Nozze di Cana (dett.), un dipinto di Paolo Caliari detto il Veronese del 1563, custodito al Louvre di Parigi 

La riflessione

Note non proprio a margine del pettegolezzo endofamiliare feroce

Ester Viola

Si sparla fortissimo, in famiglia. È difficile resistere alle storie, al desiderio di creare un racconto a partire dal caos dell’esperienza. Il pettegolezzo giudica tutti, implacabile tribunalesco e senza filtri

La famiglia. La famiglia. La struttura oggettiva di riconoscimento sociale, il bene rifugio, la tecnica di soluzione delle crisi. Guardate Ferragni, che avrebbe fatto in questi giorni senza il piano fotografico che prevede i video distensivi delle creature impegnate in attività tenerelle? Della famiglia non si butta niente, in Italia non se ne può fare a meno. Anche altrove, ma da noi di più, lo facciamo meglio.
Primum: accasarsi.

  

I pochi personaggi politici italiani non accasati, per non destare sospetti, devono essere molto di chiesa, dichiararsi fedeli sino alla morte alla pura immagine di una fidanzata morta sedicenne dopo aver sentito un coro d’angeli, far baluginare cilici, dichiararsi votati per la vita a San Camillo protettore degli spilli e a San Trovaso patrono dei deragliamenti. Gli altri, un’orgia: da tre, a sette, a dodici figli e la moglie ben nascosta. Perché quello che conta è che lui sia sposato, che una moglie ce l’abbia, moglie e madre, ma in modo che ci si dimentichi che nella sua vita c’è una donna, qualcuno potrebbe magari supporre che il ministro, il segretario di partito, talvolta si estranea dai suoi decreti, dalle sue trame e dalla sua immobilità per scopare! La Repubblica italiana vuole famiglie, non amore: tanto per dare il buon esempio ai produttori di futuri cittadini e per assicurare una simpatica complicità tra gente che se ne intende. Vedi operaio, io te lo sto mettendo in quel posto ancora una volta, però sono come te, anch’io ho famiglia! O anche: vedi esportatore di capitali e affossatore di enti pubblici, chiudo un occhio sulle tue distrazioni dettate certamente da generosità e efficienza imprenditoriale e che tuttavia ti dovrebbero costare la galera, ma cerca di capire, anch’io ho famiglia! Una grande famiglia, con cui dovrai fare i conti, ma anche una piccola famiglia, la mia, e sapessi quanto è pesante regalare l’automobile a tutti i miei ragazzi!

N. Aspesi (Lui! visto da Lei, Rizzoli)

   

La famiglia dalle parti nostre ha anche preso altre vie, è diventata genere economico, sistema mazzettistico, s’è sviluppata come una pianta infestante. Vi ricordate il familismo amorale? Questa malattia, il badare ai fatti di casa propria, ce l’avevano le specie del passato, ancora socio-intellettualmente sottosviluppate. Noi ce la siamo tenuta. Naturalmente, se c’era una parola da trovare per il metodo dell’arricchimento entro i confini dei parenti, era dispregiativa. E fu: familismo amorale. Che vuol dire cattiva distribuzione delle risorse. Individualismo. Massimizzo l’interesse per me e i miei cari. L’elaborazione era di Banfield: nella versione originale, il capo d’accusa era circoscritto soltanto all’Italia meridionale. Fu Benigno (1989) ad allargare la prospettiva: la prevalenza storica della famiglia nucleare era in realtà il tratto distintivo di tutta la penisola. Da nord a sud, i legami familiari avevano una funzione imprescindibile di supporto. Economia a trazione “io, figli e fratelli”. Il rovescio della faccenda del supporto cieco è, chiaramente – oltre a seconde generazioni di grandi rammolliti perché passati direttamente dalla culla alla mangiatoia bassa – il pettegolezzo endofamiliare feroce. È l’articolo uno ombra della costituzione italiana. Nemmeno i nemici ti parlano così forte alle spalle come i familiari. Da farti venire gobbo.

 

Si sparla fortissimo, in famiglia, dalle nostre parti.

  
Il Wall Street Journal difende la pratica: è difficile resistere alle storie, al desiderio di creare un racconto, una trama a partire dal disordine e dal caos dell’esperienza. Un personaggio di Jane Austen osserva come il pettegolezzo sia anche “qualcosa che ci fa conoscere meglio l’altro”. Chissà. Sarà il pettegolezzo di campagna in Inghilterra, quello delicato. Il pettegolezzo nostrano giudica tutti, implacabile tribunalesco e stronzo. Senza filtri, autenticamente orribili, plebe e aristocratici. Siamo tutti figli di Monicelli. Grandi esecuzioni si compiono nelle serate di famiglia riunita, Natale è un crogiolo di veleni, per chi è stato a casa. Soprattutto: si irride il parente assente. Mai non esserci, mai andare a letto presto. Diranno che il neonato si porta proprio bruttino, che la bambina è una ciuccia a scuola e pare figlia della zia Concetta, quella che è rimasta pure zitella, che l’adolescente è uno scostumato e forse si fa le canne, lo zio Carmine sputato. La cognata, sempre zoccola. C’è tutta una letteratura sopraffina, in quel porto sicuro che è il pettegolezzo. C’è una sospensione e un ritorno all’io autentico, un io che è rimasto impermeabile a ogni rivoluzione etica del benpensare. Ha un certo stile, quel tipo di cattiveria. È maldicenza per farci le storie, per mantenerci vivi. Direi quasi che è un modo di volersi bene. Sono i soldi per cantare le messe.

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