Turisti alla fontana di Trevi a Roma (foto LaPresse)

Come si sopravvive all'overturismo? Uno studio (che non è rassicurante)

Luciana Grosso

I principali effetti negativi della costante presa d’assalto di spiagge, isole, città, montagne che il turista non considera

Milano. Viaggiare per piacere, per curiosità e per scoperta porta con sé enormi e innegabili vantaggi. Alcuni concreti (lo sviluppo economico delle zone che si visitano, ma anche di quelle dei luoghi di partenza, in termini di compagnie aeree, agenzie, guide…) e altri impalpabili: fa bene all’anima, alla cultura e persino all’aneddotica da sfoderare a cena. In teoria, vincono tutti: il viaggiatore, che si arricchisce in esperienza, e l’ospite, che si arricchisce in denaro. Il problema però è che una cosa ottima al termine della quale dovrebbero vincere tutti a volte si trasforma in un suk dozzinale e sudaticcio, in cui alla fine, sorpresa!, tutti perdono. E’ l’effetto di quello che viene definito “l’overturismo”.

 

Secondo i dati delle Nazioni Unite, ogni anno, per puro piacere, si spostano un miliardo e 400 mila persone. In pratica un sesto del mondo. Un dato cresciuto del 57 per cento dal 2008. E cosa succede se un luogo il cui fascino sta proprio nell’essere incontaminato da secoli o da millenni viene travolto ogni giorno da migliaia di persone? Succede che quel posto in breve tempo non esiste più. Se non concretamente (pericolo che pure, in alcuni delicatissimi ecosistemi, come Venezia, l’Islanda, il Taj Mahal, l’Annapurna, c’è) almeno in spirito (vedasi l’ormai impraticabile piazzetta di Montmartre, o l’ex selvatico Salento, o l’ormai invisibile, nel senso proprio che è impossibile vedere qualcosa, Cappella Sistina). Il World Travel & Tourism Council ha elaborato con McKinsey & Company uno studio sugli effetti dell’overturismo (si chiama “Coping with success”, che potremmo tradurre con “Sopravvivere al Successo”, si trova online). Il report si premura di mettere in fila i principali effetti negativi della costante presa d’assalto di spiagge, isole, città, montagne. E sono esiziali.

 

 

Il primo punto dell’elenco del report è “Alienazione dei residenti”: detto in termini molto semplici, significa che chi abitava nei luoghi più amati dai turisti, soprattutto città, ne è stato sbattuto fuori. Succede sia perché la ressa rende impraticabili i centri storici (chiedete a un fiorentino quand’è stata l’ultima volta che è andato in Piazza della Signoria) sia perché la facilità e la redditività di AirBnB hanno reso di fatto impossibile trovare una casa da affittare. Il risultato è facile da intuire: se girate per il centro di (per esempio) Parigi, avrete più possibilità di incontrare un coreano che un parigino. E la famosa “atmosfera” per cui siete andati fin là? Amen, vi toccherà cercarla nei film di Truffaut, comodamente dal divano di casa vostra. Che poi è esattamente da dove siete partiti.

  

Il secondo punto dell’elenco è “Esperienza turistica degradata”: appunto, come dicevamo. A questo poi si aggiunge che se pensate di avere un’epifania mistica davanti al Boudanath Stupa di Kathmandu, dovrete sgomitare tra orde di occidentali in cerca dello stesso misticismo o, almeno, di un buon selfie. Lo stesso se pensate di godere un bellissimo tramonto su una spiaggia tropicale, dovrete faticare non poco per farvi spazio tra altri che vi contenderanno l’ultimo spicchio di sole.

 

Terzo e quatto punto dell’elenco: “Infrastruttura sovraccarica” e “Danni all’ambiente”: qui le cose si fanno pesanti, perché a passarsela male non è soltanto la nostra aspettativa di visitatori, ma anche l’integrità del luogo stesso che siamo andati a vedere. I marmi del Taj Mahal, per dire, sono messi a rischio dal via vai continuo di circa 50 mila visitatori al giorno. L’Annapurna viene sporcato ogni anno da centinaia di tonnellate di rifiuti lasciati lì dai suoi 100 mila ospiti. Di recente, la spiaggia thailandese di Maya Bay è stata chiusa perché l’afflusso di cinquemila persone al giorno ne ha completamente distrutto l’ecosistema.

 

Quinto punto: “Minacce alla cultura locale”: sì, c’è anche questo, perché se prendi, per esempio, un popolo di pescatori, come erano fino a 50 anni fa gli abitanti delle Maldive, e lo trasformi in un popolo di camerieri, baristi e venditori di souvenir, inevitabilmente alla cultura e al tessuto sociale ed economico di quel posto lì, verrà a mancare un pezzo. E quel pezzo, prima o poi, presenterà il conto della sua assenza.

  

Se quello che avete letto fin qui non vi è piaciuto e pensate che il quadro qui dipinto sia desolante – anche perché è estate, siamo tutti turisti ora – sappiate che peggiora. La cattiva notizia è un’altra: nessuno, per ora, ha idea di come uscirne.

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