Eric Schneiderman (foto LaPresse)

Il circo mediatico-giudiziario-sessuale

Redazione

E se fosse Trump il mandante dell’assalto femminista a Schneiderman?

Con una scelta giornalistica alquanto bizzarra, per i rigidi standard deontologici americani, Ronan Farrow e Jane Mayer hanno detto ieri che il loro scoop sugli abusi sessuali del procuratore generale di New York, Eric Schneiderman, non arrivava da fonti vicine a Donald Trump. Quello che ha spinto i cronisti a dare dettagli su una materia tanto riservata è l’ombra di un grandioso cortocircuito che si è allungata alla luce di nuove rivelazioni sul caso. Viene fuori ora che anni fa un avvocato di nome Peter Gleason aveva ricevuto la visita di due donne che accusavano Schneiderman di averle “vittimizzate sessualmente”; Gleason ha fatto parola dei casi a un giornalista del New York Post in pensione, Stephen Dunleavy e questi ha fatto sapere le interessanti notizie a Trump, cosa che è testimoniata dal fatto che il suo avvocato e fixer, Michael Cohen, ne ha discusso poi al telefono proprio con Gleason. Questo passaparola in era pre #metoo attorno ai potenziali abusi del procuratore generale che ha dichiarato guerra a Trump e ha aperto un’inchiesta su Harvey Weinstein suscita un malpensiero: e se fosse stato proprio Trump, per tramite di qualcuno dei suoi, a sussurrare agli eroi del giornalismo coraggioso e femminista la dritta per incastrare il mastino che lo voleva incastrare, triangolando e dunque facendosi beffe del #metoo? Questo metterebbe gli autori in una posizione di notevole imbarazzo. In quel caso, sarebbero ancora eroi della difesa delle donne o diventerebbero sicari più o meno inconsapevolmente arruolati del Nemico Arancione? Nel dubbio i due hanno presentato una excusatio non petita.