I gas, la Ztl, i 30 all’ora. Ma c’è dell’altro: la macchina è stata per un secolo il mito di individualismo, libertà e gioia di vivere. Ora per l’estetica green e moralista è divenuta simbolo di morte. Nel mirino l’automobilista maschio tossico
Maledetto il giorno che t’ho comprata. Sarebbe un titolo perfetto per la sua prossima commedia, se Verdone avesse interesse per le auto, cosa di cui legittimamente si dubita. Perché “maledetto il giorno che t’ho comprata” è il pensiero che sempre più spesso gli automobilisti – e le automobiliste, ça va sans dire, che sono quasi più dei maschietti – si sentono salire alle labbra dal profondo di uno scoramento sordo. Ogni volta che pensano ai costi, sì; ogni volta che non trovano parcheggio, ovvio. Ma soprattutto a ogni nuovo divieto di transito, a ogni nuova pista ciclabile restringente, a ogni Ztl, all’elettrica che in Italia nessuno compra (5 per cento) perché costa un botto e di colonnine non ce n’è. Tutto questo è ovvio. Ma soprattutto per quella sempre più aggressiva riprovazione sociale, che punta il dito perché andare in macchina è diventato disdicevole: inquini, tiri sotto i pedoni, ingombri (se è per questo, ingombrano anche i ciclisti in contromano e sui marciapiedi). Nel pensiero eco-populista medio, insomma le campagne à la “make love not CO2” di Greenpeace, la soluzione è semplice: abolisci le auto, risolvi il problema. Ma anche tralasciando il dibattito, niente affatto univoco, sui problemi scientifici, economici, sociali della riduzione e/o abolizione della circolazione delle auto, è evidente che il punto è altrove. La rivoluzione in corso è prima di tutto nella testa e negli occhi di guarda le strade, le città, i modi di vivere. Una rivoluzione prima di tutto estetica, di percezione.
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