In foto, Thomas Laqueur (Getty)

Libri e battaglie moderne

L'èra monosessuale, un'arma formidabile per ideologi e accademici militanti

Guido Vitiello

Tutta la fortuna di Making Sex, il libro di Thomas Laqueur usato come strumento nelle guerre culturali e i gender studies. Tesi centrale semplice, attrattiva, interdisciplinare e con illustrazioni accattivanti

Che sciocco non aver pensato prima alla persona monosesso. E dire che mi era passata sotto gli occhi già trent’anni fa, sulla tavola di un trattato anatomico rinascimentale. Poi però me n’ero dimenticato, distratto come sono, o forse i tempi non erano maturi. Oggi che il fantasma monosessuale fa capolino da ogni angolo, la trama dei miei ricordi finalmente si ricompone. Ma andiamo con ordine. Un paio d’anni fa, grazie al filosofo Simone Pollo, mi sono imbattuto nel video di un incontro pubblico con le scrittrici Chiara Valerio e Michela Murgia. Dalla platea, un signore gentile aveva chiesto alle relatrici se tra le origini del dominio patriarcale potesse annoverarsi la minore forza fisica delle donne. Apriti cielo. Fu variamente arronzato, per dirla in gergo marinaresco, ma la cosa che mi colpì non furono tanto i modi quanto gli argomenti di Chiara Valerio, che qui riporto: “Sono domande, queste, accettabili in una epistemologia di differenza di genere; la questione è che la differenza di genere non è la natura, è un’epistemologia culturale”.

E poi: “Da dopo il Medioevo si passa dal monosesso, dove le donne neanche esistevano, come non esiste la sinistra di Dio, a una epistemologia di sessualità binaria”. Le donne nel Medioevo non esistevano? Dunque i trovatori ululavano alla Luna? E che cos’è un’epistemologia culturale, il modo in cui diverse culture studiano la conoscenza scientifica? Quanto alla sinistra di Dio, mi avevano detto che era Maradona. Mannaggia, lui pure inesistente? La formulazione in effetti non era chiarissima; ma scagli la prima pietra chi, parlando a braccio, trova sempre a colpo sicuro le parole migliori. Troppo comodo fermarsi alle ironie e alle gomitatine. Con la dovuta carità interpretativa, penso che la matassa verbale si possa sbrogliare così: con “epistemologia culturale”, Chiara Valerio intendeva riferirsi a qualcosa di simile all’idea foucaultiana di “episteme”, che è grosso modo l’infrastruttura mentale di una data epoca; e parlando di monosesso medievale voleva dire che l’episteme del gender binary, maschio o femmina, si è affermata nella nostra cultura solo in epoca moderna.

Il caso vuole che pochi giorni fa io sia incappato all’incirca nella stessa teoria, attestata con un sovrappiù di perentorietà, in un libro della sociolinguista Vera Gheno, Grammamanti: “La scoperta della differenza fisica tra maschi e femmine, basata sull’osservazione dei corpi sia dall’esterno sia dall’interno, è piuttosto recente, risalendo all’inizio del XVIII secolo”. Fino al Settecento, pare, non era così chiaro che gli esseri umani nascessero in soli due formati. Vera Gheno si rimette sul punto all’autorità della storica dei movimenti lgbtq+ Maya De Leo, autrice per Einaudi del libro Queer. Di modo che, per darmi conto di una tesi così controintuitiva – bisognava aspettare i Lumi per scoprire la dissomiglianza anatomica tra maschi e femmine? – sono andato alla fonte, e in una nota bibliografica di Queer ho trovato il nome che ha fatto risorgere per incanto i miei antichi ricordi: Thomas Laqueur. Ma certo! Da ragazzino, nella mai troppo compianta libreria Remainders di piazza San Silvestro a Roma dove passavo tutti i sabati pomeriggio, avevo trovato a metà prezzo il suo libro L’identità sessuale dai Greci a Freud (Laterza), e lo avevo subito comprato per via delle figure – specie per un’illustrazione medica cinquecentesca, dal De humani corporis fabrica di Andrea Vesalio, che rappresentava l’interno della vagina come il calco perfetto di un pene, diciamo pure come un pene concavo. Fu, lo ammetto, l’acquisto goliardico di un liceale, e sarebbero passati molti anni prima che mi decidessi a leggere il testo anziché limitarmi alle figure. Non potevo ancora sapere che Making sex – questo il titolo originale – era un’opera dalla grande e in parte misteriosa fortuna. La tesi di Laqueur, ridotta all’osso, è questa: dall’antichità classica fino al Seicento la teoria prevalente era che uomini e donne avessero gli stessi organi genitali, gli uni esternamente e le altre internamente; finché, in un punto imprecisato del Settecento, e per ragioni non del tutto chiare (sembra appunto uno dei misteriosi “salti epistemici” cari a Michel Foucault), questa concezione monosessuale fu soppiantata dal paradigma della differenza sessuale. Ecco da dove veniva la sciarada dell’epistemologia culturale e del monosesso medievale. Restava da decifrare la sinistra di Dio, ma pazienza. Peccato solo che la ricostruzione di Laqueur, a detta degli storici, faccia acqua da molte parti.

Nel 2013 Helen King, studiosa della medicina nell’antichità classica e nella prima età moderna, ha sottoposto le sue tesi a una requisitoria garbata quanto impietosa, The One-Sex Body on Trial (Routledge). Dice King che gli specialisti delle differenti epoche trattate in Making Sex hanno respinto o ridimensionato lo schema di Laqueur e biasimato il suo uso disinvolto, selettivo e occasionalmente manipolatorio delle fonti. Ma ciascuno lo ha fatto per l’epoca di sua competenza, sicché la tesi del libro, pur compromessa ormai in tutte le sue parti, riesce miracolosamente a sopravvivere (confutare un libro che spazia tra molti secoli e molte discipline è un po’ come uccidere l’idra di Lerna). Non è mai esistita, a rigore, un’èra monosessuale; semmai, sono esistite delle teorie monosessuali che hanno coabitato con altre teorie, senza mai egemonizzarle, e queste teorie sono state abbandonate ben prima della cesura segnata da Laqueur (l’aspetto cronologico, come vedremo, non è irrilevante). Ma comunque – e questo mi pare il punto decisivo – si tratta di idee che circolavano nell’ambito della scienza medica, e che non davano l’impronta, se non marginalmente, ad altri ambiti della cultura. Altro che episteme.

Per tutte queste pecche, il libro di Laqueur – a cui pure l’autrice riconosce molti meriti – ha ricevuto un’accoglienza tiepida tra gli storici della medicina; ha avuto in compenso un impatto enorme sui gender studies e, più in generale, sulle scienze umane e sociali. Perché? King azzarda quattro spiegazioni: Making Sex aveva una tesi centrale semplice, un’attrattiva interdisciplinare, una gamma storica molto ampia e delle illustrazioni accattivanti (per inciso, un intero capitolo è dedicato al disegno della vagina-pene nel trattato di Vesalio, e King dimostra con grande scialo di erudizione che lo sguardo dei contemporanei – tra i quali Laqueur e, più modestamente, un liceale malizioso a zonzo per i Remainders – è portato a fraintendere quell’immagine). Sono quattro buone ragioni, ma non bastano a fare di un libro un caso editoriale o un bestseller. E infatti King ne aggiunge tra le righe una quinta, che riguarda non tanto la forma semplice della tesi quanto la felice tempestività del suo contenuto: “Questo messaggio – sulla differenza tra ‘allora’ e ‘oggi’, sul primato della costruzione sociale rispetto all’essenzialismo e sull’instabilità del genere – era un messaggio che le persone volevano ascoltare”. E’ appena il caso di ricordare che Making Sex di Thomas Laqueur è gemello di Gender Trouble di Judith Butler, scodellati entrambi nel 1990. Questo spiega perché un libro senz’altro affascinante, ma pur sempre un libro su antiche teorie medico-scientifiche, abbia potuto fornire munizioni alle guerre culturali.

Tutta la vicenda mi pare istruttiva. L’opera di Laqueur, infatti, aveva due qualità che favoriscono il successo di una teoria, vera o falsa che sia: suonava congeniale ai contemporanei e, soprattutto, poteva essere usata. E’ un aspetto sul quale non ragioniamo mai abbastanza. Nella nostra boria razionalistica, ci piace immaginarci come creature curiose che acquisiscono nuove idee, assimilano le buone, scartano le cattive, e infine si presentano sul campo di battaglia forti di questo equipaggiamento scelto con cura. Sospetto che la formazione delle nostre armature intellettuali segua più spesso un altro itinerario, tutto pragmatico: scorgiamo uno strumento potente e maneggevole che si presta bene a servire certi nostri interessi o a combattere certi nostri duelli, corriamo subito a impugnarlo, e solo in seguito ci preoccupiamo di valutarne la fattura – se pure mai ce ne preoccupiamo: è un’operazione pericolosa, potremmo trovarci improvvisamente disarmati nel mezzo della battaglia o addirittura scoprire di avere tra le mani un boomerang. Ebbene, senza volerlo Laqueur aveva forgiato un’arma molto allettante. Il suo bel libro è assai più ricco e meno schematico di quanto la mia sintesi bignamistica possa far credere, e lo si legge con piacere e profitto.

Ma la punta della sua tesi è stata temprata e acuminata nelle fucine dei semplificatori fino a farne un’arma formidabile a uso degli ideologi, degli accademici militanti, degli attivisti. E se nel 1990 quello di Laqueur era, come dice King, “un messaggio che le persone volevano ascoltare”, nel 2024 vogliono non solo ascoltarlo, ma gridarlo ai quattro angoli della terra. Oltretutto, Making Sex aveva un ulteriore vantaggio non da poco, diciamo un requisito di compatibilità: la sua periodizzazione si incastrava perfettamente a quella di Foucault, consentendo così di compiere una volta di più il consueto capovolgimento del filosofo francese: tutto ciò che credevamo che l’Illuminismo avesse “liberato”, noi indegni suoi eredi, scopriamo che lo aveva in realtà “disciplinato”, stretto in una trama di potere insidiosa e invisibile. Ebbene, come lasciarsi sfuggire l’occasione di dire – con l’apparente avallo della scienza seria, e non solo con i difettivi sillogismi della queer theory – che anche il binarismo, come tutti gli altri mali, è sbucato dal vaso di Pandora dell’occidente illuminista e capitalista?

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