I cittadini di Strasburgo piangono le vittime dell'attentato (Foto LaPresse)

Un memoriale per le vittime del terrorismo islamico

Guido Salvini

Megalizzi e gli altri. Perché dobbiamo onorare tutti gli italiani uccisi dal fanatismo religioso

Antonio Megalizzi è stato assassinato da un predone convertito all’orribile fascismo islamico. Antonio viveva e lavorava soprattutto all’estero, impegnato come giornalista in una radio che trasmetteva dal Parlamento europeo. Era un appassionato dell’Europa e dell’idea di un’Unione europea giusta e solidale, un processo in divenire che molti guardano con sufficienza dimenticando che esso ha garantito ai suoi cittadini più di settant’anni continuativi di pace, senza guerra all’interno e verso l’esterno, una realtà che nessuna altra parte del mondo può vantare.

 

Il giornalista di Trento è solo l’ultimo di una lunga serie di cittadini italiani rimasti uccisi in attentati in altri paesi. Sono infatti ben cinquantasei i nostri concittadini caduti all’estero, anche senza contare i militari impegnati in missioni di pace, quasi del tutto dimenticati forse perché sono persone sparse che non rappresentano un gruppo sociale riconoscibile che è possibile ricordare in uno specifico territorio come le vittime delle stragi eversive e del terrorismo degli anni Settanta. Eppure il prezzo pagato dalla nostra collettività è stato molto alto.

 

Dopo gli attentati alle Torri Gemelle del 2001, con dieci vittime italiane, nostri compatrioti sono stati uccisi in altri paesi europei e in altri continenti, in Iraq, Afghanistan, Arabia Saudita, Egitto, Nigeria, Turchia, Bangladesh, Indonesia. Tra di loro i quattro pensionati morti al museo del Bardo in Tunisia, i sei cittadini italiani vittime della strage sul lungomare di Nizza, i nove morti nella strage al ristorante di Dacca, quella in cui è morto contemporaneamente per mano dell’Isis il maggior numero di cittadini italiani, poi i tre giovani uccisi nel 2017 sulle ramblas di Barcellona. Di loro non si ricordano nemmeno i nomi. Tra le ultime vittime Valeria Solesin uccisa nell’attentato al Bataclan di Parigi e Fabrizia Di Lorenzo caduta due anni fa al mercatino di Natale di Berlino.

 

Erano tecnici, cooperanti, lavoratori in alberghi, semplici turisti, giornalisti come Megalizzi. Hanno avuto una sorte doppiamente ingrata. Nessuno, se non i loro parenti, li commemora, i loro nomi in breve evaporano come quelli delle vittime degli incidenti stradali. Effetto questo di una autocensura che cancella tanto le vittime quanto l’identità politico-religiosa dei loro assassini, tanto che c’è chi cerca di negare che questa forma di terrorismo nasca all’interno di un discorso religioso islamico, sia un prodotto, anche se certo non l’unico, dell’islam e del Corano.

 

In tutte le città d’Italia nei luoghi in cui sono avvenute stragi fasciste o omicidi opera del terrorismo di estrema sinistra ci sono targhe, monumenti altri segni della memoria, si svolgono manifestazioni indette dai comuni o dalle associazioni delle vittime. Le autorità dovrebbero decidere di erigere in un luogo importante un memoriale con incisi i nomi di queste vittime e le loro storie. Un Memorial collettivo come quello di New York per l’11 settembre da onorare soprattutto il 9 maggio, la giornata in ricordo delle vittime del terrorismo. Lo dobbiamo a quei nostri cittadini, testimoni dell’Europa, della sua libertà, del suo modo di vivere, della sua scelta di non odiare.

 

* magistrato