Ecco la risposta dei Laboratori nazionali del Gran Sasso alle Iene

Redazione

I “men in black” di Mediaset hanno rilanciato le paure di alcuni gruppi ambientalisti, preoccupati dall’eventualità che Sox, un esperimento del tutto sicuro, possa invece causare inquinamenti delle acque e contaminazioni radioattive

Ci sono trasmissioni e trasmissioni. Se domani sera mettete su Rai5, potrete seguire, “accoccoloni impoltronati”, l'archeologo Darius Arya avventurarsi in un moderno “viaggio al centro della Terra” – o meglio dell’Abruzzo. Dalle grotte naturali utilizzate nel paleolitico dai primi uomini che abitarono queste terre, giù fino nel cuore della montagna, faccia a faccia con il futuro, nei sotterranei Laboratori nazionali del Gran Sasso (Lngs). Potreste invece essere incappati su Italia1, martedì 21 novembre, nel servizio delle Iene dal titolo “Un pericoloso esperimento nucleare tenuto nascosto”. Un indigesto malloppo di allarmismo e mezze verità, a partire dal titolo: l’esperimento di fisica delle particelle chiamato Borexino (o SOX), oggetto dell’“inchiesta giornalistica”, è uno dei più importanti degli ultimi tempi in Italia e a riguardo c’è ben poco di segreto.

   

Fukushima de noantri

Come raccontato dal Foglio, i “men in black” di Mediaset hanno rilanciato le paure di alcuni gruppi ambientalisti, preoccupati dall’eventualità che SOX possa causare inquinamenti delle acque e contaminazioni radioattive. Secondo “Le Iene” nei Laboratori dell’Istituto nazionale di fisica nucleare (Infn), sarebbe in corso un esperimento pericolosissimo che potrebbe produrre danni pari a quelli visti a “Fukushima, il disastro nucleare più grave dopo Chernobyl”: “Nei prossimi mesi una sostanza con la stessa potenza radioattiva potrebbe mettere in pericolo una regione italiana”. Da questi laboratori potrebbe arrivare la minaccia nucleare, perché – dicono le Iene – l’esperimento prevede l’uso del “Cerio 144, che è una sorgente molto radioattiva”. In seguito al servizio di Nadia Toffa per Le Iene, la Commissione attività produttive della regione Abruzzo ha approvato all’unanimità una risoluzione presentata dal M5s che chiede “il blocco immediato e definitivo dell’esperimento radioattivo SOX nei laboratori Infn del Gran Sasso”.

  

Centrali atomiche e ferri da stiro

Il paragone con il disastro della centrale nucleare giapponese, “o anche la semplice associazione di idee”, scrivono in una nota stampa dai Lngs, “non si fonda su argomenti concreti né realistici, ed è un’operazione mediatica scorretta che ha come effetto quello di diffondere tra le persone uno stato di ingiustificato allarme”. Intanto perché a SOX “non possono essere associati i rischi connessi a una centrale nucleare perché non è un reattore nucleare, e non può esplodere, neppure a seguito di azioni deliberate, errori umani o calamità naturali”. La sorgente dell'esperimento decade spontaneamente ed è costituita da circa 40 grammi di polvere di Cerio 144 sigillata, come accade negli ospedali delle nostre città per eseguire esami diagnostici e terapie. “Non dipende da alcun sistema di controllo attivo (sia esso elettronico, meccanico o idraulico), e non può quindi in nessun caso ‘guastarsi’ o ‘andare fuori controllo’”, spiegano gli scienziati. Questa polvere “è sigillata in una doppia capsula di acciaio, a sua volta chiusa in un contenitore di tungsteno di 19 centimetri, pesante 2,4 tonnellate, realizzato appositamente con requisiti più alti rispetto agli standard di sicurezza richiesti, e in grado di resistere fino a 1500°C oltre che a impatto, incendio, allagamento e terremoto. La potenza termica della sorgente non è paragonabile a quella di una centrale nucleare”. La sorgente di SOX ha infatti “la potenza termica di un ferro da stiro, 1200 Watt, contro 1.000.000.000 di Watt di un reattore”. La polvere di Cerio 144, per la quale si è seguito tutto l’iter di autorizzazione previsto per legge per il suo impiego, rimarrà nei laboratori il tempo necessario allo svolgimento dell’esperimento, cioè 18 mesi, dopodiché sarà riconsegnata all’Istituto francese che ne è proprietario.

    

Captatio malevolentie

Secondo Le Iene poi, i Laboratori sono immersi in una delle “sorgenti d’acqua più pura d’Europa, che dà da bere a mezzo Abruzzo”: “Un incidente potrebbe inquinare le falde acquifere, la catena alimentare e l’intero Adriatico”. Se è vero che i laboratori sono vicini a una falda acquifera, va detto che “la captazione è stata realizzata successivamente alla costruzione dei Laboratori”, spiegano dall’Istituto. Durante i lavori di costruzione dei Lngs, all’inizio degli anni Ottanta, sono state individuate le falde, le cui acque sono state scaricate – per evitare allagamenti all’interno dei Laboratori. In seguito, le istituzioni competenti hanno deciso di utilizzarle per l’approvvigionamento idrico. Le Iene mostrano un documento dell’Istituto superiore di sanità che evidenzia la mancata esecuzione di lavori di messa in sicurezza e la mancata distanza di almeno 200 metri della captazione da eventuali sostanze chimiche o radioattive. “I Laboratori sono dotati di un sistema di gestione ambientale nel rispetto dei relativi standard internazionali”, scrive l’Infn “e rispettano la zona di tutela assoluta (10 metri) prevista in materia ambientale. Per quanto riguarda la zona di rispetto (200 metri), poiché l’infrastruttura dei Laboratori sotterranei è anteriore all’entrata in vigore del decreto legislativo e con evidenza non è possibile il suo allontanamento, l’Istituto è continuamente impegnato a garantire la messa in sicurezza delle proprie attività, rendendosi da sempre disponibile ad attuare ulteriori miglioramenti, ove necessari”.

  

Il fantasma degli “incidenti” passati

Le Iene hanno parlato inoltre di due “incidenti” in cui l’Istituto sarebbe stato responsabile di aver inquinato le acque abruzzesi. Il 16 agosto 2002 dai laboratori dell'Infn fuoriescono da un recipiente 50 litri di trimetilbenzene, un idrocarburo isolato durante la distillazione del petrolio, che causano l'inquinamento della falda acquifera a valle del massiccio. Su questo incidente le indagini evidenziano un errore umano ma le analisi mostrano che la concentrazione di sostanza si è mantenuta al di sotto dei livelli di guardia. Per ulteriore cautela comunque, da allora sono stati eseguiti altri lavori per isolare maggiormente gli impianti e ridurre i rischi.

  

Un altro episodio riportato da Nadia Tolfa risale al 2016. In quei giorni erano in corso nei laboratori operazioni di pulitura con diclorometano (DCM, un comune solvente) di alcuni cristalli di un esperimento. Ma “parlare di ‘incidente’ e ‘fuoriusciuta di diclorometano’ in riferimento all’evento che si è verificato nell’agosto 2016 è improprio”, rispondono dai Lngs. “In quell’occasione è stata rilevata nell’acqua una concentrazione di DCM pari a 0,335 microgrammi per litro, e le analisi della Ausl l'hanno segnalata come un’anomalia. Tuttavia, questa concentrazione non ha rappresentato assolutamente una criticità: l'Organizzazione Mondiale della Sanità per le acque potabili raccomanda un limite di 20 microgrammi per litro”. Insomma, i valori erano 60 volte inferiori ai limiti: “Le concentrazioni estremamente basse di DCM non hanno determinato alcuna contaminazione. L’acqua potabile immessa in rete in quei giorni non ha mai rappresentato un pericolo per la salute pubblica”.

 

L’episodio di maggio 2017

“I Laboratori vogliono anche ribadire la loro estraneità rispetto a un episodio verificatosi il 9 maggio 2017 quando, a seguito di una disposizione dell’Ausl di Teramo, è stato sospeso l’uso a fini potabili delle acque in uscita dal Traforo del Gran Sasso, a seguito dei prelievi effettuati il giorno prima che ne rilevavano la non conformità per odore e sapore. In quei giorni l’acqua captata nell’area dei Laboratori non veniva immessa nell’acquedotto. È quindi impossibile che questo episodio sia da ricondurre alle attività dei Laboratori. Oltretutto, dai monitoraggi costantemente eseguiti durante quei giorni dai Laboratori, le acque di scarico in uscita sono sempre risultate pulite e assolutamente conformi ai requisiti previsti per le acque potabili”.

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