco tempo fa restava in studio due, tre anni. Poi prendeva una strada più sicura (indeterminato in azienda), oppure, se era molto bravo, dopo l’esame di stato si dirigeva in zona GOP e Bonelli Erede, i superstudi. Oggi un praticante – bravo o no – resta quando va bene sei mesi. Cerca altro, da subito. 

Va anche detto che il lavoro non è più quello di una volta (tre anni fa), è inutile girarci intorno. Alcuni mestieri sono in fin di vita, non li vuole più nessuno. L’avvocato è uno di quelli, a meno che tu non sia nel settore giusto, sull’ali dorate del mergers and acquisitions, detto M&A, Em-en-èi, in altri termini: aiutare il padrùn della piccola e media impresa a farsi mangiare dal pesce più grande, incassare e starsene tranquillo.

Il colpo di grazia l’ha dato la nuova economia. L’economia che non esisteva, quella dell’invento un servizio e guadagno un milione in due anni. Dopodiché vendo, e ne guadagno 4. Non sto sognando, iniziano a essere tante, le piccole società di giovani che hanno fatto miracoli imprenditoriali. E’ l’economia di conio nuovo, non è mai esistita in questi termini: l’enorme guadagno con (quasi) il minimo mezzo. Roma si costruisce in un paio di settimane.

Sai quelle due laureate in economia che avevano quella società di coaching online per l’inclusività motivazionale in azienda che non capivamo manco che era? Le ha prese Banca __. Non ti dico a quanto. Sai quella che aveva inventato gli gnocchi di cavolo? Distribuisce da Harrod’s e Fortnum & Mason, guarda il dossier della start-up, la valutano due milioni. Le start up, le idee nuove, la scalabilità.

Il lavoro, anche quello, è diventato videogame. Non è più come una volta, il liquido di Bauman ha straripato ovunque, corrode come acquaragia, ha intaccato pure il posto fisso italiano, che era fatto di pietra. Il posto fisso si studiava al catechismo. Tutta questa lunga lamentela per dire che il vecchio mondo veniva via un pezzo alla volta, qui frana tutto insieme e nessuno sa che via pigliare.

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