Il compositore Antonio Salieri viene rappresentato nel film Amadeus come un uomo roso dall’invidia a partire dal giorno in cui s’imbatte nel genio di Mozart

L'invidia si è fatta un partito

Michele Silenzi

Un sentimento pre-razionale e distruttivo insito nell’uomo. Tutte le culture lo hanno sempre tenuto a freno. Ma ora è dilagato. Colpa dell’egualitarismo e di un crollo etico

Antonio Salieri, celebrato compositore alla corte viennese sul finire del Settecento, viene rappresentato nel film Amadeus come un uomo roso dall’invidia a partire dal giorno in cui s’imbatte nel genio di Mozart. Uomo devoto, consacrato alla musica, trovandosi di fronte quel prodigio, e non riuscendo ad accettare che Dio parlasse attraverso quell’ometto volgare, arriva a pregare di far morire Mozart per liberarsi almeno di quello stato d’animo terribile e inconfessabile che viveva, e di cui si vergognava, divorato dall’invidia.

 

“L’invidia e la società” di Helmut Schoeck, edito in Italia da Liberilibri. Uscito negli anni 60 spiega molti fenomeni di oggi

Tutte le grandi narrazioni delle vicende umane, dalla Bibbia ai miti greci, da Shakespeare a Melville, fino al cinema e ai fumetti, sono piene di personaggi che agiscono in maniera distruttiva perché mossi dall’invidia, che a sua volta genera rancore, odio, risentimento. Questa pozza nera del cuore umano è stata progressivamente arginata, nelle società, attraverso un tabù che genera vergogna e senso di colpa per questo sentimento. L’invidia e le sue declinazioni sono stati un’utile categoria d’interpretazione dei comportamenti umani per millenni. Oggi, invece, è un concetto che sembra essere stato rimosso come categoria d’interpretazione del reale.

 

In questo senso, potrebbe essere utile mettere mano a un capolavoro della sociologia del Novecento, L’invidia e la società, di Helmut Schoeck, edito in Italia da Liberilibri. Uscito negli anni 60, in controtendenza con tutto quello che accadeva in quel periodo e con tutto quello in cui credeva buona parte del mondo occidentale, sarebbe meglio correre a leggerlo per provare a capire da una prospettiva unica quello che sta succedendo in questo periodo. Popolo contro élite? La rivolta che parte dal basso e vuole sovvertire l’ordine delle cose? Le diseguaglianze che con la loro dirompente forza scardinano il sistema che le ha generate? La riaffermazione dell’identità nazionale contro le forze esterne globaliste per gridare al mondo “padroni a casa nostra”? Di sicuro questo è il côté della situazione attuale. Ormai tutti i rigurgiti di piazza, le rivendicazioni, ciò che viene dal cosiddetto “basso” hanno una loro propria legittimazione in qualche teoria sociologica che ci dice come il fenomeno vada, più o meno, ricompreso studiato e capito nell’orizzonte dell’ingiustizia di fondo creata dal sistema socio economico occidentale. Attraverso L’invidia e la società, invece, si può guardare a questo da un’altra prospettiva.

 

Schoeck parte dal punto che l’invidia è connaturata nell’uomo e che la presa di coscienza di questo sentimento è ciò che ha attivato freni e controlli che hanno permesso all’uomo di sviluppare “i sistemi sociali che ormai sono parte integrante delle nostre società moderne”. Infatti, prosegue l’autore, “l’invidia trova la sua condanna in tutte le culture e in tutte le lingue, in tutti i proverbi e in tutte le fiabe dell’umanità. L’uomo che è preda dell’invidia è sempre invitato a vergognarsi. […] La maggior parte delle conquiste grazie alle quali gli uomini d’oggi, con le loro culture evolute e con le loro società differenziate, si distinguono dalle culture e dalle società primitive, in una parola, la storia della civiltà, è il risultato di innumerevoli sconfitte dell’invidia, cioè della gente invidiosa”. Con la profondità dell’etnologo e dello storico della cultura, Schoeck analizza l’invidia presso le società primitive e le comunità rurali dei paesi in via di sviluppo per mostrare come funzionano quei meccanismi di restrizione dell’invidia (e dei sentimenti a essa connessi) e di costruzione di comunità più ampie e solide che attraverso i secoli hanno portato alla formazione delle culture più avanzate, con benessere sviluppo tolleranza e apertura sempre maggiori.

  

Invidia, Jacques de Backer


 

Poi Schoeck passa in rassegna il socialismo e il marxismo. Mostra come l’idea della costruzione di una società egualitaria volta all’eliminazione delle differenze avrebbe dovuto portare, idealmente, anche a una sparizione dell’invidia. Teoricamente, nel momento in cui l’egalitarismo fosse stato raggiunto, anche l’invidia sarebbe scomparsa. Giusto? Ovviamente no. L’idea del raddrizzamento del legno storto dell’umanità è il vecchio sogno di tutte le società totalitarie, in particolare di quelle socialiste. Ma se anche fosse eliminata l’invidia generata dal censo ce ne sarebbe un’altra basata sul prestigio, sull’estetica, sulla carriera burocratica, ecc… Il sogno di eliminare l’invidia ha a che fare con l’ incapacità di riconoscere l’uomo per quello che è: con i suoi limiti, la sua diversità, la sua naturale differenziazione. Ogni società, secondo Schoeck, ha bisogno di “rendere psicologicamente tollerabili e razionalizzabili all’individuo le differenze di condizioni di vita”. Inoltre, al contrario di quanto si possa pensare, le società egalitarie sono quelle in cui l’invidia è più potente perché in queste sfugge l’elemento agonistico, di competizione, di conflitto buono che permette di attivare la mobilità sociale dei meritevoli; e così resta solo la speranza dell’unico godimento possibile: veder cadere chi sta più su.

 

Il sogno di eliminare l’invidia ha a che fare con l’incapacità di riconoscere l’uomo per quello che è: con i suoi limiti, la sua diversità

A differenza delle dottrine socialiste, secondo Schoeck, il cristianesimo ha svolto una funzione fondamentale nell’arginare l’invidia e nella creazione di quelle strutture psicologiche e sociali che hanno permesso la crescita economica sociale e spirituale del mondo occidentale. “Il merito storico dell’etica cristiana fu di aver stimolato e difeso in Occidente, appunto attraverso l’imbrigliamento dell’invidia, la forza creativa dell’uomo, forse anche addirittura di averla resa possibile in tanta ampiezza” e, in questo modo, ha creato “l’indispensabile premessa psicologica e sociale per la nascita del mondo moderno. Questo giudizio esiste già in germe nella teoria di Max Weber sull’influsso dell’etica protestante”. L’affermazione del concetto di persona, con la sua individualità e la sua relazionalità e, sopra ogni altra cosa, con la sua unicità è stato uno dei più formidabili antidoti contro l’egalitarismo e ogni forma di parificazione che annulli le differenze.

 

“Come abbiamo visto, esistono vari modi per arginare l’invidia: il diritto positivo, le religioni, […] l’idea di una fortuna capricciosa, tutte cose che possono facilitare l’individuo all’adattamento a un mondo fatto di gente diseguale”. Il punto problematico, quello che ci interessa nella nostra attualità politica e sociale è che tutti questi “modi”, queste strutture nate per arginare l’invidia, il rancore, il risentimento, la tensione egalitaria che tutto parifica a un livello più basso, tutte queste strutture che possono essere ricondotte al concetto di autorità politica e di religione, stanno progressivamente venendo meno, evaporando. E lasciano un vuoto enorme caratterizzato dalla mancanza di un orizzonte in cui ricondurre le proprie passioni. Le ragioni sono molteplici e non analizzabili qui. Ma è così, lo vediamo e ce ne rendiamo conto. Ed è una situazione eccezionale, nel senso mai vista prima con tale radicalità e velocità.

  

I sentimenti negativi che abitano il cuore dell’uomo hanno sempre avuto bisogno di un argine. Ma cosa succede quando queste cornici di riferimento che stabiliscono ciò che è giusto e ciò che ha sbagliato, che garantiscono tabù attorno a cui costruire comunità, vite e prosperità vengono meno? Succede quello che vediamo oggi: lo sdoganamento dei peggiori sentimenti umani. Anzi, di più, la loro legittimazione. Ecco cosa c’è alla base dei populismi più beceri. Se l’orizzonte ampio di riferimento salta, salta tutto. Allora conto solo io, con la mia invidia, il mio risentimento, il mio rancore che si fanno indeclinabili senza riferimenti e che sfociano in una caotica rabbia.

 

“Nelle attuali democrazie parlamentari delle società industrializzate i partiti politici e i governi vanno sempre più adattandosi all’idea di un’invidia generalizzata – l’invidia popolare, ‘l’ira popolare’, come talvolta eufemisticamente si dice – accettandola come un dato di fatto di cui la legislazione deve tenere conto. Ne derivano serie conseguenze frenanti, dannose e disfunzionali, che incidono anche sulle strutture e sui processi economici e sociali generali”.

 

L’odiatore, con il suo patentino di vittima (vittima dei poteri forti, dell’ingiustizia sociale, della finanza globale, dei politici corrotti, ecc…), diventa una sorta di campione morale da comprendere capire ascoltare. “La sintomatologia dell’individuo invidioso che si sente perseguitato dal mondo che lo circonda. La spiegazione di questo fenomeno ci è fornita dall’invidia che l’uomo primitivo […] prova al pensiero che il mondo inanimato favorisca gli altri”. L’invidioso, il livoroso, il rancoroso, sentono quindi di essere dalla parte del giusto perché si rappresentano come vittime, attraverso una forma di “auto-compassione”: se sono preda di sentimenti così negativi deve esserci necessariamente un colpevole. Il colpevole quindi non è più chi è portatore di un sentimento così negativo che andrebbe arginato, ma l’oggetto di quella negatività. “Non è perciò più l’invidioso a doversi frenare e vincere e a dover coltivare l’amore per il prossimo, tocca alla sua vittima trasformarsi: verso il basso, per adattarsi al criterio dell’invidia.” E poiché tutta questa situazione è allacciata alla sfera pre-razionale della natura umana è immune da ogni confutazione razionale o empirica.

  

L’uomo primitivo pensa che “il mondo inanimato favorisca gli altri”. L’invidioso, il livoroso sente quindi di essere dalla parte del giusto

Avviene così lo sdoganamento dell’invidia, del risentimento, dell’odio nobilitati dalla giustificazione fornita dalla retorica della vittima: ho meno degli altri (ricchezza, bellezza, altezza, felicità, o qualsiasi altra cosa) lasciami almeno il diritto di odiare. E questo approccio mentale, rivestito di una generica sloganistica moraleggiante fatta di pulizia trasparenza onestà, è diventato sistema e partito politico. “Avviene fin troppo spesso che un partito politico già esistente si presenti come organo esecutivo dell’invidia”. E l’invidia, il rancore, il risentimento, ecco che si mascherano di buoni propositi e buoni sentimenti che sono una sorta di surrogato della cornice metafisica ormai evaporata. Questo sarcofago di zucchero che ricopre l’invidia e gli altri sentimenti ad essa connessi, è ciò che permette di spacciarli e di farli pensare come giustificati se non persino giusti.

  

La cultura, l’accademia, i divulgatori hanno avuto in tutto questo un’enorme responsabilità fornendo giustificazioni ideologiche alla situazione corrente. Facendo finta di non accorgersi di questo meccanismo psicologico e sentimentale, hanno ignorato il fenomeno nichilistico dell’affermarsi dell’invidia e del risentimento che si sono fatti onda politica; e, anzi, l’hanno nobilitato attraverso teorie socio-economiche che tutto scusavano. Il concetto di diseguaglianza, sopra ogni altro, è diventato una sorta di telo elastico buono a coprire ogni tipo di comportamento dal grillismo al sovranismo, e su fino al terrorismo. Disagio e diseguaglianze si portano sempre! E non si è voluto comprendere il fenomeno di sdoganamento dei sentimenti più beceri che veniva portato avanti. “Che il filosofo si lasci indurre a fornire alla mistificazione una ‘motivazione’ e un’autorità è segno o di incoscienza o di abissale incultura morale”.

 

Forse, questo tipo di situazione era inevitabile. La natura detesta il vuoto, lo si sa da sempre. E visto che tutte le strutture storiche che hanno dato senso e all’interno di cui si è svolta la vita umana stanno mutando radicalmente senza sapere cosa ci sarà dopo, forse in questi sentimenti orrendi e nella loro affermazione politica trova sfogo questo spaesamento. Ma dobbiamo sapere quello che abbiamo davanti.

 

Scrive Schoeck: “Avviene fin troppo spesso che un partito politico già esistente si presenti come organo esecutivo dell’invidia”

“Una società che innalzi l’individuo medio a censore e legislatore finirà con il tempo nella paralisi, e, comunque, spreca largamente i suoi mezzi. La capacità civilizzatrice di una società dipende dalla sua idoneità a temperare e canalizzare l’invidia. Tradisce invece questa sua missione quella società che soffia sotto il fuoco dell’invidia compiendo gesti di abbonimento – velleitari, anche se spesso molto utili ai fini immediati di una politica di potere – intesi a creare la più pura uguaglianza possibile, nel presupposto errato che tale condizione corrisponda alla società degli eternamente puri di cuore. […] Una volta risvegliato l’appetito di trasformazioni sociali sotto lo stimolo dell’invidia, diventa molto difficile assopirlo, spegnerlo, tanto meno appagarlo definitivamente. L’invidia che si risveglia in un gruppo, in una classe o in una popolazione con la mira di operare trasformazioni radicali rappresenta una forma autonoma che presto si autoalimenta, una dinamica che finisce col diventare incontrollabile”. E che distrugge tutto.

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