La scuola senza poesia
Gli inglesi eliminano i poeti dai programmi scolastici. Ben fatto! I versi devono essere liberi
Gli inglesi, beati loro, hanno il punk introiettato. Sono punk tutti, sempre, anche senza volerlo, senza accorgersene. Martedì il Times ha scritto che la poesia verrà rimossa dai programmi del GCSE (General certificate of Secundary Education, il diploma secondario che si prende a sedici anni) e così gli studenti che decideranno di farsi esaminare in letteratura inglese, dovranno studiare soltanto romanzi novecenteschi e opere teatrali scritte dopo il 1914 nei paesi anglosassoni. Via la poesia dagli esami significa, naturalmente, via la poesia anche dai programmi scolastici. Si tratta, per ora, di una misura momentanea, che varrà per i test del 2021, ai quali si prevede che i ragazzi arriveranno più affaticati del solito, con addosso l’anno scolastico ordinario e il recupero di tutto quello che hanno perso durante il lockdown del 2020. Riporta il Times che, secondo l’Ofqual, l’ufficio governativo non ministeriale che regolamenta esami e certificazioni scolastiche in Inghilterra, lo sgravio allenterà la pressione su studenti e insegnanti, che trovano la poesia ostica, difficile da insegnare, apprendere, amare, capire.
Siamo indignati, non è vero? Come si permettono questi inglesi di ritenere la poesia un peso, di falcidiare i programmi scolastici col funzionalismo? Proprio loro che hanno avuto Shakespeare, Milton, Keats, John Donne. Proprio loro che hanno Kate Tempest, una delle migliori spoken word performer del mondo, una poetessa rapper – o una rapper poetessa, è uguale, cambiando l’ordine degli addendi la somma non cambia. E invece hanno ragione loro. Fanno bene, anzi benissimo. Dicono di farlo per via del coronavirus – “poetry is a coronavirus casualty as GCSE exam pared back” – ed è senz’altro così, però non è tutto. Sono inglesi, c’è sempre un lato punk in quello che fanno, una ragione, un movente, un riflesso punk. Noi siamo “anarchici molto disciplinati” (Altan) e non lo faremmo mai per paura di scontentare il liceo classico che ci portiamo dentro, non certo per amore della poesia. Portarla fuori dalle scuole, invece, significa liberarla, restituirla all’esilio che le è coessenziale, volerla libera e lasciarla alla libera scelta, alla scoperta individuale, alla vocazione, al caso. La scuola non è un paese per poeti, e non lo è non per declino culturale, catastrofe generazionale, smarrimento di valori: non lo è perché non lo è. La poesia non è fatta per essere spiegata. Non è fatta per essere necessaria. E’ clandestina, perdibile, inessenziale, a volte detestabile. Non avvalora, non schiude, non risolve. La maniera migliore per farla vivere è lasciarla libera di essere scelta oppure ignorata. Levarle di dosso professori che la detestano e la propalano come fosse un compitino. Scomponendola, contestualizzandola, raccontandola, interrogandola e, così, addomesticandola, ammansendola fino ad annientarla del tutto. Diceva magnificamente Ennio Flaiano: “Sempre caro mi fu quest’ermo colle a scuola diventa questa collina m’è sempre piaciuta”.
Dovremmo rubare l’idea agli inglesi, e naturalmente fingere anche noi che la ragione per cui togliamo Pascoli ed Emily Dickinson dalle scuole sia la stanchezza degli studenti, di questa ingrata irrecuperabile ineducata generazione pappamolla, che però è piena di poeti. Basta ascoltare qualche buon disco rap (Massimo Pericolo, per stare a casa nostra), qualche buon cantautore fuoriuscito dall’indie (Lucio Corsi, same), scovare tra gli scaffali delle librerie che ancora osano pubblicare raccolte di minuscole case editrici, persino spulciare Twitter.
Le scuole e le università sono ostili alla poesia, e anche alla verità, di cui la poesia è, secondo certi molti ispirati, voce. Qualche giorno fa l’Atlantic ha raccontato che a Princeton stanno pensando di istituire una commissione di professori che vigilino sugli altri professori affinché non diffondano idee, autori, comportamenti razzisti. Un docente ha così commentato: “Un tempo il nostro scopo era la verità. Adesso puntiamo alla giustizia sociale”. La poesia non s’arruola, ne resti fuori. Viva l’Inghilterra.