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L'oscurantismo scientifico e il fondamentalismo animalista grillino

Gilberto Corbellini e Michele De Luca*

Attacco a Telethon, mix di menzogne, moralismo e populismo

La propaganda dei partiti politici populisti, come il Movimento 5 stelle, fa uso sistematico della disinformazione e della menzogna per arruolare alla causa del moralismo assolutista i più bassi impulsi umani. Cioè invidia, odio e pregiudizio. La peggio barbarie si ha quando parlano di scienza, dove non c’è argomento che non li veda dire cose tanto false quanto incendiarie. Il M5S è da sempre, cioè da un famoso blog come sempre delirante del loro guru comico, contro la sperimentazione animale. Le insulsaggini della senatrice Paola Taverna sull’argomento non sono diverse per contenuti dall’attacco del deputato Paolo Bernini a Telethon, dal quale il M5S di lotta e di governo ha preso le distanze, perché Telethon piace a molti loro elettori. Come accade a chi difende tesi faziose su argomenti di cui non capisce, Bernini necessita di 16 domande per dire un concetto che una persona di intelligenza media esprime con una sola: perché ci si ostina a usare la sperimentazione animale, quando abbiamo le prove che fornisce dati incerti, contraddittori o fuorvianti, e rischia di ostacolare la scoperta di nuovi farmaci e abusa di esseri viventi che hanno funzioni mentali e il diritto di non essere usati nel nostro interesse?

 

Non abbiamo difficoltà a sfidare chiunque a provare, al di là di qualche aneddoto magari mal compreso, che la sperimentazione animale non abbia rappresentato uno strumento essenziale per gli avanzamenti conoscitivi e terapeutici in medicina. E che continui a svolgere tale funzione. Il primo equivoco da togliere di mezzo è che la ricerca scientifica proceda conquistando ogni volta verità definitive, con procedimenti o metodi sempre ottimali. Cioè senza fare errori. Il buon Popper ha spiegato che non c’è niente di più sbagliato e pericoloso che credere nel funzionamento perfetto, invece che perfettibile, della scienza e della democrazia. Così che la famosa battuta di Churchill, che la democrazia è il peggior metodo di governo, a parte tutti gli altri, vale per il metodo sperimentale (applicato anche ai modelli animali): si tratta del peggior metodo per produrre conoscenze o terapie, a parte tutti gli altri.

 

E’ avvilente ascoltare falsità del tipo che la sperimentazione animale non è servita e non serve a niente, ovvero che i dati raccolti sugli animali sono inattendibili. Sin dall’antichità medici e fisiologi praticano la sperimentazione animale, e da metà Ottocento non c’è praticamente farmaco o trattamento – ma pensate anche alle varie chirurgie, soprattutto neonatale o ai trapianti, che salvano milioni di persone – che non sia passato prima per la sperimentazione animale, dal secondo dopoguerra obbligatoriamente. L’alternativa sarebbe sperimentare sull’uomo. Cosa che facevano i nazisti, non a caso orgogliosi di avere una legge contro la sperimentazione animale, e fino a pochi decenni fa diversi paesi usavano malati di mente, piccoli orfani o persone socialmente discriminate per motivi razziali o di censo. Storie che oggi ci fanno inorridire.

 

Numeri per capire

 

Chi è contro la sperimentazione animale crede che gli animali siano sempre stati oggetto di cura da quasi metà della popolazione: 60 milioni di animali vivono in casa del 43 per cento degli italiani (più del 60 per cento negli Stati Uniti). In realtà se oggi gli animali sono rispettati più di quanto non sia mai accaduto nella storia umana è perché i progressi economici e sanitari hanno migliorato il reddito pro-capite e le condizioni abitative, e abbattuto mortalità e malattie. Fino agli inizi dell’Ottocento gli animali erano regolarmente oggetto di torture e abusi, soprattutto da parte di chi era più indigente, ignorante e discriminato. Anche gli aristocratici li usavano per divertimenti violenti, oltre che come cibo. Le prime leggi contro la crudeltà ai danni degli animali sono degli anni Venti di quel secolo, cioè il risultato dalla sensibilità maturata con il razionalismo illuminista e le nuove abitudini della vita urbana.

 

Dagli anni Cinquanta del Novecento sono stati i ricercatori, ben prima dei filosofi neoutilitaristi o contrattualisti e poi dei politici, a sollevare il problema di ridurre l’uso degli animali a scopi sperimentali. Le “3 R” (riduzione, riuso e raffinamento) sono le regole inventate da due scienziati inglesi nel 1959, e hanno consentito prima alla Gran Bretagna, poi agli Stati Uniti e infine alla Comunità europea di produrre legislazioni rigidissime, che contemperano la necessità di disporre di modelli animali per una ricerca che sia di migliore qualità, abbattendo lo stress e il dolore, e di rispettare la crescente sensibilità sociale verso le sofferenze animali. Anche lo studio e l’invenzione dei metodi alternativi aveva inizio già da fine Ottocento.

 

Sui metodi alternativi circolano comunque equivoci e falsità. I metodi alternativi, cioè modelli in vitro, in silico o i microchip, etc., sono stati inventati dagli scienziati, a partire da dati sperimentali ottenuti dagli studi della fisiologia animale, e sono preferiti dai ricercatori quando appropriati. Non esistono ricercatori che abbiano convenienza a usare gli animali se ci sono metodi alternativi: perché gli animali sono difficili da manipolare, hanno costi molto superiori e spesso mettono a disagio i giovani ricercatori. Alla lunga larga parte della sperimentazione con modelli animali sarà superata. Ma se si vuole fare in modo che questo accada rapidamente, riducendo così la sofferenza animale, si dovrebbe evitare di vietarla. I principali nemici degli animali sono gli animalisti. I fondamentalisti su questa materia dovrebbero, per coerenza, chiedere intanto che sia scritto sui farmaci o detto per altri trattamenti che hanno richiesto la sperimentazione animale, e rifiutare di usarli. Ma non ce li vediamo con questo coraggio. La tesi dei diritti animali, infine, è abbastanza ridicola. La base di qualunque diritto è il suo riconoscimento condiviso; il che è problematico con gli animali non umani.

  

E’ quasi matematico che l’impedimento a sperimentare con animali rallenterà lo sviluppo delle conoscenze e delle terapie, ovvero si potrebbero mettere a rischio proprio quelle condizioni che hanno aiutato la riduzione dell’uso di modelli animali. Se le malattie infettive tornassero a uccidere i bambini e se il declino industriale impoverisse i meno abbienti, gli animali tornerebbe a essere oggetto di crudeltà e tornerebbe conveniente liberalizzare la sperimentazione animale nell’interesse egoistico della sopravvivenza della nostra specie. Altro che diritti.

  

* CNR – Dipartimento di scienze umane e sociali, patrimonio culturale
Centro di medicina rigenerativa “Stefano Ferrari”, Università di Modena e Reggio Emilia

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