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La Francia regola per legge i molestatori da strada, qualunque cosa voglia dire

Simonetta Sciandivasci

Sanzionare subito la mascolinità tossica di Vincent Cassel

Roma. Il ministero francese per la Parità tra donne e uomini sta reclutando diecimila agenti di polizia che si occuperanno di sorvegliare e punire (con multe fino a 750 euro) chi molesta una donna per strada. Lo ha detto il ministro competente, Marlène Schiappa, che qualche giorno fa ha ottenuto l’approvazione del suo progetto di legge con 92 voti favorevoli, nessuno contrario, otto astensioni. Un successo che fino a qualche mese fa sembrava improbabile, visto che, solo a sentirne parlare, moltissimi francesi avevano storto il naso alzando le spalle, che poi è il modo francese di inorridire, che poi è il modo francese di dissentire. Invece ha vinto Schiappa e la sua è, comme il faut, una vittoria più di clima che di voglia (mesi di #metoo e settimane di recusa del manifesto contro lo stesso #metoo, firmato da cento francesi di calibro, tra cui Catherine Deneuve, che i giornali di mezzo mondo avevano attribuito al sessismo culturale dei francesi – in Italia siamo più cafoni e abbiamo il patriarcato terrone, chi lo sa chi sta peggio). Alla domanda su come verrà applicata la legge concretamente – forse che “con un gendarme dietro ogni donna, come dice qualcuno?” – il ministro Schiappa ha risposto, a Stefano Montefiori che l’ha intervistata sul Corriere, che i francesi sono brontoloni e pensano sempre “non funzionerà mai”. Vago ma efficace. Del resto, la faccenda Brizzi ci sta ricordando in questi giorni quanto la materia sia scivolosa.

 

La nuova legge francese, inoltre, fissa a quindici anni l’età minima per acconsentire a un rapporto sessuale con un adulto e prevede un allungamento della prescrizione per i crimini sessuali (da 20 a 30 anni), così come pene più severe per chi li commette. Non è poco e non viene affatto tutto per nuocere. Del Jean Paul Belmondo che in “Fino all’ultimo respiro” diceva “le donne non vogliono mai fare dopo otto secondi quello che sono dispostissime a fare dopo otto giorni” s’è forse abusato per anni, s’è elaborata una impropria legittimazione dell’insistenza – quell’odioso “no vuol dire sì” di cui anche la commedia all’italiana abbonda – e vedremo se questa legge apporterà la giusta correzione culturale o se risolverà tutto con una recisione. Se dimezzerà i seduttori da finestrino, quelli del “ciao bella, vuoi un passaggio” o se renderà Vincent Cassel una specie protetta sulla via certa dell’estinzione. “Una miscela snervante di fascino e minaccia”, ha scritto di lui sul New York Times Ruth La Ferla, che ha intervistato Cassel due giorni fa. Hanno parlato del suo nuovo film su Gauguin, che abbandonò la famiglia per trasferirsi a vivere, sfrenatamente e selvaggiamente, in Polinesia: “Lo ammiro, voleva essere libero”. Di molestie no, ma di maschi e maschile sì: dice di sentirsi a volte un giaguaro, altre un piccione. “Noi francesi siamo inclini a rischiare, a giocare secondo le nostre regole, non come voi americani, che siete codificati” (una versione molto coincidente con tutto il cinema francese e quasi o per niente con la tesi del ministro Schiappa). Di donne e uomini: “Gli uomini riescono a ricostruirsi una vita a qualsiasi età, le donne no. Sono consapevoli di quanto questo sia crudele”. Per tutta l’intervista, La Ferla ribadisce la fuggevolezza di Cassel – “non perdiamo tempo” – e, visto il poco che le dice e le concede, lo ritrae con una specie di sospetto: è costui affetto da mascolinità tossica sì o no? Una parte della mascolinità tossica ha o no un debito culturale con quella francese, quella che a Serge Gainsbourg consentiva di piazzarsi su un letto rotante e cantare canzoncine lascive insieme con sua figlia? Dice a un certo punto Cassel che, sullo schermo, quando deve recitare un duro, uno stronzo pericoloso, gli viene fuori “un’attitudine”. La prende da chissà dove: è un mistero. Da quaggiù staremo a guardare se quel mistero si risolve. Se si dissolve.

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