Una manifestazione contro il climate change a Washington (foto LaPresse)

Clima e moralismo

Giuliano Ferrara

L’idea di insegnare il climate change a scuola ci ricorda che avremmo bisogno di molti più bollettini dell’Aeronautica

Anche Michele Serra ieri ha scoperto il servizio meteorologico dell’Aeronautica, quel formidabile organo di informazione climatica in grado di trattare con dignitoso equilibrio, nei suoi impeccabili bollettini, isobare, mari agitati, stabilità, temperature, cumulonembi, giornate stabili e soleggiate, piovaschi e precipitazioni sui rilievi e altri elementi, sparsi nelle quattro stagioni del clima che cambia e non cambia. Nel dargli il benvenuto, noi fan di sempre del Sacro bollettino che, specie nella versione radiofonica, non ci opprime con i ghiacciai in decomposizione, con le previsioni a cinquant’anni, con le simulazioni apocalittiche, siccità, carestie, incendi e altre bellurie, inviamo un grato saluto anche al signor ministro della Pubblica istruzione e al suo encomiabile progetto di introdurre nelle classi scolastiche la disciplina del cambiamento climatico. Niente come questa insana proposta illustra al meglio il carattere dottrinale e ideologico della vasta campagna mondiale per contrastare con uno speciale moralismo umanista il famoso climate change.

 

 

Per uno che si è stancato degli “al lupo! al lupo!”, e chiede a tutti i membri della confraternita progressista di darsi una regolata, ecco farsi avanti un altro con l’idea di appaiare l’isteria termica corrente alle ore di storia, geografia, italiano e matematica. Siamo al cuore del problema. L’insistenza sulla quasi unanimità degli scienziati climatologi a proposito dell’estinzione del pianeta, notizia largamente prematura se dobbiamo giudicare liberi da impulsi futurologici, si combina come era prevedibile e previsto con il disvelamento favolistico, che viene dalla Svezia adolescenziale, di una casa che brucia in attesa di pompieri sempre in ritardo. Se qualcuno non la beve, deve essere un po’ matto, ed è passibile di rieducazione o esclusione. Come lo studioso delle nuvole Franco Prodi, che cominciò la sua formazione scientifica in ambiente aeronautico, sugli Appennini, e parla come tutti dovrebbero parlare, pacatamente e di cose che si conoscono, ed è uno che non conosce la “bomba d’acqua” ma solo temporali giudicati “fenomeni geofisici meravigliosi”, e non si spaventa né predice apocalissi per lo scambio di fotoni tra il sole e la terra, e sopra tutto non scambia per coscienza ecologica, semmai li considera incoscienza scientifica, gli azzardi previsionali di una scienza climatologica giovane e inesperta, che attribuisce all’uomo normali variazioni di temperatura già riscontrate nella storia del freddo e del caldo in secoli naturalistici e rurali. Basta con questi fotoromanzi, dice, la Padania una volta era un ghiacciaio, e il catastrofismo dell’Onu non è un tribunale scientifico affidabile, tutto qui.

 

 

Se uno combatte le frasi fatte con altre frasi fatte, ma dotate del fascino proverbioso dell’esperienza comune, e dunque al riscaldamento globale oppone in autunno e inverno il freddo locale, talvolta notevole, e in certe mattinate estive il regime di lieve brezza rinfrescante delle terrazze romane, se uno registra quello che si sente nelle ossa, e alla bomba d’acqua sostituisce il concetto scientifico di sgrullone, ecco che i grilliparlanti lo rimproverano e gli dicono che non sa distinguere tra meteo e clima, vabbè. Mandare tutti a scuola, il luogo da dove Greta Thunberg è fuggita imbarcandosi con un Casiraghi di carbonio, per imparare quello che nessuno ha titolo per insegnare, tranne forse Franco Prodi e altri come lui, sarebbe davvero una bella prospettiva da democrazia liberale matura. Ieri acqua nella Basilica di San Marco, “emergenza nelle città d’arte”. Emergenza e anche pazienza, è già successo tante volte. Per fortuna resterà sempre l’Aeronautica con i suoi bollettini, che ascolteremo come fossero Radio Londra, noi prodiani di stretta osservanza (climaticamente parlando).

  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.