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Lo scoglio Ogm

Lo spiraglio di una legge per il miglioramento genetico delle piante

Roberto Defez

Il ddl De Carlo (FdI), in discussione al Senato, propone di riaprire le sperimentazioni all’aperto di piante migliorate, mai vietate in teoria, ma sempre bloccate nei fatti. Un testo che va analizzato e contestualizzato in un paese da sempre restio alle innovazioni nel settore agricolo

Si dice che una rondine non faccia primavera, ma forse questa primavera potrebbe far arrivare una nuova rondine. Nel becco porta un simbolico ramo d’ulivo nella forma del disegno di legge 488 presentato dal senatore De Carlo (FdI). Se l’essenza del testo ora in discussione al Senato si tramutasse in legge, un quarto di secolo di scontri tra la comunità scientifica e la classe politica potrebbe trovare una via di dialogo. Nel 1998, da Alan Friedman, iniziai a dibattere con l’allora ministro Rosy Bindi sui progressi del miglioramento genetico in agricoltura, che già era rappresentato dai grafici pubblicitari quale presagio di danni sanitari e ambientali. Rispetto ad allora, il ddl De Carlo compie un’inversione di 1.260 gradi, ossia di tre giri e mezzo. Il testo propone di riaprire le sperimentazioni all’aperto di piante migliorate, mai vietate in teoria, ma sempre bloccate nei fatti dal 2006 dalle leggi del duo verde-nero Pecoraro Scanio-Alemanno. Il testo ribalta quanto legiferato vent’anni fa: stabilisce dei tempi certi per le autorizzazioni a sperimentare. I testi del duo verde-nero non hanno ancora le norme tecniche per consentire la sperimentazione scientifica: leggi silenzio-dissenso. Il ddl 488 è invece una bozza da silenzio-assenso: fissa una scansione dei tempi, non parte dal presagio di un’epidemia o un cataclisma, si prefigge la riduzione dell’uso di agrofarmaci evitabili, spinge alla lotta ai cambiamenti climatici, esorta ad adeguare le coltivazioni alle già mutate condizioni ambientali, riconosce il rischio di far accumulare al paese definitivi ritardi nelle produzioni agricole nazionali, teme il rischio che senza miglioramento genetico dovremo ancora aumentare le importazioni di costose derrate alimentari, vede il potenziale danno per l’imprenditoria nazionale.

 

I pattinatori che compiono un triplo Axel, ossia tre giri e mezzo, saltano su un piede e atterrano con l’altro: un volo più che un salto. Questo fa già l’articolo 1 del ddl 488 che recita di voler contrastare il cambiamento climatico, ridurre l’uso di fitofarmaci e il consumo d’acqua, il tutto rispettando un vero principio di precauzione, non quello finora distorto in divieto di spostare anche un granello di sabbia in una spiaggia. Il testo non consente di sperimentare piante Ogm, ma apre alla sperimentazione per fini scientifici delle tecnologie del genome editing e della cisgenesi. Ossia a una mutagenesi mirata a correggere singoli difetti introducendo variazioni molto limitate, oppure a trasferire interi geni da specie affini con cui la pianta in analisi si incrocia/accoppia normalmente. Definire le mutazioni che coinvolgono poche sillabe dell’alfabeto del Dna potrebbe apparire vago. Per questo il 2 giugno 2016 avevo depositato a nome del Cnr un testo per un’audizione sul genome editing in commissione Agricoltura del Senato proponendo di fissare l’estensione a meno di 17 basi (o lettere) del Dna. Questo per distinguere le tecnologie descritte anche nel ddl 488 (dette Sdn 1 e 2) da quelle definite Sdn 3, ossia l’introduzione di un nuovo gene da specie non affini come fatto per gli Ogm del secolo scorso. Ma l’inversione più significativa di questo ddl sta nel riconoscere che gli scienziati pubblici cercano di migliorare la salute e l’ambiente, lavorano per attenuare i rischi e aiutare gli imprenditori agricoli, desiderano ridurre l’uso di fitofarmaci e dissetare le piante esposte al clima mutato. Troppo spesso la comunità scientifica è stata invece insultata e umiliata.

 

Se l’autore di “Belve”, Antonio Pascale, dovesse rispondere alla domanda iniziale che la giornalista Francesca Fagnani rivolge ai suoi ospiti (“Che belva si sente?”) saprebbe già che nel mio caso la risposta sarebbe: Salmone. Un pesce che risale la corrente del pensiero dominante (quello contrario agli Ogm), esposto alle aggressioni di tutti i predatori. Ho scelto 16 anni fa questo animale iconico anche per un’altra ragione. Anche i pochi salmoni che sfuggono a orsi e pescatori, moriranno poco più a monte, ma solo dopo aver dato vita alla nuova generazione (di scienziati). Speriamo che le uova del genome editing si possano finalmente schiudere.

Roberto Defez è biotecnologo, Cnr Napoli.

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