CoronaDating

Simonetta Sciandivasci

Flirtare online non è mai stato più classista. Allietate la quarantena con Netflix, non su Tinder

Vivere è incontrarsi. Su un’App, naturalmente, con ragguardevole risparmio di tempo, benzina, parrucchiere, pazienza. Per non dire del contenimento del rischio di contagio. Ora che la pandemia ci costringe in casa, soli ma non isolati e anzi iperconnessi, flirtare online non è più da sociopatici iellati mostri, ma da persone normali, agili conversatori, brillanti carrieristi, mondani reclusi per direttiva aziendale. Da mossa della disperazione il dating virtuale diventa nobile ancoraggio allo scambio umano, manutenzione dell’affetto, resistenza al terrore che gli altri ci fanno, ora che sono tutti potenziali untori, oltre che inferno. Potete smettere di vergognarvi di cercare sesso con o senza cuore su Tinder e i suoi fratelli; potete usare una foto profilo che non sia un geranio o il ritratto in penombra di quando avevate ventidue anni; potete raccontare di aver conosciuto vostro marito quando era un account. Nessuno vi giudicherà, e molti, forse tutti, diranno metoo.

 

Grazie coronavirus per aver abolito i residuali pudori di noi millennial tardivi, noi che per colpa del catechismo e dei natali per metà digitali e per metà analogici ci sentivamo in colpa e sbagliati per aver sempre sognato e intimamente desiderato di poter appaltare la scelta della persona giusta a un algoritmo, e di poter flirtare senza scopo di relazione, d’incontro, di cena, poter flirtare per fiction, per diventare noi veramente noi senza sconforti e lacrime e sofferenze e poi.

 

Però, signori, che siate millennial o boomer o X o Y o Z, ricordate che l’algoritmo ci fa male; che una insostenibilità di nuovo conio, il whelming, sta mietendo molte vittime tra i chattanti (siete vittime di whelming quando flirtate con un qualche mitomane che si lagna a ciclo continuo di quanto non riesca a star dietro a tutte le richieste di contatto che gli vengono recapitate, incluse le vostre); che le App di dating hanno le loro tremende controindicazioni, e vi alienano, illudono, disilludono, e alimentano il capitalismo che è in voi e di cui dovreste avere più paura di quanta ne abbiate di quello fuori di voi, ormai imbattibile perché indistinguibile dai suoi nemici, che ha agilmente assorbito. L’Atlantic ha scritto che Tinder e i suoi fratelli ci riducono a merci, ci convincono di poter manipolare gli altri e plasmarli a immagine e somiglianza dei nostri desideri e, prima di ogni cosa, irregimentano le regole dell’attrazione in un meccanismo di mercato. Esempio: il maschio che si mette in vetrina su Tinder rendendosi massimamente desiderabile, impiegando le più affinate tattiche di marketing e senza però ottenere neanche un caffè, una telefonata, un aperitivo su FaceTime, s’innervosisce, s’arrabbia, diventa ossessivo forse violento, di certo tossico. Oppure, che è peggio, si rintana in casa, si strugge, si sente sbagliato, inapplicabile, indesiderabile, e scompare alla vista del prossimo, e fa della sua vita una quarantena (l’Atlantic cita una ricerca dell’Ohio State University che evidenzia come questo tragico esito tocchi tanto alle donne quanto agli uomini). E’ chiaro: se le App di incontri ti dicono che esiste un modo matematico di piacere, di avere l’amore o il sesso o la compagnia, e poi invece tu collezioni esclusivamente rifiuti, sei indotto a pensare che la falla siano gli altri o (dramma) tu.

 

OkCupid ha rilevato che, negli ultimi dieci anni, gli standard che le donne adottano nella ricerca di possibili partner sono diventati classisti, razzisti, sessisti. Irrealistici. E allora andateci piano, in questa quarantena, con quel Tinder. Scegliete altre illusioni, scegliete il cinema, ché la Cineteca di Milano ha messo in streaming tutto il suo catalogo. E se siete fessi, invece, c’è pur sempre Netflix.

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