Una scena di "The wolf of Wall Street"

Manspalining

Poveri maschi, arrivano i libri che in nome della scienza ordinano loro di tacere

Antonio Gurrado

L'ultima scoperta della biologia della comunicazione è che gli uomini parlano troppo: una deriva distruttiva per la quale sono stati creati appositamente dei neologismi. Il libro di Dan Lyons è soltanto l'ultimo di una lunga serie

Voglio vedere come lo tradurranno, il libro di Dan Lyons che a marzo esce in America col titolo “STFU”, acronimo per “Shut the Fuck Up”, grossomodo “Chiudi quella cazzo di bocca”. Probabilmente privilegeranno il sottotitolo un po’ alla Marie Kondo – “Il potere di tacere in un mondo infinitamente chiassoso” – tradendo sin dalla copertina il cardine della teoria, ossia che meno parole si usano meglio è. Non che Lyons contribuisca più di tanto alla propria ipotesi. Essere columnist per Forbes e Newsweek, scrivere un libro di duecentosettanta pagine e ottenere un servizio su Time non sembra la strada più breve per patrocinare il silenzio. Però ha ragione: mai si è parlato tanto a sproposito quanto ora, ci sono i podcast, i tweet, i post, le riunioni, le interviste, i podcast, i commenti, i commenti ai commenti, altri podcast, altre riunioni, ancora podcast, sempre più podcast, cinquanta milioni di podcast: non ce la si fa nemmeno ascoltandone mille al giorno per cent’anni, dieci dei quali da dedicare esclusivamente a ciò che il principe Harry ha da ridire sulla famiglia reale. 

 

Solo in America, dove non hanno avuto Enrico Cuccia, può causare scalpore un libro che ravvisa nel silenzio la strategia per il successo, sviluppando l’antico adagio secondo cui è meglio tacere, destando il sospetto di essere stupidi, che parlare togliendo ogni dubbio. Il sale del libro sta però in un dettaglio che Lyons si lascia furbescamente sfuggire nelle anticipazioni: “Gli uomini sono campioni dell’overtalking e del talking over”, parlare troppo e dare sulla voce. Mansplaining, manterrupting, manaloguing sono neologismi già stantii per indicare il maschio che sdottora perché maschio, il maschio che interrompe la donna perché maschio, il maschio che parla per sette ore come Fidel Castro non perché è Fidel Castro ma perché è maschio. Qui Lyons non può esimersi da una serena autocritica e si accusa di parlare troppo. A propria parziale giustificazione, tuttavia, rivela che esiste una parola per definire questa patologia – esiste una parola per tutto, in un mondo in cui tutti parlano sempre – ed è talkaholism. L’hanno coniata due scienziati della West Virginia, specificando che si tratta di una dipendenza determinata da un’asimmetria fra gli emisferi del cervello, come tale inarrestabile e autodistruttiva: il talkaholico parla anche sapendo che così si danneggerà.

 

La scoperta rientra nel settore della biologia della comunicazione, lo stesso che qualche anno fa aveva stabilito fossero le donne a parlare più degli uomini – come lasciava intuire “Happy Days”, non la sitcom con Fonzie ma la pièce di Beckett, con la protagonista interrata a monologare garrula mentre il marito tenta di leggere il giornale. Non essendo un biologo, non posso dirimere il busillis: come mai una dipendenza determinata anatomicamente prima caratterizzava le donne e adesso gli uomini? Sarà mica che il cervello è sempre uguale ma sono cambiati i pregiudizi accettabili in società? Cerco lumi in Rebecca Solint, autrice di “Gli uomini mi spiegano le cose” (Ponte alle Grazie). Sul Guardian ha appena scritto un articolo molto informato per illustrare che il mansplaining “rientra in un problema colossale, per cui si concede pregiudizialmente più credibilità ad alcune categorie di persone anziché ad altre”. Quando un uomo salta su con uno spiegone, dice, fa più o meno come quei poliziotti bianchi che montano con le ginocchia sul collo dei ragazzi neri. Solo a questo punto mi sorge il dubbio: ma la Solnit, che è donna, non sta facendo la stessa identica cosa spiegando a me, che sono maschio, come mi comporto e perché? Subito l’articolo estingue ogni obiezione così: “Qualcuno ha proposto di eliminare il genere del manspalining, ma ciò non avrebbe senso, perché da sempre abbiamo vari termini neutri per indicare la condiscendenza malriposta”. Quindi, se un maschio la trincia da gran sultano, lo fa perché è maschio e ha il cervello deformato; se lo fa una donna è normale, non c’entra nulla con le questioni di genere. Ah.

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