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La brutta età dell'ansia e del disgusto

Antonio Pascale

L'estate è rovente, l'accoglienza indiscriminata, quella degli stranieri è un invasione e addio aereo, meglio la barca a vela. I superlativi nell'informazione e nella vita pubblica ci rovinano la giornata. Mettendo a rischio anche la democrazia. Un saggio

Io sottoscritto Antonio Pascale, nato a Napoli nel 1966, e attualmente (da trent’anni) residente a Roma, dove lavoro, ecc. ecc., insomma… dichiaro di non essere nel pieno possesso delle mie facoltà mentali perché sto diventando ansioso. E mica solo io, pure voi. Noi collettività, noi mondo, universo intero. Non so dirvi, visto lo stato d’ansia, se questa mia opinione è reale e perlomeno condivisa, oppure falsata dall’ansia. Però l’ansia è reale, e l’ansia attiva il cortisolo e il cortisolo influenza l’umore e le opinioni e dunque le decisioni: e poi sono casini, casini per la democrazia, capite bene il ginepraio? Parte del problema – dell’ansia, dico – è la qualità dell’informazione generalista e no. Dai, meglio parlare fuori dai denti. Tanto sto ansioso e quindi solo fuori dai denti posso parlare. Allora, mi sveglio presto la mattina e leggo, in rete o sul cartaceo, i giornali (lasciamo stare la tv) e a volte rimango colpito dalla quantità di aggettivi superlativi usati, da alcune informazioni meteo che lasciano presagire giornate roventi che nemmeno l’inferno, bollini eternamente rossi che ti si appiccicano ovunque, poveri anziani (e io ormai lo sono quasi, non tanto per colpa dell’anagrafica ma per via dell’ansia suddetta) che si bagnano a una fontana che zampilla acqua con quelle onomatopee alla Palazzeschi. Metti le invasioni mirabolanti di stranieri, sostituzioni di sangue, alto tradimento e perdite di cittadinanza, resistenze a oltranza, accoglienze indiscriminate, fantomatici valori civili sventolati, chi spara, chi apre e chi chiude, furti, rapine, allarmismo a manetta, video di disastri, che poi non sono disastri ma disastri presentati come disastri, governi sempre in bilico: ecco sta per cadere, un attimo e cade. E via con discussioni, ore e ore di discussione in onda, e poi non cade, ma che vuoi cadere, però in effetti l’ansia anticipatoria porta a queste conclusioni, e non solo sul governo. Voi direte: colpa dei sovranisti. Lo fanno per mestiere e lo fanno pure bene. E io, siccome sto ansioso, vi rispondo no no, pure noi, noi non sovranisti, quando tocca a noi parlare di una cosa esageriamo nell’altro versante. Magari ci viene ansia di accoglienza, e quella di salvare il mondo, riciclare ogni ben di Dio, calcolare quanto ghiaccio fai sciogliere se prendi un aereo, e dopo aver consultato un motore di ricerca con fantastico algoritmo e hai trovato una tariffa molto conveniente, che ora te li faccio vedere io i Caraibi, insomma, dopo il motore di ricerca, ti tocca usare le tabelle pitagoriche per capire se c’è un tragitto alternativo, rapido e conveniente che sostituisca la ricerca appena fatta. Forse c’è, la barca a vela, però tutto quel sole e sale sulla pelle non mi farà male? E sale l’ansia, molta ansia, e una mattina ti svegli e la pompa di cortisolo è impazzita, vai a leggere i giornali, tutto un disastro e ti rendi conto che l’unico modo per salvare il mondo, ma veramente e in fretta, è una epidemia che porti il conteggio delle persone da quasi otto miliardi odierni a (chessò) un miliardo. Un miliardo compreso te, ovvio. Comunque ben dislocati, soprattutto nessuno nelle foreste pluviali, sennò disboschiamo. Bisognerebbe puntare non su un’estinzione casuale, alla Thanos col suo guanto dell’infinito, il 50 per cento degli esseri senzienti di tutto l’universo e come va va. Al contrario, estinzione programmata, ben calibrata, e quindi sono le sei di mattina e io sto già uno schifo, sono una merda e odio tutti perché non mi permettono con la loro ingombrante presenza di essere sovranista, buonista, accogliente o respingente e devo darmi da fare per mettere a frutto l’ansia e non macerarmi con l’idea che tra tutti gli otto miliardi sono io quello che non conta niente. Allora scrivere titolo o tweet per a) premettere che sto ansioso e lo dovete essere anche voi, b) dire che, appunto, siamo sull’orlo del baratro, c) naturalmente sperare che questo titolo ansiogeno attiri lettori ansiosi e mi faccia rientrare con le spese, aumenti il numero di follower così poi, se l’ansia non passa, posso sempre diventare politico e sfruttare gli ansiosi che mi seguono.

 

Ora, secondo voi, con quest’ansia addosso ce la possiamo fare? Se non riusciamo ad amministrare nemmeno noi stessi, vittime come siamo dell’ansia. Perché l’ansia, poi, è la sorella gemella del disgusto. Anzi, prima viene il disgusto, poi l’ansia e l’ansia rafforza il disgusto. Tutto mi disgusta perché tutto è pericolo. Il disgusto sta divenendo a forza di titoloni aggettivati e modus vivendi generalizzato il motore principale della democrazia. Quello mi disgusta e io disgusto lui. Emozione potente e primordiale, si fa proselitismo col disgusto, che non ne avete idea. Nell’arco di una giornata, causa ansia (e quel sentimento di pericolo che avverto ovunque, anche in una innocua scelta) mi accorgo di provare disgusto, già dalle sei del mattino, per animalisti, sovranisti, vegani, carnivori e onnivori, buonisti, Salvini e quelli che provano disgusto per Salvini, quelli di Libero e quelli di Repubblica, Mario Giordano e Gad Lerner, ho voglia di telefonare in diretta alla Zanzara e dire il peggio di cui sono capace, oppure dire il peggio della Zanzara sulle colonne di un giornale snob. Quindi vi chiedo: con questo disgusto addosso, che io e voi condividiamo, siamo davvero sicuri che ce la possiamo fare? Con la democrazia, dico. Oppure, l’ansia e suo fratello maggiore, il disgusto, ci impediranno di fare buone scelte e di raggiungere, come voleva Platone, a forza di filosofia e buon ragionamento, la felicità tanto agognata?

 

Tutto mi disgusta perché tutto è pericolo.
Il disgusto sta divenendo a forza di titoloni aggettivati e modus vivendi generalizzato
il motore principale della democrazia.
Quello mi disgusta e io disgusto lui. Emozione potente e primordiale, si fa proselitismo col disgusto, che non ne avete idea

Siccome in questo momento c’ho l’ansia e vi disgusto vi dico di no: sinceramente no! Siamo troppo influenzabili per portare a termine scelte logiche e ponderate. Troppo animati da ansia e disgusto per proporre un’alternativa credibile, cioè, per esempio, un ragionamento sereno, senza pregiudizi, volto a risolvere i problemi e non a incentivare il proprio personale tornaconto, elettorale o altro. Perché di questo avremmo più di ogni altra cosa bisogno: vista la complessità del mondo, ci vuole una coraggiosa lettura complessa, quindi ragionamenti pacati, logici, che abbassino l’ansia, e sì, che ci permettano di proporre non soluzioni semplici semplici ma chiare. Sì, fare chiarezza, oltre la nostra coltre d’ansia, turbolenta e torbida. Ma capite bene che questo modo (in realtà eccelso e nobile) di ragionare, che richiede rispetto delle idee dell’avversario, profonda capacità empatica ecc., non funziona più. Poi, soprattutto, chi lo finanzia? Chi è disposto a perderci soldi e follower?

 

Mo’ sarò ansioso, quindi fate la tara, ma il disgusto fa vincere le elezioni, compatta, crea un nemico perché separa i puri dagli impuri, poi mette su carta un contratto di lunga durata, perché il disgusto è una delle prime emozioni che ci hanno resi umani, quindi dovremmo essere post umani per superarla: non vi fa venire ansia diventare post umani? A me no, ma forse è lo stato d’ansia che mi fa parlare così. Durante la campagna elettorale, Trump, riferendosi agli avversari politici li ha spesso etichettati come disgustosi. Una volta, c’erano ancora le primarie americane, la Clinton si presentò in ritardo al dibattito con Sanders perché si era assentata per andare alla toilette, ebbene: il giorno dopo Trump, di fronte ai suoi sostenitori a un comizio a Grand Rapids, arricciando il naso e mettendo su la classica posa di disgusto (e tutti a ridere) disse: so dove è andata… è disgustoso non voglio parlarne. E’ una cosa troppo schifosa. Capite, la cosa che unisce tutti (una volta c’erano anche delle vignette sulle tazze da cesso a mo’ di livella universale) diventa strumento di separazione e lotta politica. Poi Trump ha usato da presidente il termine svariate volte, e altri eufemismi, e il suo disgusto ci ha invasi, ci ha fatto venire ansia e abbiamo cominciato a essere disgustati anche noi. Stamattina per esempio mi disgustano i capelli di Trump e la pancia di molti politici italiani, esposti al sole e al mare. Siamo figli del passato, e appunto non siamo post human, e questo vuol dire che abbiamo paura delle contaminazioni e se sentiamo parlare di germi e batteri tendiamo a respingerli. Loro e quelli che pensiamo li portano con sé. Del resto fino al secolo scorso si moriva di infezioni, i batteri invadono, conquistano e ammazzano con molta facilità, perciò ci stiamo attenti.

 

Facciamo un esperimento sociale (è stato fatto) chiediamo a due gruppi di persone (uno vaccinato contro influenza l’altro no) di esprimere un bel e motivato parere sull’immigrazione e prima di sottoporli al test (motivato e ben costruito) gli ricordiamo che siamo nel pieno di un’epidemia influenzale e quindi è meglio lavarsi le mani e seguire le altre regole di base per la prevenzione, e magari in maniera casuale a qualcuno permettiamo di usare il disinfettante e ad altri no, ebbene ecco il disgusto e l’ansia che lavorano sottobraccio durante il test. Il gruppo vaccinato (o quelli che si erano lavati le mani) esprimeranno considerazioni favorevoli sull’immigrazione (e va bene, in fondo erano progressisti e buonisti), quelli non vaccinati saranno (sorprendentemente, trattandosi di progressisti e buonisti) molto duri sul fenomeno. Ora, una delle presunzioni che fanno di noi umani esseri meravigliosi e stupidi insieme è quella di credere al libero arbitrio, insomma la sicurezza che scegliamo a o b dopo un’attenta analisi, tenendo tutto sotto controllo e valutando bene le carte in tavola. Invece, sia per le piccole cose sia, a cascata, per quelle più importanti, le nostre scelte sono influenzate dal nostro passato, e cioè si fondano su bisogni profondi e primordiali e reazioni emotive forti, come, appunto, il disgusto. Siccome c’è l’influenza in corso e i batteri circolano e siccome (erroneamente) attribuiamo il contagio agli immigrati, o comunque a elementi fuori dal nostro gruppo, se non ci sentiamo al sicuro (non siamo vaccinati, non ci hanno fatto lavare le mani) riteniamo sia meglio che gli immigrati non entrino.

 

Siamo troppo influenzabili per portare a termine scelte logiche e ponderate. Troppo animati da ansia e disgusto per proporre un’alternativa credibile, cioè, per esempio, un ragionamento sereno, senza pregiudizi, volto a risolvere i problemi e non a incentivare il proprio personale tornaconto, elettorale o altro

Nel secondo caso, perché ci sentiamo al sicuro, la musica cambia. Il disgusto per prima cosa fonda un gruppo. Altra emozione primordiale, mammiferi e gregari come siamo. Fate un esperimento (questo l’ho fatto pure io), pescate a caso palline blu o rosse. Fatto? Bene, avete una blu. Ora dovete dare dei soldi al vostro prossimo, chi scegliete se non conoscete nessuno del vostro prossimo? Uno che ha la pallina blu o rossa? Blu blu, garantito. Per forza, è uno che appartiene al nostro gruppo, per caso, certo, ma siamo pronti a scommettere che è come noi, puro e pronto a combattere l’impurità. Capite come su queste premesse basti poco a fortificare il gruppo: dai, un po’ di disgusto, ed ecco fatto. Dopo si costruiscono muri per la difesa, si elegge un leader che dovrebbe parlare a nome dei puri barricati dentro. Se il nemico fuori muore ecco che ne arriva un altro. Diciamo che le palline blu sono quelle dei sovranisti. Pensate di essere diversi se prendete la rossa dei progressisti? Sì, no, forse, se siete diversi dipende in ultima analisi dalla differenza di metodo, se, a vostro modo, alimentate disgusto e ansia siete uguali ai blu e le differenze verranno via via appiattite. Poi naturalmente gli psicologi cognitivi ci offrono soluzioni e forse ci sono (almeno una volta lo pensavo, ma allora non ero ansioso) ma capite bene che una potente corazzata fa a pezzi un piccolo tender che naviga sia pure con stile ed eleganza sul mare mosso quotidianamente dall’ansia e dal disgusto della corazzata di cui sopra.

 

Ancora, sono sicuro che psicologi, filosofi, intellettuali ecc., possono creare delle zone di resistenza (logica, pensiero chiaro, abitudine al ragionamento, attenzione contro le stesse nostre fallacie, attitudine a costruire ponti e non a distruggerli), e un po’ come i gloriosi cittadini russi durante l’assedio nazista, casa per casa, riconquistare spazio e scacciare, sia pur dopo sforzi inumani, l’aggressore. Ma per la liberazione completa bisognerebbe cercare un metodo di lotta che non preveda né ansia né disgusto e dunque, tornando a noi, l’informazione tutta dovrebbe coalizzarsi per combattere il nemico, stanarlo, rompere i ponti e… come vedete sto propugnando un metodo di lotta nuovo e nello stesso tempo usando vecchie metafore di guerra (in verità, da quando ho cominciato questo pezzo). Sinceramente, siccome ho il disgusto per il disgusto in cui siamo caduti e ansia per l’ansia che ci circonda, e come ho detto nell’incipit non sono in possesso completo della mie facoltà, non vedo via di uscita da questo ginepraio se non quello di ventate (che ansia) post human. Tuttavia spero che voi stamattina non vi siate alzati con la mia stessa ansia, altrimenti siamo messi molto male. Se siamo messi male noi e dalla mattina presto, figuratevi la democrazia.

Ps. Qua (pensavo) ci vuole dunque un titolo a effetto, altrimenti mi prende l’ansia che nessuno mi legge e poi la democrazia dove va a finire?

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