Il gruppo di ragazzi di Volt, movimento europeista giovanile (Foto via Facebook, Volt Italia)

Ora tocca a noi. I millennial salveranno l'aria libera dell'Europa

Claudio Cerasa

Il dovere di farsi sentire di una generazione di giovani cresciuti senza conoscere né muri né dazi e protetta dall’euro

Adesso tocca a noi. Tra le molte sfide che ci verranno offerte dall’anno che si apre quella che promette di essere maggiormente appassionante riguarda un tema collegato all’appuntamento chiave del 2019. L’appuntamento è quello delle elezioni del prossimo 26 maggio e il tema è naturalmente uno e coincide con le dodici stelle su sfondo blu che a partire da oggi troverete stampate con orgoglio sotto la nostra testata. Se ci si riflette un attimo, a differenza dalle elezioni di quattro anni fa, la sfida per i principali gruppi politici che si daranno battaglia nei prossimi mesi in tutto il nostro Continente non è più legata solo a un semplice confronto tra idee diverse d’Europa ma a uno ben più aspro al centro del quale vi è l’esistenza stessa del sogno europeo. E’ possibile che l’onda lunga del sovranismo maturata come uno tsunami nel nostro paese possa trovare campo libero anche nel resto d’Europa. Ma, a prescindere dai sondaggi in realtà non apocalittici sul prossimo Parlamento europeo, non c’è dubbio che nei prossimi mesi la grande partita che andrà giocata da chi ha a cuore il futuro dell’Europa riguarda la capacità di ciascuno di noi di spiegare in ogni sede perché rinunciare all’Europa oggi significa semplicemente rinunciare alla nostra aria. Pietro Calamandrei, in un bellissimo discorso sulla Costituzione italiana datato 1955, ricordò che la libertà è come l’aria e che di questa libertà di solito ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare, “quando si sente”, disse Calamandrei, “quel senso di asfissia che gli uomini della mia generazione hanno sentito per vent’anni, e che io auguro a voi, giovani, di non sentire mai, e vi auguro di non trovarvi mai a sentire questo senso di angoscia, in quanto vi auguro di riuscire a creare voi le condizioni perché questo senso di angoscia non lo dobbiate provare mai, ricordandovi ogni giorno che sulla libertà bisogna vigilare, dando il proprio contributo alla vita politica”.

  

 

La difesa delle dodici stelle dell’Unione

Il discorso di Calamandrei fu pronunciato il 26 gennaio del 1955 a un gruppo di giovani studenti liceali e universitari di Firenze e se oggi proviamo a sostituire all’interno di quel discorso la parola “libertà” con la parola “Europa” avremo chiara la portata di quello che c’è in ballo con la difesa delle dodici stelle dell’Unione. Il plurale che abbiamo appena utilizzato non è un tradizionale plurale maiestatis ma è un plurale che prova a fotografare qual è oggi in Italia e forse in Europa la generazione che ha il dovere di scendere in campo per ricordare che rinunciare all’Europa significa rinunciare alla nostra aria. Quella generazione, se ci consentite, è proprio la nostra. E’ la generazione di chi, come chi scrive, è nato tra il 1981 e il 1996 – quella comunemente e banalmente chiamata “millennial”, che oggi vale un quinto dell’elettorato italiano, tra i 9 e 10 milioni sui 47 milioni di aventi diritto al voto, poco meno dei 13 milioni di over 65 – ed è una generazione particolare che è stata forse la prima a crescere in Europa senza sapere bene come fosse l’Europa prima di diventare l’Europa che respiriamo ogni giorno e che è cresciuta senza sapere bene cosa siano i confini, senza sapere bene cosa siano le dogane, senza sapere bene cosa siano i dazi, senza sapere bene cosa siano i muri, senza sapere bene cosa sia lira, senza sapere bene cosa sia la guerra e senza conoscere altre libertà più importanti rispetto a quelle difese oggi dall’Europa. La libertà di circolazione, la libertà di commercio, la libertà di studio, la libertà di lavoro, la libertà di viaggiare senza passaporto, la libertà di usare lo spazio unito e unico dell’Europa non come una strada utile per fuggire dal proprio paese ma come una strada utile per cercare ogni giorno nuove opportunità. I millenials sono, siamo, la generazione dell’Europa ma sono anche, siamo, la prima generazione che avendo trasformato l’Europa nel proprio ossigeno, respirandola dunque ogni giorno, non si rende più conto di cosa significherebbe vivere senza. E in virtù di questa splendida ma pericolosa incoscienza questa generazione arriva spesso a sostenere in modo per l’appunto incosciente proprio i partiti che l’Europa piuttosto che difenderla la vogliono eliminare. E’ andata così in Francia alle elezioni presidenziali, dove i giovani tra i 18 ed i 34 anni hanno votato come primo partito l’anti europeista Front National. Ed è andata così anche in Italia dove alle ultime elezioni il 52 per cento dei giovani dai 34 anni in giù ha votato come primo schieramento i partiti più anti europeisti d’Italia: M5s e Lega, che fortunatamente però alla prima curva hanno deciso di rinviare in futuro le proprie battaglie anti europeiste, rendendosi probabilmente conto che l’Europa resta la peggiore forma di governo possibile a eccezione di tutte le altre forme conosciute finora. Simon Kuper, formidabile columnist del Financial Times, qualche settimana fa, ricordando il nostro Antonio Megalizzi, ucciso da un islamista in un attentato terroristico a Strasburgo, ha offerto a Repubblica un pensiero da incorniciare sostenendo che i giovani come Antonio Megalizzi sono la nuova maggioranza silenziosa: la generazione meglio istruita, più cosmopolita e più globale della storia di cui i media non si accorgono perché non sono violenti e di cui il mondo politico non si accorge perché i partiti odierni non li rappresentano anche se questi ragazzi sono il futuro e anche se questi ragazzi ci fanno sperare che il mondo non tornerà indietro ma continuerà ad andare avanti”. La storia di Antonio Megalizzi, se vogliamo, ci dice anche questo. Ci dice che l’Europa, dove per Europa va intesa l’Unione e non una fredda e depotenziata associazione tra stati sovrani, non è un sogno da nascondere ma è un orgoglio da esibire e che pur non essendo perfetta – la grande sfida del futuro sarà naturalmente quella di trovare un modo per difendere l’Europa senza difendere lo status quo – influisce ogni giorno positivamente nel nostro quotidiano quando si occupa del nostro lavoro, delle nostre famiglie, dei nostri viaggi, della nostra sicurezza, dei nostri diritti sociali, della nostra mobilità, dei nostri risparmi, delle nostre banche, dei nostri consumi, della nostra libertà.

 

Una società più globale e meno provinciale

E’ anche grazie all’Europa, e all’euro, che dal primo gennaio del 2002, giorno di introduzione della moneta unica, l’Italia ha rinunciato alle sue svalutazioni competitive ma ha di fatto raddoppiato i patrimoni immobiliari e mobiliari di quasi tutte le famiglie italiane, costituendo una gigantesca assicurazione per il nostro futuro e per quello dei nostri figli, il che per il secondo paese risparmiatore del mondo in rapporto al Pil è il più grande aumento di ricchezza mai registrato nella sua storia. E’ anche grazie all’Europa, in fondo, e grazie all’euro, che la nostra società è più mobile, più globale, meno provinciale e meno statica, e anche se i beneficiari di questa rivoluzione spesso non si accorgono dell’aria che respirano si tratta del maggior passo avanti sociale e culturale fatto nella nostra storia recente, che permetterà a molti di loro, e permette a molti di noi, di usufruire in varie forme delle opportunità infinite offerte dall’apertura dei mercati europei esterni. E’ anche grazie all’Europa, infine, che 500 milioni di cittadini vivono, 400 milioni solo nell’area Euro, in paesi liberi e democratici e possono usufruire di un sistema di normative europee di cui i giornali parlano solo quando in ballo c’è qualche legge bizzarra ma che in realtà da decenni mostra di essere uno straordinario vigile del rinnovamento dei nostri standard industriali, sociali e civili. E’ anche grazie all’Europa se paesi come l’Italia riescono a ricevere ogni anno diversi miliardi di euro di fondi strutturali, il nostro paese è il secondo beneficiario dopo la Polonia e fondi europei alimentano direttamente e indirettamente circa la metà dell’economia italiana, stando all’ultimo rapporto della Commissione di Bruxelles del 2017 e della Corte dei conti italiana, e il fatto che poi i governi utilizzino male questi soldi dipende da noi, non dall’Europa. E’ anche grazie all’Europa se oggi non è più immaginabile nessuna guerra all’interno del recinto dell’Unione europea: per una generazione cresciuta senza guerra vivere in condizioni di pace e di libertà è come respirare l’aria, ma sarebbe un peccato se per apprezzare l’aria che respiriamo fossimo costretti a rimanere senza più ossigeno. E questa libertà, senza la necessaria presa di coscienza dei millennial, rischia di essere spazzata via dai nuovi professionisti delle democrazie illiberali. Forse è arrivato il momento di dire basta. Di svegliarsi. Di non dare più nulla per scontato. Di combattere contro il cialtronismo anti europeista. Di smetterla di considerare l’Europa come qualcosa che si trova lontano dall’Italia. Di interrompere il tentativo di trasformare l’Europa nel grande alibi della politica incapace di risolvere i problemi dell’Italia. Di puntare non sulle ragioni della resistenza all’Europa ma sull’importanza della sua esistenza. L’Europa non è qualcosa che si trova a Bruxelles. L’Europa, semplicemente, siamo noi. E la bandiera che troverete da oggi ogni giorno sulla prima pagina del giornale servirà a dire anche questo: che quando c’è in ballo il nostro ossigeno non si può stare a guardare, e aspettare che qualcuno ce lo tolga, bisogna scegliere rapidamente da che parte stare. Noi, nel nostro piccolo, abbiamo scelto di respirare e di far nostra anche una lezione preziosa contenuta nel formidabile discorso magistrale tenuto a metà dicembre alla scuola Sant’Anna di Pisa da Mario Draghi. “Nel resto del mondo il fascino di ricette e regimi illiberali si diffonde, a piccoli passi si rientra nella storia. E’ per questo che il nostro progetto europeo è oggi ancora più importante. E’ solo continuandone il progresso, liberandosi le energie individuali ma anche privilegiando l’equità sociale che lo salveremo attraverso le nostre democrazie ma nell’unità di intenti”. E’ l’ora di non nascondersi più. E’ l’ora di spiegare ogni giorno al nostro vicino di banco perché il leader che salverà l’Italia sarà quello che riuscirà a usare contro il virus populista l’unico vaccino possibile per non smettere di respirare: è l’Europa il paese che amo. Adesso tocca tutti a noi.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.