I dati

Il gender gap matematico è un problema serio che non va ridotto a banalità

Antonio Gurrado

I dati di Ocse-PISA sulla scuola mostrano che non solo siamo un paese impreparato, ma anche sessista e classista. Ed è anche una questione politica

Secondo il Corriere la scuola italiana non sa insegnare la matematica alle ragazze. Repubblica assicura – lo racconta Paola Mannucci, associata di matematica all’Università di Padova – che le stesse studentesse danno per scontato che il loro rendimento nella materia sarà inferiore. I dati della recente indagine PISA, già commentati sul Foglio di mercoledì, hanno causato allarme soprattutto per il macroscopico divario di genere negli esiti dei testi di matematica intrapresi dai quindicenni italiani.

È anche una questione politica. Le lauree nelle scienze dure garantiscono offerte di lavoro più remunerative, quindi il divario didattico diventa professionale, economico e sociale. Inutile dire che le ragioni di questo gender gap non sono biologiche, come dimostrano gli eccellenti risultati di tante singole ricercatrici. Men che meno psicologiche: la teoria della “gender similarity” di Janet S. Hyde dimostra che fra due individui di diverso genere possono correre meno differenze che fra due individui dello stesso genere ma di diversa età o estrazione.

Lo scorso anno l’Unicef ha diramato un documento secondo cui questo divario è causato da “sessismo e stereotipi di genere”, e un recente studio di Economics Observatory nota come “le scarse aspettative sociali disincentivino le donne dall’andare bene”. Lo studio punta il dito contro il manifestarsi dello stereotipo anche in ambiente familiare o scolastico: genitori e insegnanti scoraggiano l’impegno delle ragazze “in materie dominate dai maschi come la matematica”. Per questo a Harvard hanno iniziato a somministrare ai docenti uno IAT, un test che misura le “associazioni implicite” ovvero gli stereotipi istintivi, di modo tale che chi si sottopone possa accorgersene ed eradicarli dal proprio comportamento.

Secondo Economics Observatory, la scuola deve presentare numeri e problemi sotto genere neutro e proporre alle studentesse modelli in cui identificarsi, ovvero delle professoresse di matematica (che però in Italia abbondano). La questione va oltre il sessismo. Negli Stati Uniti esistono manuali di matematica antirazzista (“Dismantling Racism in Mathematics Instruction”), ovviamente pubblicati in California, basati sull’idea che la separazione di ruoli fra docente e discente comporti gerarchia e paternalismo di sapore vagamente coloniale. 

Il gender gap matematico è un problema serissimo che tuttavia è meglio non ridurre a un’eziologia semplicistica. I dati PISA vanno interpretati non solo alla luce del tracollo complessivo dei risultati in matematica della media internazionale, rispetto a cui nel complesso ce la caviamo, ma anche in base a due fattori collaterali. Uno è che l’Italia si colloca sopra la media, se si considerano i risultati in matematica in base non al genere ma al ceto sociale. Siamo una nazione sessista, e ciò si ripercuote sui risultati in matematica; ma siamo anche una nazione classista, in cui il notaio manda i figli al classico e l’elettrauto al professionale: se è il contesto a determinare i risultati in matematica, perché su base censitaria la ricaduta è inferiore? 

L’altro fattore è che il ragionamento sul sessismo che tarpa le ali alle future matematiche fila fino a che non si va a spulciare la lista dei diciassette paesi dove il gap è ribaltato, dove le studentesse surclassano gli studentelli: oltre all’immancabile Finlandia, sono Albania, Azerbaigian, Brunei, Cipro, Emirati Arabi Uniti, Filippine, Indonesia, Giamaica, Giordania, Malesia, Macedonia del nord, Mongolia, Marocco, Palestina, Repubblica Dominicana, Qatar. Non proprio l’avanguardia della parità.

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