Come scrivere un noir originale? Ambientarlo in Mongolia

La recensione di “Morte nella steppa”, il romanzo di Ian Manook, nell'unica rubrica che vi dice come parlare di libri (senza perdere tempo a leggerli)

Andrea Ballarini

Shottini è un'idea di Andrea Ballarini. Video ed editing di Enrico Cicchetti


   

Trovare qualcosa di nuovo nel sovraffollato mondo del giallo è sempre più difficile. Per rendersene conto basta entrare in qualunque libreria e dare una scorsa al banco delle novità: circa due terzi appartengono al genere giallo. I commissari, i detective, le commissarie si sono moltiplicati e le differenze attengono più alla personalità dei protagonisti che alle trame: se sono uomini solitamente alle spalle hanno storie più o meno dolorose e famiglie devastate; se sono donne, specialmente se sono sotto la quarantina, di solito hanno rapporti difficili con gli uomini; se proprio va bene hanno una relazione che si trascina da anni con un uomo (spesso un collega) che non ha ancora deciso che cosa vuole dalla vita e, soprattutto da loro.

  

Anche il detective di cui parliamo oggi, e cioè il commissario Yeruldegger, appartiene a pieno titolo a queste tipologie. Anche lui ha esperienze dolorose alle spalle, che gli hanno devastato la famiglia, ha una figlia ventenne con cui ha un rapporto fortemente conflittuale eccetera, eccetera, insomma, tutto il solito repertorio. La novità del libro di Ian Manook (pseudonimo del giornalista francese Patrick Manoukian), Morte nella steppa – che è il primo capitolo di una trilogia uscita nel 2015 in Francia con un enorme successo – consiste nell’ambientazione.

 

Decenni di romanzi hard boiled e di film hollywoodiani ci hanno abituato a ambientazioni noir anglosassoni, americane o, al massimo francesi. Manook, invece, ha avuto l’idea di ambientare la saga di Yeruldegger in Mongolia. Ora, chi ne sa qualcosa della Mongolia alzi la mano. I più secchioni si possono spingere a citare la capitale: Ulan Bator, ma la cosa finisce lì. Invece, Manook descrive con una ricchezza di particolari che denota una conoscenza più che profonda, il rapporto tra la metropoli che ancora porta l’impronta staliniana e le sterminate steppe che la circondano, dove la vita scorre essenzialmente in base a ritmi immutati da millenni; ma in cui irrompono – spesso con effetti devastanti – i segni della modernità, che nel caso specifico vengono dalla Cina e si incarnano nella burocrazia di alcuni funzionari cinesi e nella violenza di una gang di motociclisti filo-nazi che impazza vessando i contadini. Anche se non viene detto esplicitamente la Cina  è presentata come un gigante che con la sua enorme forza di inerzia rischia di spazzare via tutto quello che le sta attorno, tradizioni mongole comprese.

 

Yeruldegger nel corso del romanzo incappa in due casi apparentemente irrelati: da una parte tre funzionari cinesi massacrati e dall’altra i resti riemersi dalla steppa del corpo di una bambina cinese scomparsa anni prima, durante un viaggio in Mongolia con i genitori. In mezzo, funzionari corrotti, affaristi senza scrupoli e tutto l’armamentario di un bel noir.

 

Con grande sapienza narrativa Mannok, che voi però non vi godrete più di tanto, perché sono oltre 500 pagine (roba da matti), descrive passo passo come le due indagini confluiranno e Yeruldegger si rivelerà un personaggio romantico, amareggiato ma pieno di una serie di sfaccettature che poi si chiariranno negli altri due volumi della trilogia, sempre usciti da Fazi, e scoprirà che risolvere questo mistero lo aiuterà anche a liberarsi di un passato troppo pesante.

 

Insomma, per riassumere Morte nella steppa con una sola frase durante una cena, potete dire che il giallo è ben vivo e ancora non si vede chi lo ammazzerà.

 

YERULDEGGER. MORTE NELLA STEPPA
di Ian Manook, Fazi editore, 524 pagine

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