Italia-Nuova Zelanda 1-1, seconda partita del gruppo F ai Mondiali 2010 in Sud Africa (Jonathan Moscrop - LaPresse)

Pol. corr. in agguato

"All whites", per il calcio della Nuova Zelanda, è diventato un soprannome scomodo

Francesco Gottardi

Ve li ricordate contro l’Italia? Ora un progetto culturale vuole eliminare "ogni riferimento contrario all'inclusività della nazionale". Eppure le divise bianche omaggiano il rugby e le sue battaglie. Così c’è chi si domanda: "Cancelleranno anche gli All blacks?"

Questione di colore, né più né meno. I rumor c’erano da anni, in questi giorni la Federcalcio neozelandese ha ammesso concretamente la possibilità: “Abbandonare ogni riferimento ufficiale al soprannome All whites? È ancora presto per dirlo”, spiega il comunicato di Andrew Pragnell, chief executive della nazionale. “Ma questo è un aspetto importante del nostro progetto per diventare lo sport più inclusivo di tutta Aotearoa”, la Nuova Zelanda in lingua maori. Dunque, a scanso di misunderstanding e rigurgiti woke, addio al bianco. Che però nel calcio locale non ha mai avuto a che fare con ideologie suprematiste o residui di colonialismo britannico.

 

Il nickname risale ai tempi di Spagna 1982, quando la Nuova Zelanda centrò la sua prima qualificazione a un mondiale. Giocare in tenuta interamente nera – già proverbiale simbolo degli All blacks del rugby – avrebbe creato confusione con quella che allora era prerogativa degli arbitri. Così durante i match di qualificazione la squadra optò per un completo ‘in negativo’. Media e tifosi iniziarono a incitare gli All whites. E la portata dell’evento fece il resto, sigillando il soprannome. Fino a oggi.

Dice bene Vaughan Coveny, storico goleador della nazionale: “Ora cambieranno anche gli All blacks?”. L’ironia smaschera il cortocircuito del pol. corr. Che astrae, assolutizza e rimuove dalla storia: mentre il calcio trovava quell’elegante soluzione per omaggiare lo sport nazionale, fu proprio il rugby neozelandese a scatenare la protesta contro gli Springboks, i sudafricani dell’apartheid in tournée a Wellington nel 1981. E con la palla ovale c’è sempre stata intesa, mai dualismo: negli anni, grazie ai direttori di gara in divisa fluo, la seconda maglia dei calciatori è diventata finalmente tutta nera.

Fatti e buonsenso non bastano però a placare gli animi. Perché come sottolinea Pragnell, la diatriba più che al capriccio del singolo si deve “al continuo confronto con gli stakeholder e le persone al di là del calcio, che vogliono assicurarsi che l’immagine della nazionale neozelandese sia appropriata agli standard del 2021”. Rimane l’altro soprannome, se la furia animalista lo consentirà: Kiwis, in onore dell’animale simbolo del paese. Ma finora in ambito sportivo viene detto a bassa voce e con un po’ di imbarazzo: avete mai visto un uccello meno temibile e dinamico? Amen. È carino e corretto.

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