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sesso contemporaneo 6

Questo corpo bruciante come mai e poi nel gelo dell'Antartide

Antonella Lattanzi

Ho sempre pensato che Emma Bovary sia stata il Desiderio per eccellenza. Io quel suo desiderio non lo sentivo più. E quando è tornato mi ha travolto

Sono giorni, settimane, mesi, anni che fa sempre più caldo. Forse sono solo giorni, o al massimo qualche settimana, ma per me sono giorni, settimane, mesi strani, in cui le giornate si dilatano e si restringono, un’ora può durare una vita, una vita può durare un attimo. Non ho mai avuto caldo da quando sono nata, anzi forse quando ero piccola può essere che io abbia avuto caldo qualche volta, ma da quando sono adulta – e non più giovane – da quando, se mi chiedono l’età, la dico e nessuno mi risponde più, Ma sei una bambina!, da quando sono cresciuta non ho mai più avuto caldo. Sudo un giorno all’anno, ho sempre detto. Ed era vero. Ma poi è arrivata questa estate che ha sconvolto la mia vita, sono sempre in viaggio per lavoro, ma non è solo questo, c’è tutto un tumulto e uno sconvolgimento interiore ed esteriore, continuo, e io dimentico cosa ho fatto oggi, cosa ho fatto ieri, cos’ho fatto due mesi fa, ricordo solo questo immenso caldo.

  


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Sotto questo caldo mi hanno rubato il portafogli con tutti i documenti e ho dovuto fare la fila davanti alla questura, sotto il sole, ore e ore. Sotto questo caldo mi è caduta per strada, senza che me ne accorgessi, la targa del motorino che avevo comprato usato quest’inverno ma non avevo mai usato. Sotto questo caldo ho dovuto, quindi, aspettare taxi all’infinito, aspettare e aspettare fino a quando perdevo la speranza e il tempo, e ho dovuto inforcare biciclette elettriche alle due del pomeriggio pedalando mentre credevo di esplodere per raggiungere luoghi lontanissimi di Roma in cui, appena arrivata, mentre bollivo e mi scioglievo e il sangue mi pompava nella nuca, ho dovuto fare riunioni su riunioni comandando al mio cervello: agisci, pensa, rifletti, crea. E il mio cervello mi diceva: ti prego, ho caldo. Ma poi, visto che è un cervello molto diligente, alla fine mi obbediva: e pensava, e lavorava.


Figurati se uno, con un caldo così, può pensare al sesso. Figurati se uno, in uno stravolgimento così, può pensare al sesso. Viaggio per lavoro per presentare un mio libro che è uscito da poco e che parla di questo, del sesso, della fine del sesso, dell’utilità e dell’inutilità del sesso. Un libro che parla del momento esatto in cui il sesso smette di essere un gioco e diventa una funzione: fare un figlio. Ma non è di questo che voglio parlare, di parlare di fare o non fare figli non ne posso più. E però è vero, ho sperimentato tutte le sfumature del sesso: quando lo fai per gioco, quando lo fai una notte, o una mattina, con uno sconosciuto o una sconosciuta che non vedrai mai più, quando lo fai per gioco col tuo compagno, per divertimento, sempre con la stessa persona per anni e anni, quando lo fai solo per uno scopo, e di giocare all’inizio non ti interessa più e dopo un po’ non ne puoi più, né di giocare né di fare sesso, quando lo scopo fallisce e allora il sesso non lo fai nemmeno più. Mi sono sentita bambina, ragazza, giovane donna, donna – dotata di sessualità e sensualità. Mi sono sentita una vecchia a quarant’anni, senza più alcun’attrattiva per nessuno, nemmeno per me. Ho sperimentato quel momento in cui pensi che nessun uomo, nessuna donna ti guarderà mai più. Perché hai perso il tuo fascino, la tua sensualità. Perché di far sesso con qualcuno non se ne parla più. Prima non puoi, poi non vuoi, poi pensi che siano gli altri a trovarti indesiderabile – non più una donna: un mobile, un pezzo dell’arredamento – e ti guardi nuda allo specchio in una mattina di giugno, fuori c’è il mare, e non vedi alcun sesso nel tuo corpo. Il tuo corpo è troppo magro, troppo triste, troppo vuoto. Ho sperimentato quel momento incredibile, di incredibile potenza, di incredibile forza e vitalità, una lotta per la sopravvivenza potrei dire, potrei giurare, potrei gridare, quel momento in cui il sangue torna a scorrerti nelle vene e ti riscalda e ti avvampa – non il troppo caldo di questi giorni, un caldo sessuale, violento, bellissimo –, il momento in cui il sangue torna dentro di te e tu pensi: sono tornata. Ci sono di nuovo. Mi sento di nuovo. Quel momento in cui uno sguardo di un uomo, di una donna per la strada ti dicono: ti vedo. E tu vuoi essere vista, perché pensavi di essere morta, e pensavi di non voler più essere vista, e pensavi che quegli sguardi non ti avrebbero attraversato mai più. Che quegli sguardi non li avresti desiderati mai più. Che se qualcuno avesse osato guardarti, l’avresti ucciso.

  
Ho sempre pensato che Emma Bovary sia stata – per me Emma è una persona, non un personaggio – un essere desiderante. Che sia stata il Desiderio per eccellenza. Io, che ho sempre amato Emma, quel suo desiderio non lo sentivo più. E quando è tornato mi ha travolto. Mi ha proprio sbalzato dall’asfalto su cui stavo camminando, mi ha fatto volare e mi ha catapultato dall’altra parte della carreggiata. Sono caduta al suolo, mi sono fatta male, ma era un dolore che diceva che ero viva, mi sono rialzata e finalmente ho ripreso a camminare.

 
Chiaramente, poi, cammini per un po’. Puoi camminare anche chilometri e chilometri. Poi però fa troppo caldo, ti fermi, per la prima volta ti guardi intorno e capisci che ti sei perso. Ma non è di perdersi che ho intenzione di parlare.

  
Per questo, però, per tutto quello che ho appena raccontato, non sono la persona migliore per riflettere su cos’è il sesso oggi. Posso parlare solo di me. Potrei parlare dei miei amici più giovani che cercano e trovano il sesso sulle app, e che hanno relazioni lunghe o brevi, che si incaponiscono nella compulsione degli appuntamenti presi sulle chat, e poi va bene o male. Potrei parlare dei miei amici più grandi che sono nella stessa relazione da sempre, alcuni di loro non fanno più sesso ma non lo trovano una grande perdita, altri lo fanno da dieci, vent’anni, e non hanno mai smesso. Alcuni si fidanzano dopo che erano anni che non lo facevano più, non lo desideravano nemmeno più, altri si lasciano. Altri si lasciano per sempre. Altri si sposano. Altri si tradiscono una volta. Altri si tradiscono da sempre. Altri di fare sesso non vogliono sentir parlare più.


Fa caldissimo ed è l’estate più calda che ci ricordiamo, sono le due e mezza del pomeriggio, anche se volessi come farei, con questo caldo, a fare sesso con qualcuno. Forse anche a guardare come fanno sesso gli altri, immersa, come tutti, in questa sonnolenza, in questo ottundimento dei quarantadue gradi di Roma, quarantadue gradi di persone che, appena respirano, si sciolgono. Potrei, se volessi, fare l’amore con qualcuno. Certamente. Anche con questo incredibile caldo. Potrei, se volessi, parlare dell’inizio o della fine dell’amore. E di cosa c’entra, se c’entra, il sesso con l’amore. Potrei, se volessi, raccontare tutte le storie più strane dei miei amici, e alla fine tirare le somme e provare ad azzardare: il sesso oggi è così, o così. Potrei, tutto si può, lo sanno tutti: basta volerlo.
Ma.


C’è una canzone degli Arcade Fire, nell’album Reflektor, che si chiama Afterlife. Il ritornello dice, tra le altre cose, “When love is gone / Where does it go?”, che vuol dire qualcosa come: quando l’amore è finito, dove va? Ma per tenere il gioco di parole in inglese, si potrebbe anche tradurre: quando l’amore se n’è andato, dove va? O qualcosa del genere. Ci ho pensato tantissimo in questi mesi, in questi anni, in questi secoli di arsura a quarantacinque gradi. Senza un motivo preciso, questo ritornello mi rigira in testa ogni momento. Potrei parlare della vita oltre l’amore, oltre il sesso, della fine o dell’inizio dell’amore, del sesso oggi, oppure posso parlare del mio sesso ora: un sesso che a volte è qui, caldo come mai, vivo come mai, bruciante come mai, anche troppo, e fa bene e fa male, e il momento dopo è nel gelo dell’Antartide. Un sesso che è la metafora di tutto, e che, come tutto, a volte sembra che non tornerà mai più, ma che come tutto, alla fine, come tutto alla fine non finisce mai.
 

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