Foto: Cecilia Fabiano-LaPresse

Non definitela “gaffe”. C'è coerenza nell'odio della Murgia per la democrazia

Andrea Minuz

Dall'endorsement per Hamas della giornalista agli applausi di D'Alema a Pechino: sono rievocazioni della solida tradizione di pensiero marxista, degli oppressi contro gli oppressori come schema unico per interpretare il mondo

Ecco un rapido elenco delle cose che Michela Murgia avrebbe difficoltà a fare “stando con Hamas”, come ha scritto su WhatsApp. Anche se vaccinata con doppia dose e col green pass, non potrebbe viaggiare, né presentare libri, neanche sotto casa, senza chiedere il permesso a un parente prossimo maschile, papà, cugino, fratello, zio, eventualmente figlio (vale anche per le presentazioni su Zoom). Poi dovrebbe cambiare titoli ai suoi libri: “Istruzioni per diventare integralisti”, “Stai zitta. E altri nove frasi che vorremmo sentire di più”, e fare il podcast “Solo il mansplaining arabo ci salverà”. Addio asterischi, addio “schwa” su Repubblica, addio lotta al patriarcato, addio editoriali, corsivi, cancelletti e arcobaleni su Instagram e battaglie per femminicidi, gender gap, delitti d’onore. Addio gay pride e addio ddl Zan.

 

Benvenuto reato di “turpitudine morale”, con cui scatta la condanna a morte senza processo. Casomai avesse voglia, perché la passione per lo sport s’accende improvvisa e non conosce età, non potrebbe la Murgia partecipare alla maratona di New York, a meno di non correre fianco a fianco a un uomo, per esempio Chef Rubio sarebbe perfetto. Non potrebbe salire in moto e sfrecciare sul litorale nelle notti d’estate, ma forse questo le interessa meno, e non potrebbe fumare in pubblico, anche se lei non fuma. Ha detto anzi, Murgia, che eliminerebbe dal mondo i fumatori, vorrebbe un paese governato da letterati e obbligherebbe tutti a fare teatro, con un editto di quelli che piacerebbero a Hamas (a patto che a teatro s’insegni l’odio per Israele).

 

Ma cambiando battaglie sui giornali e aggiustando un po’ il tiro non è detto che si troverebbe poi così male. Anzi. La fascinazione degli intellettuali per chi odia la democrazia e viola i diritti umani (purché fuori dall’occidente) ha origini antiche, ma ogni volta si ripete uguale a se stessa e da noi va sempre fortissimo. Ecco un ex presidente del Consiglio che esalta lo “straordinario salto verso la modernità e il progresso” compiuto dalla Cina. Ecco un’editorialista di punta dei giornali più giusti che “sta con Hamas”.

 

Non c’è da stupirsi. Bisogna invece essere grati a Massimo D’Alema e Michela Murgia. Perché queste non sono gaffe, “scivoloni” o frasi infelici estrapolate fuori contesto, ma rievocazioni di una solida tradizione di pensiero. Conclusioni logiche, trasparenti, coerenti. Mao come un benefattore dell’umanità, il partito unico come sfolgorante segno di progresso e desiderabile progetto di modernità, Hamas come epica resistenza all’ordocapitalismo giudaico (e pazienza per il patriarcato, una cosa alla volta).

 

E’ questo da sempre il vantaggio del pensiero marxista su tutti quanti gli altri, la lotta degli oppressi contro gli oppressori come schema unico per interpretare il mondo e la possibilità di far coesistere gli opposti, con una magnifica nonchalance. Più ci si batte per la laicità dello stato e l’ingerenza della chiesa in Italia, più ci si stringe il cuore per il terrorismo di ispirazione religiosa in medio oriente. Dov’è la contraddizione? Valga allora anche per gli Azzurri. Se il Black Lives Matter non convince fino in fondo, possiamo sempre inginocchiarci per Hamas, per la Cina, o contro l’ordoliberismo dei consulenti di Draghi.
 

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