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Basta alla puttanesca

Mariarosa Mancuso

Non si può più dire. Riverniciata woke all’impero Nigella: gli spaghetti ora sono “alla sciattona”

Non sarebbe venuta in mente neanche agli sceneggiatori di “Portlandia”, serie cominciata dieci anni fa – e durata per otto stagioni – che aveva previsto ogni rimbecillimento (dev’essere per questo che in Italia ce la fanno sospirare). Il cliente che quando ordina il pollo al ristorante chiede se ha avuto una vita felice, prima di finire in pentola. Un avventuroso cambio di pannolini alla cieca, senza dare mai una sbirciatina laggiù: “Deciderà da grande se vuole essere maschio o femmina”. La libraia femminista che non sopporta un dito puntato, neanche per dire “sullo scaffale in alto”. Vera, verissima, letta venerdì scorso sul Times. Neanche c’eravamo ripresi dal ragazzo copertina che a quattro mesi posò nudo per i Nirvana, e a trent’anni chiede due milioni di dollari (bisognerebbe però detrarre le ragazze rimorchiate dicendo “sono io quel bambino lì”). Nigella Lawson, la cuoca più sexy e ammiccante d’Inghilterra – prima che i maschi prendessero il potere – ha cambiato nome ai suoi “Slut’s spaghetti”, spaghetti alla puttanesca. E a un dolce che finora si chiamava “Slut red raspberries in chardonnay jelly” – le puttane qui non c’entrano, “slut red” è il rosso dei lamponi in gelatina di chardonnay (e sta, finora indisturbato, su qualche boccetta di smalto per le unghie). Ora si chiamano “ruby red raspberries”. Niente più parola con la “s”.

 

All’affair puttanesca il Times dedica tre pagine. Nigella Lawson sostiene che la parola ha ora “una connotazione più volgare e crudele”, quindi si sente a disagio. La cronista Polly Vernon si chiede fin dal sommarietto: “What’s wrong with it?”. E trova un azzeccato paragone per le celebrità che riscrivono la propria biografia cancellando gli imbarazzi che tali non erano (“Ho lavorato con Woody Allen, ma ora faccio finta di non conoscerlo”). Scrive: “E’ così che nel 2021 mentiamo sull’età”.

Gli “Slut’s spaghetti” stanno nei ricettari di Nigella dal 2012, tra l’indifferenza di chi cucina e di chi non cucina – peraltro non è ben chiaro chi potrebbe essere la parte offesa. La cuoca pentita li ha ribattezzati  “Slattern’s spaghetti”: il che, stando all’autorità del Merriam Webster Dictionary, non sposta granché la questione. “Slattern” vuol dire “donna sporca e disordinata” (“an untidy slovenly woman”, e come sinonimo ha “slut” e “prostitute”). Nigella punta sulla sciatteria domestica: “Sono spaghetti che si fanno con gli ingredienti avanzati in cucina”. I filologi dell’Accademia della Puttanesca speriamo non siano in ascolto, qua si rischia il bis del caso “carbonara”.

 

Più gustosa degli “spaghetti alla sciattona”, la dichiarazione d’amore che la cronista Polly Vernon riserva al termine “slut”. La crudeltà e la volgarità stanno nelle intenzioni, in certe circostanze “slut” può essere affettuosissimo, sostiene. Racconta la storia della parola. Nei “Racconti di Canterbury”, Geoffrey Chaucer (il Medioevo non è solo Dante), scriveva “sluttish” per riferirsi a un uomo sporco e disordinato. Nel Novecento, secolo disinvolto, “slut” era una donna disinteressata ai compiti domestici o di cura.

Negli anni Sessanta, la giornalista Katharine Whitehorn scrisse un articolo in gloria della propria “sluttishness”: “Dedicato a chi aggiusta gli orli con una spilla da balia” (un po’ come quando gli afro-americani usano con orgoglio tra di loro la parola con la “n”). Non c’era di che. Se non la voglia, appunto, di abbassarsi un po’ gli anni e di dare una riverniciata “woke” all’impero Nigella, valutato svariati milioni di sterline.
 

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