Foto dalla pagina Fb del Grande Fratello

uffa!

Note a margine al mio “Grande fratello”

Giampiero Mughini

Dalla tv alla politica: questa è l’èra dei semianalfabeti che pontificano dalla fogna social. Cos'è successo dopo l'apprezzamento a una donna mormorato a mezza bocca 

Ho di recente fatto parte di un costrutto televisivo imponente, il “Grande fratello”, al quale lavorano e tanto per darvene un’idea qualcosa come 200 persone. Un impegno enorme, un lavoro enorme e accuratissimo in tutti i suoi particolari, denari investiti a profusione, una trasmissione che  finisce per essere il marchio del canale Mediaset su cui viene trasmessa. 

E standoci dentro a quella trasmissione ho capito meglio il rilievo dei social, per dire di una parola che io non pronunzio mai dato che non so neppure bene che cosa siano i social e come funzionano. Non ne so nulla, o meglio qualcosa ne intuisco: che siano attualmente la più grande rete fognaria del paese. Solo che stando addentro alla trasmissione di cui ho detto ho capito che chi si muove nel mondo della comunicazione di massa, dei social non può farne a meno. E’ una sorta di realtà parallela a quella immediatamente visibile cui la mia generazione è assuefatta. C’è la realtà che appare su uno schermo televisivo, e va bene. E c’è una realtà parallela, quella di Twitter o di Facebook (naturalmente non so la differenza, non ne ho la più pallida idea), che è altrettanto importante. Il fatto che la buona parte di quelle che vengono pronunciate sui social siano disumane bestialità, non conta nulla. Quelle disumane bestialità pesano, fanno numero, non ne può non tener conto chi sta lavorando ad apprestare un prodotto televisivo o altro di largo consumo. Non puoi sperare che gli utenti reali di quel prodotto siano migliori di quello che sono. Purtroppo no. (In realtà non può farne a meno neppure chi si muove su un terreno più tradizionale, quello di scrivere articoli o libri. Chi segue queste mie righe settimanali sa che io nel parlare dei miei lettori parlo di “dieci/quindici lettori” che è uno stenogramma per dire quanto siano pochi i lettori che riesci a raggiungere per il solo fatto di scrivere di questo o di quello, senza avvalerti del suono di tamburi rappresentato dai social. Ricordo quello che mi raccontava Giovanni Fasanella, che era stato un mio valoroso collega a Panorama e che scriveva dei libri eccellenti. Lui sui social ci stava due ore al giorno, e questo gli assicurava che duemila copie di un suo libro fossero vendute non appena usciva. Era un patrimonio che gli era assicurato dallo stare a conversare giorno per giorno con quella particolare tribù che erano i suoi follower. Chi come il sottoscritto è sprovvisto di follower, è grasso che cola se arriva a dieci/quindici lettori. E infatti io ne sono orgoglioso). 

Ma torniamo alla mia esperienza al “Grande fratello”. Succede che ci fosse stato un momento in cui la buona parte dei miei compagni di avventura s’era messa a ballare al suono di non ricordo più quale disco che era stato messo in moto dagli autori del programma. Mi ritrovo dunque di fronte A., una donna che di tutte – lei e B. – mi è particolarmente simpatica e con la quale sono particolarmente in sintonia. Vedo che lei balla felice del suo corpo, e io reputo un dono di Dio che una donna sia felice e sfrontata del suo corpo. Le mie amiche lo sanno tutte e credo apprezzino i miei commenti in materia, pronunziati nel particolare linguaggio che è il mio e che è diverso dal linguaggio usato in un’abbazia o all’Accademia dei lincei. A mezza bocca mormoro dunque uno di quegli apprezzamenti e naturalmente me ne dimentico un istante dopo. Solo che a poco a poco vedo montare una marea, di cui gli autori della trasmissione non possono non tener conto. Sembrerebbe che nell’elogiare quella sfrontatezza femminile io abbia mancato di rispetto alla mia carissima A. Allibisco allibisco allibisco. Allibisco ancora di più quando qualche giorno fa A. e il suo compagno R. sono venuti a cena a casa mia. R. mi ha raccontato di essere stato a sua volta bersagliato sul suo account social dai commenti di chi interpretava a modo suo quel mio elogio della (sacrosanta) sfrontatezza femminile di A. Nel sentirgli dire quello che gli avevano scritto sui social a tal proposito, non potevo credere alle mie orecchie. Offese offese offese.
No, non ci potevo credere che l’idiozia di certi esseri umani potesse farsi così impetuosa. Del resto ne leggete ogni giorno. Leggete quello che sui social scrivono del figlio di Fedez, roba manicomiale. Ho letto alcuni giorni fa un articolo, aguzzo come di consueto, in cui Guia Soncini riferiva di certi suoi dialoghi con degli imbecilli che la punzecchiano sui social. Gente che non supererebbe un esame di terza elementare appena può pontifica, bersaglia, insulta. Perché questo è accaduto, che la massa imponente e rumorosa dei semianalfabeti ha preso la parola sui social e quella parola la usa come fosse una durlindana, la temibile spada del paladino Orlando.
Da questa voga schifosa vengono contagiati anche discorsi pubblici che pure dovrebbero essere più autorevoli, a cominciare da quello usato nella politica partitante, nella politica fatta dai partiti che si tirano reciprocamente dei calci negli stinchi, un linguaggio cui assistete ogni giorno e che credo faccia rivoltare nelle loro tombe Alcide De Gasperi, Palmiro Togliatti, Ugo La Malfa. Beninteso in occasione della campagna elettorale del 1948, Togliatti usò una volta nell’andare contro De Gasperi un linguaggio degno degli odierni social, ma credo se ne sia pentito mille volte dopo il risultato elettorale del 1948 con cui la Dc soverchiò l’alleanza nefasta Pci-Psi. Tanto è vero che Togliatti diede poi vita a Rinascita, il settimanale del Pci dove gli faceva da segretaria la mia indimenticabile Marcella Ferrara, un settimanale sugoso di contenuti che arrivò a vendere 100 mila copie a botta. Più di quel che vende oggi Repubblica, per dire di un quotidiano di quelli che ammaestrano l’opinione pubblica. A questo siamo ridotti noi cittadini del terzo millennio, a dipendere dai semianalfabeti.

Di più su questi argomenti: