Shangai (Unsplash)

Un appello ottimista

Rigenerare si può, senza ideologia. A Torino il festival che immagina le città di domani

Fabio Bogo

Nel 2050 il 70 per cento della popolazione mondiale si concentrerà nelle aree urbane, che andranno ripensate, lavorando su mobilità, densità e sul concetto di polispazio. "Ce la possiamo fare, l’esperienza insegna che sulle grandi sfide sono stati fatti progressi prima impossibili", dice Biraghi, presidente di Stratosferica, l'evento internazionale sulle città

Fino alla seconda metà del 19esimo secolo la maggioranza della popolazione mondiale viveva in aree rurali. Oggi il 55 per cento vive in città,  e un terzo di loro è concentrato in 990 agglomerati urbani sparsi sul pianeta. Nel 2050 la percentuale di cittadini salirà al 70 per cento, una presenza capace di far scoppiare entità non progettate per gestire questi volumi di persone, traffico, servizi. “Eppure questo elefante nella stanza, il boom demografico mondiale, non viene considerato un problema su cui concentrarsi" - dice Giacomo Biraghi, fondatore e presidente di Stratosferica, che a Torino organizza da oggi a domenica 15  alla Centrale Lavazza Utopian Hours, il festival internazionale delle città, arrivato alla settima edizione. Da Torino parte quindi quello che viene definito un “appello accorato” a decisori, politici, urbanisti e media per affrontare una sfida epocale da troppo tempo sottovalutata.

Un appello condito però da ottimismo. “Ce la possiamo fare a cambiare le città - dice Biraghi - perché l’esperienza ci insegna che sulle grandi sfide sono stati fatti progressi prima giudicati impossibili. La scienza e la farmaceutica hanno debellato malattie e prodotto vaccini in tempi record; nello spazio abbiamo mandato sonde su Marte; l’economia crea prodotti che favoriscono il risparmio. Possibile allora che non si riesca a trovare una soluzione per evitare l’ingorgo mattutino nel traffico quando si portano i figli a scuola?”.  

 

Per Luca Ballarini, che è direttore di Stratosferica e co-direttore di Utopian Hours, l’evoluzione urbana passa in primo luogo attraverso l’abbandono dell’ideologia che accompagna il dibattito sulle città: “Basta col pensare a città ideali dove trionfa il ritorno alla natura primordiale. E’ impossibile, e si perde solo tempo”. Poi con il lavoro per intervenire su tre direttrici, che si intersecano tra loro. La densità, alleggerendo i centri urbani dalla popolazione e sfruttando lo spazio vicino, fornendolo di infrastrutture. La mobilità, riducendo l’uso delle automobili e rendendo il lavoro meno soggetto a spostamenti. Infine il concetto di polispazio, cioè il pensare che gli edifici residenziali possano anche essere usati come ufficio o altro. A Torino si discute da oggi quindi cosa fare, ma anche di cosa si sta già facendo. E a Utopian Hours arriva allora Scott Kratz, che a Washington ha progettato un ponte sull’Anacostia River che diventerà il primo parco pubblico sopraelevato della capitale americana.

A che cosa servirà? Luogo di incontro e ritrovo, spazio pubblico verde, polo culturale, accesso alle località fluviali di balneazione. Ma il ponte-parco ha anche un’altra funzione: quella di ricucire due comunità distanti, i quartieri di SouthEast Washington, adesso separati da una barriera economica e sociale, per unire i residenti ed evitare la gentrificazione degli insediamenti. “E’ un progetto con un enorme valore culturale - dice Biraghi - perchè funge da collante tra realtà vicine ma lontanissime. E’ come se, estremizzando, a Napoli nascesse un collegamento che avvicina Scampia e piazza Plebiscito”. Perchè progetti del genere si realizzino servono però interventi con “velocità e cinismo tecnologico”, spiega Ballarini. A Parigi su questo fronte si lavora molto, con visione, decisione e magnitudine, forse ricordando i fasti dell’epoca del barone Haussmann, l’architetto a cui Napoleone III affidò la trasformazione della città da centro medievale a urbe moderna. La grande Parigi in via di realizzazione - dice Biraghi-  “prevede una metro circolare che abbraccia la città, con un’estensione di 200 chilometri, e con centri satellite lungo il percorso. Lì sono previsti insediamenti con case di qualità e prezzi accessibili”. Così si decongestiona il centro. Ma il progetto cammina perché ci sono decisori motivati e dotati di poteri certi. “Le città si rigenerano con interventi muscolari o culturali lanciati dalla politica. Oppure si lavora per crearne di nuove, come accade in Arabia Saudita, o ancora per una nuova urbanistica, come accade negli Emirati”.

Allora possono solo partire dall’alto?. “No - dice Ballarini - e qui noi vogliamo infondere ottimismo nella rigenerazione urbana. Ci sono realtà locali dove la partecipazione collettiva della popolazione ha prodotto risultati eccellenti. A Torino racconteremo da oggi micropillole di cose semplici che non ci fanno portano alla rassegnazione ma spingono la creatività, con risultati che ci fanno dire: vedi che si poteva fare? E che ci spingono a chiedere di più alle nostre città, a chiedere cose semplici. Ne dico una: tutte le mattine c’è traffico alla stessa ora per andare in ufficio, un traffico che poi sparisce? Bene, chiediamo ai sindaci: ora basta con le rush hours. Sarebbe sufficiente un editto di poche parole….”

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