E’ il momento in cui Keanu Reeves/Neo deve scegliere tra pillola rossa e pillola blu offerte da Laurence Fishburne/Morpheus. E’ “Matrix” dei fratelli Wachowski, uscito vent’anni fa: il 31 marzo del 19

La pillola rossa? No grazie

Mariarosa Mancuso

E’ quella che svela il mondo com’è. Non ne abbiamo bisogno, ma l’idea ha attecchito: si accoppia con i deliri da social network e con i siti creati per smascherare complotti. Vent’anni di “Matrix”

Tanto vale dirlo subito. Non siamo mai riusciti a far nostro il dramma di Keanu Reeves in “Matrix”, quando deve scegliere tra pillola rossa e pillola blu. La rossa pasticca della conoscenza che svela il mondo come realmente è (spoiler: un postaccio dove gli uomini sono sfruttati dalle macchine intelligenti per produrre energia). La pasticca blu della tranquillità, per continuare a vivere nel mondo illusorio finora sperimentato. Che comprende (perfino nel post-apocalittico film) un succulento filetto nel piatto, il vino buono nel bicchiere, camerieri e tovaglie bianche.

 

La profondità è terribilmente sopravvalutata, oltre che più noiosa della superficie: questa perlomeno assume forme e colori diversi

Tutto finto. Trattasi di simulazione, prodotta da un sofisticato programma che tiene occupata la mente – nonché le giornate – dell’umanità in catene, scongiurando la ribellione. Questo sostengono i fan della pillola rossa. Non vuoi sapere com’è davvero il mondo intorno a te? Vuoi condurre la tua vita da schiavo, in una prigione dove neanche immagini di stare rinchiuso – senza mai conoscere l’altro mondo, che puoi sperimentare di persona soltanto con la pillola rivelatrice? Davvero rifiuti la conoscenza e l’illuminazione?

 

Rifiutiamo, rifiutiamo. Lasciamo la pillola rossa a chi la vuole, grazie per la pillola blu (e non significa che siano loro, quelli svegli, un attimo di pazienza e ci arriviamo). Teniamoci l’illusione del filetto e del bicchier di vino, delle tovaglie bianche e dei camerieri, come schiavitù abbiamo visto di peggio. La profondità è terribilmente sopravvalutata, oltre che più noiosa della superficie: questa perlomeno assume forme e colori diversi. La sostanza non è mai attraente quanto l’apparenza.

 

Esempio pratico: l’idiozia, se andiamo a scavare, è sempre una. Ma guardate quante forme pittoresche sta assumendo attorno a noi, da quando nessuno si prende la briga di reprimerla, di ridicolizzarla, di segnalare i guai che procura (siano malattie infettive o figuracce internazionali). Già al liceo, quando spiegavano la caverna di Platone – gli uomini incatenati dentro la grotta, costretti ad accontentarsi delle ombre sui muri – non capivamo la smania per uscirne. Importa davvero vedere cosa genera le ombre, se le ombre sono interessanti? Un proiettore forse, magari una lanterna magica, qualcuno che fuori, solo e per non annoiarsi, gioca alle ombre cinesi? Non sembra un motivo sufficiente per spezzare l’incantesimo (da allora, abbiamo un bel titolo per un libro che mai scriveremo: “Uscire dalla caverna di Platone? Giammai!”).

 

A dispetto delle consolidate convinzioni (va bene anche “pregiudizi”, non ci offendiamo) abbiamo visto “Matrix” e pure il “Truman Show”. Sicuri che Jim Carrey sarebbe stato più felice dentro la bolla dove tutti gli sorridevano – che sofferenza, quando sale la scaletta e esita prima di aprire la porticina, per lanciarsi nel vasto mondo che non garantisce la felicità. Direte: ma che felicità è, se nessuno ti vuole bene veramente ? Per questo possiamo soltanto rimandare a Jonathan Swift, il genio che celebra “la felice condizione di un idiota in mezzo ai furfanti”.

 

Difendere le apparenze di questi tempi può sembrare temerario. Sbagliato, è il primo passo per difendersi dai deliri dei pillolisti rossi

Nella bolla ora siamo tutti, accompagnati dai lamenti delle anime belle convinte che internet volesse dire “democrazia & libertà”, non “profili da vendere al miglior offerente” (anche: “compagni di scuola che credevi di aver seminato”: bastava come motivo per starne lontani). E fa piacere ritrovare i motivi della diffidenza verso il Wachowski-movie in un dossier che sul New York Magazine ne celebra i primi venti anni.

 

Viviamo dentro “Matrix”, spiega Mark Harris. Non pensate all’algoritmo che ci costringe dentro la bolla: a vivere dentro il mondo generato dai numeretti verdi della matrice non sono i pavidi che hanno scelto la pillola blu, moderno oppio del popolo. Sono i furbi che hanno mandato giù la pillola rossa dell’illuminazione, e se ne fregano del mondo là fuori vantando una superiore consapevolezza. E’ (anche) colpa di “Matrix” se viviamo tra gente che svaluta la realtà, la disprezza, la considera trascurabile: tiriamo diritto, l’universo se ne farà una ragione. Aggravante: si credono furbissimi, folgorati dall’illuminazione: voi cosa aspettate a mangiare la mela – vabbè, la pillola – della conoscenza?

 

Disegnino, per chiarezza. Vivere dentro Matrix non significa che stiamo trascinando le nostre esistenze in un mondo fasullo creato dall’algoritmo, come sosteneva Morpheus spingendo Neo verso la pillola rossa (“algoritmo” è anacronistico, ma rende l’idea). Significa vivere tra gente che – anche per aver preso sul serio il film “Matrix” – considera la realtà un inganno o un complotto, fuffa di cui liberarsi. Hanno in tasca manciate di pillole rosse, e le spacciano volentieri anche su internet: gli ebrei non sono andati a lavorare l’11 settembre, nessuno ha mai messo piede sulla luna, vi siete mai chiesti perché c’è una piramide sulle banconote degli Stati Uniti? (questa è un po’ in ribasso, con Donald Trump presidente).

 

I fratelli Wachowski – le sorelle Lana e Lilly, al momento, Larry e Andy hanno da allora cambiato sesso, femmine dentro a dispetto delle ingannevoli apparenze maschili, perfettamente in tema con “Matrix” – hanno miscelato un cocktail infernale quanto inebriante. “Vivi dentro un sistema che non hai creato tu. Non si mostra e ti inganna su ogni cosa. Ma per svegliarsi dall’incubo basta che tu lo decida” (è il riassunto da serva di Mark Harris, azzeccattissimo). Esiste una descrizione del mondo più attraente? Non esiste, infatti la diagnosi rende ragione di qualsiasi malumore, contrarietà, sconfitta. Vale per il romanziere con il manoscritto rifiutato dalle case editrici. Vale per il cantante che non vince Sanremo.

 

“Matrix è ovunque. E’ il mondo messo davanti ai tuoi occhi per accecarti e non farti vedere la verità…” spiega Morpheus a Neo (anche i nomi sono “parlanti”: Neo è l’anagramma di One, ovvero l’Eletto, e nelle “Metamorfosi” di Ovidio Morfeo è la divinità preposta ai sogni). Anche Antoine de Saint-Exupéry nel “Piccolo principe” – altra narrazione popolare amatissima quanto foriera di disastri – fa sapere, con la saggezza della volpe: “L’essenziale è invisibile agli occhi”. Stampato sulle magliette vendute in libreria, indica subito profondità d’animo. E chissenefrega se la letteratura è un’arte di superficie, totalmente virtuale e per questo magnificamente appagante.

 

Nell’infernale cocktail, insiste Harris, entrano lusinghe, paranoia, multinazionali, globalizzazione, generica rabbia contro un generico sistema. “Svegliati, e prendi in mano il tuo destino” è il grido di battaglia del sovranismo nazionale e individuale. Motto di tutti i dietrologi convinti che forze occulte governino il mondo. Per fregarci, imprigionarci, legarci le mani, vendere le acciaierie con contratti capestro, così risultano occhi di chi “vede con il cuore” (è sempre il “Piccolo principe”). Purtroppo gli occhi non riescono a trovare, scrutando la superficie, il codicillo per opporsi. Il Dio ingannatore è furbissimo – già Cartesio lo sapeva.

 

E’ (anche) colpa di “Matrix” se viviamo tra gente che svaluta la realtà, la considera trascurabile. Aggravante: si credono furbissimi

Convinti che molte cose al mondo succedano per caso, e che l’intelligenza, la sofisticheria, la segretezza necessarie per ordire anche un complottino da niente siano superiori a quel che sappiamo della natura umana, preferiamo seguire la lezione di Oscar Wilde: “Solo le persone superficiali non giudicano dalle apparenze”. E quella di Groucho Marx: “Quest’uomo ha la faccia da cretino, parla come un cretino, agisce come un cretino, ma non lasciatevi ingannare, è un cretino”. Prendere sul serio quel che ascoltiamo e vediamo non è un brutto consiglio per affrontare la vita. Se non altro evita clamorose figuracce, in caso di pentimento: “Inneggiavano alla decrescita felice, vostro onore, e dicevano molte altre terribili sciocchezze; ma pensavo che fossero solo pose, e che al di là delle tremende apparenze fossero portatori sani di cambiamento”.

 

Era meglio attenersi alla superficie – anche se l’intellettuale crede che nel suo mansionario stia scritto “scavare in profondità, svegliare le coscienze, appicciare il lume della ragione”. I segnali la realtà li manda, non è che non li manda – i negazionisti sono liberi di non vederli, ma prima o poi qualcosa che pare un muro, oppone resistenza come un muro, e in effetti è un muro contro cui schiantarsi salta fuori. La storia è antica, i più radicali in materia – suggerisce un articolo di rinforzo (sempre sul New York Magazine) – son conosciuti come gnostici. Titolo: “Are Red Pills the Antidote to Liberalism?” – le pillole rosse funzionano da antidoto contro i “liberal”? (inteso all’americana, come” progressisti” e non come “liberali”).

 

Uno gnostico teletrasportato nel nostro mondo adorerebbe “Matrix” e la pillola rossa, scrive Max Read. Sarebbe felice di constatare che l’idea ha attecchito. E l’idea eccola qua: il mondo come lo conosciamo è la creazione di un dio maligno, l’unica possibile salvezza sta nella conoscenza vera, oltre il mondo falso e bugiardo. Si accoppia benissimo con i deliri da social network e con i siti creati per smascherare complotti, che puntualmente inneggiano alla “pillola rossa”. Sei stato defraudato e ingannato, ti hanno fatto vivere dentro una menzogna, ma è arrivata l’ora della liberazione.

 

La “Red Pill” ricorre nei siti che mettono in guardia da George Soros e dai Rothschild e dalle banche (si va sul sicuro, c’è una tradizione in materia). Esiste una “Red Pill” vegana (“tutto quel che i mangiatori di carne vi hanno detto in materia di diete è falso”). E una Red Pill che vi toglie le fette di salame dagli occhi: i lucertoloni del nuovo ordine mondiale sono tra noi, sempre più numerosi, e presto si sveleranno come nella serie “Visitors”. E una pillola rossa atta a svelare infine il trappolone chiamato femminismo: rende infelici, mette disordine in famiglia, aizza le donne contro i maschi. Ognuno può trovare la sua, neanche gli gnostici erano sempre concordi. Tranne che su un punto: la realtà è bugiarda – tipico atteggiamento di chi se la svigna dal mondo condiviso per arredarsene uno a immagine e somiglianza sua e dei seguaci che spera di avere.

 

“Svegliati, e prendi in mano il tuo destino” è il grido di battaglia del sovranismo nazionale e individuale. E il motto di tutti i dietrologi

Non solo spera. Riesce ad averli senza faticare troppo. Funziona come la scommessa del vecchio Blaise Pascal. Conviene credere in Dio, calcolava Pascal – se esiste hai vinto tutto e se non esiste non hai perso nulla. La nuova scommessa suggerisce: guarda con sospetto ogni cosa, soprattutto la realtà, Se poi la realtà si prende le sue rivincite, è perché “loro” – un nemico a scelta – son più forti. Su questa scia, fateci caso, si collocano le fake news, sempre annunciate come “la verità su questo e quello”, “giù la maschera”, “quel che i giornali non dicono”. Dai riti satanici di Hillary Clinton a Stanley Kubrick che ha girato il falso filmino dell’allunaggio (complottisti e “matricisti” sì, ma con registi di prima categoria).

 

Non che prima i terrapiattisti non esistessero. Stavano mogi e tristi, fastidiosi solo ai parenti stretti, come i professori di liceo convinti di aver trovato un buco nella relatività di Einstein (e di seguito: un manoscritto respinto, la rabbia, la convinzione “insabbiano perché mi temono”). O quelli convinti che la Gioconda fosse un maschio, un travestito, un messaggio dall’aldilà, un segno sicuro che Leonardo era massone, un volto sofferente per chissà quale morbo (non vi sembra strano quel sorriso?).

 

Con “Matrix” cambia anche il cinema (nel dossier del ventennale un po’ di spazio tocca ai critici). Fa notare Bilge Ebiri: gli inseguimenti in auto (o a cavallo, o in elicottero, o in motoscafo) lasciano il posto ai combattimenti acrobatici, ben coreografati. Neo ha il cappottone di pelle nera lungo fino ai piedi (prima era roba da nazi) e quando fa le giravolte buca lo schermo. Trinity è strizzata in una tuta nera lucidissima. Chad Stahelski, la controfigura di Keanu Reeves, da quel momento divenne lo stuntman più richiesto a Hollywood.

 

Dobbiamo a “Matrix” anche il “bullet time”: l’arma spara, il tempo si dilata, la macchina da presa gira attorno al proiettile, la vittima schiva il colpo al rallentatore, gli schianti contro lampadari o altre suppellettili vengono assurdamente prolungati. Prima era tutto un incanto e una meraviglia, poi lo stile bullet sarebbe diventato la scorciatoia per parodiare “Matrix”. Oltre, si intende alla pillola blu e alla pillola rossa. Che non ci avrà. Difendere la superficie e le apparenze di questi tempi può sembrare temerario. Sbagliato, è il primo passo per difendersi dai deliri dei pillolisti rossi.

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