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Cattivi scienziati

Il grande contributo dell'intelligenza artificiale alla scienza (e all'agricoltura)

Enrico Bucci

Un gruppo di ricercatori ha sviluppato una nuova rete neurale che riesce a classificare accuratamente le malattie delle piante in ambienti naturali. Così l'Ia può agevolare il lavoro scientifico e gli interventi di prevenzione

Nel 2013, di fronte all’avanzare di una strana forma di disseccamento rapido dell’ulivo in Puglia, il compianto prof. Giovanni Martelli per primo si pose una fatidica domanda, dimostrando il suo intuito e la sua abilità di scienziato nel connettere informazioni disparate che aveva appreso durante la sua lunga carriera: e se fosse Xylella? Insieme ad altri esperti, come Maria Saponari e Donato Boscia, egli dovette subire attacchi e denigrazioni di ogni sorta, fino ad arrivare a minacce ed inchieste; ma avevano ragione, e gli imbecilli che si attaccarono ed in qualche caso ancora si attaccano o cavalcano assurde teorie cospirazioniste, pur senza mai scusarsi e dimostrando anche in questo il loro livello umano e cognitivo, sono tuttavia finiti nel dimenticatoio, dove si nascondono per evitare di ricordare a tutti di aver portato con i loro memi il principale soccorso ai geni del batterio, che ha trasformato larghe zone dei magnifici uliveti del Salento in un cimitero.

 

Ora, un nuovo lavoro, oltre che riportarmi a mente la vicenda, solleva un’interessante questione: cosa succederebbe se la prima, fondamentale diagnosi precoce di una fitopatologia potesse essere spersonalizzata, cioè potesse essere attribuita non ad una persona, ma ad una macchina che, con un sistema di intelligenza artificiale, potesse fornire una prima indicazione probabilistica da approfondire successivamente? Oltre al fatto che sarebbe più difficile sospettare un complotto da parte dei ricercatori, vi sarebbero diversi vantaggi nell’affiancare tale strumento agli esperti umani: la possibilità di una sorveglianza più capillare, per cominciare, visto che i sensori possono essere moltiplicati più facilmente rispetto alle teste dei Martelli, dei Boscia e delle Saponari, ed in secondo luogo anche la possibilità di rivelare segnali non immediatamente percettibili ai sensi umani, esaminando per esempio segnali chimici e aspetto delle piante a frequenze non visibili. Il lavoro cui accennavo, appena pubblicato, si basa sull’utilizzo di un nuovo tipo di reti neurali applicato all’estrazione di dati da immagini delle piante controllate. In particolare, le reti neurali, in grado di associare particolari “pattern” nei dati a specifiche malattie, hanno prodotto risultati promettenti nella classificazione delle malattie delle piante. Tuttavia, i metodi convenzionali sin qui utilizzati richiedono un allenamento preliminare per previsioni migliori, e quindi sono particolarmente vulnerabili alla mancanza di dati di addestramento adeguati. Oltretutto, una buona raccolta di dati su cui condurre l’addestramento delle reti neurali è possibile in ambienti controllati, ma non banale nel mondo reale. Sul campo, le malattie possono essere rare o non facilmente osservabili, oppure, come nel caso della Xylella, possono essere relativamente poco documentate su una nuova pianta ospite. Per questi motivi, sin qui i classificatori automatici di fitopatologie basati su reti neurali sono risultati limitati nella loro utilità quando utilizzati su dati reali, non compresi nel set utilizzato per l’addestramento.

 

Ora, un gruppo di ricercatori, autori del lavoro citato, ha sviluppato una nuova rete neurale relativamente semplice chiamata "Multi-Representation Subdomain Adaptation Network with Uncertainty Regularization for Cross-Species Plant Disease Classification" (Msun), che a quanto pare riesce a classificare accuratamente le malattie delle piante in ambienti naturali. Per fare ciò hanno applicato una tecnica chiamata adattamento del dominio non supervisionato (Uda), la quale consente di adattare i modelli appresi dall’intelligenza artificiale durante l’addestramento in laboratorio alla situazione trovata sul campo, senza bisogno di supervisione umana. Questa tecnica ha consentito di superare le difficoltà correlate alla complessità delle immagini raccolte in campo, come la presenza di molte foglie, angoli di ripresa inusuali, sfocature e altri confondenti legati all’acquisizione fotografica. Inoltre, la tecnica è risultata robusta alla presenza simultanea di più patologie sulla stessa pianta, documentate in una singola immagine, e anche alla relativa similitudine di sintomo prodotta da agenti patogeni diversi. Alla fine, utilizzando enormi dataset di immagini fitopatologiche raccolte sul campo in tutto il mondo, il gruppo di ricerca autore del lavoro in questione ha potuto dimostrare come l’accuratezza e la precisione di diagnosi ottenuta fosse paragonabile a quella raggiunta durante l’addestramento su immagini di laboratorio, superando così qualunque altro metodo di diagnosi automatica sin qui disponibile. Se il lavoro di questi scienziati dovesse risultare valido e confermato dall’analisi di altri gruppi indipendenti, si aprirebbero scenari molto interessanti, fra i quali alcuni mi vengono immediatamente alla mente.

 

Innanzitutto, lo stesso tipo di tecnica potrebbe essere usata per l’analisi di immagini e di altri tipi diversi dalle semplici immagini ottiche, aumentando la quantità di informazione a disposizione per una discriminazione più accurata. Inoltre, anziché limitarsi all’analisi delle foglie di singole piante, si potrebbe provare ad utilizzare lo stesso metodo applicandolo al processamento di immagini multispettrali ottenute da droni o aerei, almeno per certe particolari condizioni di stress e patologia rilevabili su vaste estensioni coltivate, come appunto frutteti, oliveti, vigne e altri tipi di superfici coltivate. Complessivamente, l’aiuto proveniente dall’intelligenza artificiale potrebbe fornire ai fitopatologi quella forza basata sui dati che, una volta sottoposta a supervisione umana, è stata in altri settori in grado di migliorare enormemente la nostra capacità di intervento pronto, accurato ed efficace; e forse, al di là del fatto che le teste calde dei cospirazionisti comunque immagineranno nuovi inganni ai loro danni, può darsi che la prossima catastrofe ambientale legata a qualche patogeno o a semplici variabili climatiche possa essere meglio affrontata, grazie ai metodi dell’agricoltura di precisione supportati dalla moderna ricerca nell’intelligenza artificiale.

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