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Cantagiro triste

Simonetta Sciandivasci

Quest’anno le canzoni dell’estate hanno voglia d’inverno, schifano la Polinesia, ci spediscono a Bari invece che a Bali

Sotto il cielo dell’estate italiana non c’è quasi nessuno, e infatti la canzone più ascoltata su Spotify questa settimana si chiama “Ho paura di uscire 2”, è di Salmo e Machete, un collettivo di rapper sardi, e finisce così: “Io non voglio più tornare a casa che nessuno mi riporti a casa voglio solo fare fuori il sole”.

 

Jean-Paul Sartre scrisse che “Lo Straniero” di Albert Camus era un libro che arrivava dall’altra parte del mare e raccontava di un uomo che aveva ucciso un arabo a causa del sole, che se ci pensate assomiglia molto a certe trame sotto il cielo delle estati europee degli ultimi anni, che effettivamente la paura di uscire ce l’hanno messa eccome, e così siamo rimasti a casa, ad aspettare che qualcuno facesse fuori il sole, a non aspettarci niente, che è un grande esercizio di fiducia, o ad aspettare l’autunno, e poi l’inverno, e il vento caldo di un’altra estate, quello che fa rifiorire le gioie passate, perché “anche la neve morirà domani e l’amore ancora ci passerà vicino” (e questo era Fabrizio De André).

 

In verità, tanto le speranze quanto le attese volano basso nelle canzoni estive del 2019, che sono tutte piuttosto brutte, o tristi, e hanno l’ennui, e le peggiori sono quelle che fingono che va tutto bene, tutto come sempre, e che siamo ancora avventurosi e selvatici, e che l’attimo è ancora appagante, il Salento è ancora la meta, le ragazze salentine sono ancora la soluzione. “Non c’è bisogno di niente quando la notte ti prende tra il cielo e la savana, segui il fiume all’orizzonte, dove l’estate non cambia colore dai che è vicino anche il sole sopra alla linea dell’equatore”, canta Giusy Ferreri con Takagi & Ketra e OMI (e chi sono, e quanti, e perché, e da dove arrivano, e come mai non hanno un nome vero, non saranno i figli dei Wu Ming?).

 

Che fatica, Giusy, scusaci, a far l’amore nella savana comincia tu.

 

“Sta cadendo una stella è solo un punto nel cielo ma la più bella è già a terra affianco a me ho espresso già il desiderio sta ballando come se il mondo la guardasse”, cantano i Boomdabash con Alessandra Amoroso (anche se voi avete pensato che fosse lo Zecchino d’Oro di Galatina) e aggiungono: “Sei diversa, sei speciale, tu sei salentina”. Prima le salentine. E fine del juke box contento.

 

E’ un’estate malmostosa, questa, e non perché sia successo qualcosa di terribile, più terribile del solito, anzi, l’Europa non è esplosa e il cambiamento climatico non ci ha escoriato la faccia e Bradley Cooper e Irina Shayk si sono lasciati come volevamo tutte (streghe che siamo) perché purtroppo la democrazia diretta ogni tanto funziona e poi ci sono molte ragazze che promettono di far bene in posti dove prima non ce n’erano mai state e Alexandria Ocasio-Cortez ha twittato l’altro giorno: “Abbiamo il potere di trionfare su odio, divisione e bigottismo”. Altro?

 

L’estate malmostosa. Dino Risi sconsigliava di andare in vacanza in questo periodo: “Troverete soltanto gente di cattivo umore”

Dino Risi sconsigliava di andare in vacanza in estate. “Troverete soltanto gente di cattivo umore”, diceva, e aveva ragione e le canzoncine cominciano a smettere di farci da antidoto, medicina, placebo, serotonina, di aiutarci a partecipare alla grande recita dell’allegria.

 

Trasparenza, onestà: l’estate la odiamo tutti come e più di Bruno Martino, e non solo per via degli amori perduti, che in estate vanno a rinfrescarsi lontano da noi, e ben oltre il Salento, e a settembre forse tornano, perché a settembre recuperano i ciucci e i distratti.

 

La odiamo tutti perché è finta, e non succede niente, e siamo stufi di sforzarci di far succedere qualcosa innamorandoci, viaggiando, uscendo, scappando, stando senza pensieri. Non ci va.

 

La odiamo più di Bruno Martino, e non solo per via degli amori che vanno via e forse a settembre tornano, come i ciucci

“Ti giuro amore, non mi va, di andare al mare non mi va, la Polynesia non mi va, di fare le cose soltanto per fare fantasticare, fantasticare e fare le cose nel mondo ideale”, canta Gazzelle, e benedetta sia la disintermediazione, altrimenti sarebbe forse rimasto a suonare in uno scantinato, e noi ad ascoltare i redivivi di Sanremo, quelli che credono ai tormentoni estivi in modo tanto indefesso da scriverli insieme agli assessori al turismo (perché solo un assessore al turismo può pensare che “Sei diversa, sei salentina” stia bene in una canzone, no?).

 

Non ci va neppure la spensieratezza, abbiamo capito che è una recita spossante, oppure che non si porta più, dopotutto l’impegno in spiaggia lo aveva portato già J-Ax con Fedez, quando insieme cantavano “Vorrei ma non posto” e insultavano Chiara Ferragni, e poi è finita che uno dei due l’ha sposata, ci ha fatto un figlio molto biondo, in omaggio del quale s’è tinto di biondo anche lui. Adesso J-Ax le canzoni le scrive da solo, e quella dell’estate 2019 fa così: “Tutti parlano di fare la vacanza colta ma poi alla fine vanno dove c’è gnocca sai la gente quando il sole scotta come Peter Pan vuole fotterti l’ombra, quando penso agli anni passati che flash, noi così proletari altro che Bali Bali sognavamo Bari Bari”. Anche J-Ax non si fida del sole, quell’assassino preterintenzionale.

 

E’ un’estate così spenta che rivorremmo indietro persino la povertà (è stata una pessima idea abolirla, caro governo). E rivorremmo indietro le morte stagioni, per piantarla con le illusioni, tanto che persino Rovazzi, insieme a Loredana Bertè e J-Ax (appunto), canta che “Il mondo finirà non ti devi preoccupare, pronti con la prova costume per il riscaldamento globale”, tentativo estremo di instillarci il senso di colpa per le sorti del pianeta, caso mai il senso di colpa per le occasioni maciullate per pigrizia o protervia ci lasci spazio sul lettino del rimpianto.

 

Procediamo con i resoconti, i Ministri suggeriscono che “pensavi che fosse amore e invece è soltanto un viaggio e per fortuna non si vive per sempre io l’altro giorno mi sono accorto che non ho più voglia di niente”. E anche loro d’estate parlano d’inverno: “Allora Dio, anche se non ci sei, ti prego resta un po’ con noi fino alla fine dell’inverno, fino alle porte dell’inferno”.

 

Piangeva Luca Carboni, piange Gazzelle, sentenzia J-Ax, traballa Baby K, naufraga Rovazzi. Sta benone solamente Jovanotti

I russi, gli americani, i resoconti nichilisti dei millennial annichiliti. Che brutta estate è la bella estate, dopotutto bella è l’anagramma di balle e aveva ragione Luca Carboni, che molti anni fa cantava: “Se anche la leggerezza ha il suo aspetto pesante piange anche un cantante e tu non ci crederai ma piange anche un dj, anche se ha quella voce ok”. Piangeva Carboni, piange Gazzelle, sentenzia J-Ax, traballa Baby K, naufraga Rovazzi.

 

Sta benone soltanto Jovanotti, che però nella vita ha avuto culo, e ha incontrato una alla quale riesce ancora a dire “fermo immagine e tu regina, richiami a grandi imprese i pazzi come me”, e glielo dice dopo molti anni, gli stessi che noi tutti abbiamo trascorso a disilluderci e leccarci le ferite e fare una valutazione oggettiva del precariato e vedere come aggrediva tutto, dall’amore all’amicizia, dalla macchina alla spesa, dalla spesa alla sposa, per poi dirci, finalmente risolti, che la nuova èra di cui canta Jovanotti ci sarà senz’altro, però solamente a casa sua, o nel tempo del suo tour, il Jova Beach, dove non andremo perché sembra troppo felicitante, esaltante, dirompente, insomma un raduno di Papaboys.

 

Non che non si creda nel futuro, per carità, ma è un fatto di pragmatismo e non di voglia.

 

Romina Falconi ha lanciato il suo singolo estivo insieme all’agenzia funebre Taffo, quella molto attiva sui social network, e che ogni tanto cinguetta cose che sembrano uscite da un libro di Luciano De Crescenzo – mentre tutti condividevamo la nostra foto da vecchi realizzata con FaceApp, la Taffo consigliava di andarci piano, “perché poi è un attimo che si finisce così” e sotto foto di una bara.

 

La canzone di Falconi si chiama “Magari muori” e fa così: “Dai, goditi la vita che poi magari muori e vivi al massimo da qui fino ai crisantemi non rimandare più che poi magari muori, baciami e stammi addosso che domani sei in un fosso”.

 

Pensavi che fosse amore e invece è soltanto paura di morire, e non c’è niente di meglio che ammetterlo a Ferragosto, quando tutto è abbandono e pausa e treni rallentati e disservizi e corpi spogliati e quindi verità.

 

Camillo Langone ha scritto su questo giornale che la canzone più bella dell’estate è “Mancarsi” dei Coma Cose e forse ha ragione, ma non perché sia una canzone triste (lo è), bensì perché è una canzone onesta, e pura. “Ci pensi mai a noi due, agli sbagli, a chi ci ha preso in giro, agli sbalzi d’umore che ci causano drammi, che schifo avere vent’anni però quant’è bello avere paura, la strada è una riga di matita che trucca gli occhi alla pianura”.

 

E’ l’orizzonte vicino a essere irraggiungibile e valere la pena e il sudore, a levarci di dosso quel “fantasticare di fare le cose nel mondo ideale”, a ritemprare la forza per avere paura. Ha scritto Friedrich Hölderlin che là dove cresce il pericolo cresce anche ciò che salva e vediamo allora di andarci a tuffare dove l’acqua è più blu, e non perché non ci sia niente di più.

 

Ci salveranno le canzonette tristi, esistenzialiste, rivelatrici, realiste sotto il cielo di questa estate italiana? Magari sì, magari no, finora con quelle allegre non è andata poi bene, i matrimoni si sono sempre sfasciati di più a settembre, al ritorno dalle vacanze, sia che fossero separate sia che fossero appiccicate come in Ferie d’Agosto; le vendette si sono sempre consumate a luglio, alla faccia del bene che ti voglio; le nonne si sono sempre ammalate ad agosto, perché da anziani l’estate è persino peggiore che da giovani, e la solitudine si vede molto meglio con la cataratta negli occhi che senza, si sente molto di più con le orecchie stanche e tappate che sane e libere.

C’è una canzone né triste né allegra, ma soltanto lieve, che è uscita qualche mese fa nel disco nuovo di Elisa e che però stiamo ascoltando molto adesso, perché prima eravamo impegnati con “Se piovesse il tuo nome”, l’autunno del nostro scontento. E fa così: “Non voglio vivere tutte le vite, vedere ogni posto nel mondo, vincere tutte le volte, esser sempre forte, uscirne senza graffi sulla pelle, e non sapere mai cos’è una fine”.

 

Sotto il cielo si brinda ancora, e si fa l’amore e si inseguono eroi e sogni nelle notti magiche, però si pensa anche molto, forse troppo

E non ha niente di estivo, di quell’estivo da juke box del lido, da Festivalbar, da divertimento forzato, da sospensione delle credulità, che sono tutte cose belline ma trascorse, novecentesche e smentite, non irrecuperabili ma ripensabili, perché la novità dell’estate italiana sembra essere questa qua: sotto il cielo si brinda ancora, e si fa l’amore e si lecca il sale e si inseguono eroi e sogni nelle notti magiche, però si pensa anche, molto, moltissimo, forse troppo, e si capisce cosa conta, cosa si può cambiare, a cosa si può tornare, con quali mattoni costruire, sempre di nuovo, una vecchia storia che non passa, un vecchio sogno che non entra nel cassetto, una vecchia abitudine che non è più il concetto da evitare che cantavano i Subsonica quindici anni fa , ma la salvazione che cresce dove cresce il pericolo.

 

Dobbiamo voler bene a questa estate adombrata, arrabbiata, che è così vera e simpatica, così stanca di prenderci in giro, così materna, così accaldata, così rallentata.

 

Non ci farà ribollire il sangue, e non ci farà picchiare il sole in testa fino a rincretinirci tutti, come in “Romeo e Giulietta”, due veronesi uccisi dall’amore per colpa del sole.

 

Ps. Per i ventenni senza gusto, ci sono sempre Benji & Fede: “Se ti trovo non è una fortuna ma solo l’inizio dell’estate, le nostre litigate ce le paghiamo a rate”.

 

Per i ventenni con molto gusto, invece, c’è Fulminacci: “Tu che mi sembri seria svelami tutti i trucchi proponimi dei sogni sticazzi poi dei sogni a quelli ci pensiamo quando siamo grandi”. In verità, Fulminacci va bene anche per quelli abbastanza grandi da ricordare che a vent’anni si è stupidi davvero, e quante balle si ha in testa a quell’età, belle estati comprese.