Una ricostruzione della Nasa che mostra le onde elettromagnetiche generate da due stelle in un sistema binario chiamato J0651

Trovata l'onda impossibile

Umberto Minopoli
Newton, Einstein, Krauss. I migliori scienziati dell’universo erano a caccia del mistero mai svelato delle onde gravitazionali. Oggi un gruppo di astronomi ha annunciato di averle viste. E anche sentite. Ecco tutto quello che c'è da sapere sui rumori provenienti dal cosmo profondo e sul perché è una scoperta epocale – di Umberto Minopoli

Per la prima volta, gli scienziati hanno osservato in modo diretto le onde gravitazionali. Appaiono come increspature nel "tessuto" dello spaziotempo, perturbazioni del campo gravitazionale, arrivate sulla Terra dopo essere state prodotte da un cataclisma astrofisico avvenuto nell'universo profondo. Questo conferma un'importante previsione della Relatività generale di Albert Einstein del 1915, e apre uno scenario di scoperte senza precedenti sul cosmo. Lo ha annunciato Fulvio Ricci, coordinatore della collaborazione scienfica Virgo che ha lavorato alla ricerca. Le onde gravitazionali portano informazioni sulle loro violente origini e sulla natura della gravità, informazioni che non possono essere ottenute in altro modo. I fisici hanno determinato che le onde gravitazionali rivelate sono state prodotte nell'ultima frazione di secondo del processo di fusione di due buchi neri in un unico buco nero ruotante più massiccio. Questo processo era stato previsto ma mai osservato prima.

 

Le onde gravitazionali sono state rivelate il 14 settembre 2015, alle 10:50:45 ora italiana da entrambi gli strumenti gemelli Laser Interferometer Gravitational-wave Observatory (LIGO), negli Stati Uniti, a Livingston, in Louisiana, e a Hanford, nello stato di Washington. Gli osservatori LIGO, finanziati dalla National Science Foundation (NSF) e operati da Caltech e MIT, hanno registrato l'arrivo delle onde gravitazionali entro una finestra temporale di coincidenza di 10 millisecondi.

 

L'importante risultato, pubblicato oggi sulla rivista scientifica Physical Review Letters, è stato ottenuto, grazie ai dati dei due rivelatori LIGO, dalle Collaborazioni scientifiche LIGO (che include la Collaborazione GEO600 e l'Australian Consortium for Interferometric Gravitational Astronomy) e VIRGO, che fa capo allo European Gravitational Observatory (EGO), fondato dall'Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) italiano e dal Centre National de la Recherche Scientifique (CNRS) francese. Di seguito il video pubblicato dal New York Times sulla scoperta scientifica.

 


Pubblichiamo l'articolo di Umberto Minopoli uscito sul Foglio il 31 gennaio 2015

 

Onda su onda… Nel magistrale manuale di divulgazione del 1938, L’evoluzione della fisica, scritto insieme all’astrofisico polacco Leopold Infeld, Albert Einstein si chiedeva: “Cos’è (in fisica) un’onda?”. E rispondeva: “Immaginate un pettegolezzo raccontato a Washington che raggiunge, molto rapidamente, New York, e senza che chi l’ha raccontato viaggi tra le due città”. Insomma l’onda (in fisica) è nient’altro che informazione che si muove veloce. Curioso: ottant’anni dopo, è proprio quello che è capitato capitato allo stesso Einstein. O meglio, a una delle ipotesi più elusive e, ancora, misteriose della sua teoria della relatività: le onde gravitazionali.

 

E’ bastato un twitt dall’Arizona, quasi un pettegolezzo, di un astrofisico di fama, Lawrence Krauss, autore del best-seller La fisica di Star Trek, a mettere in agitazione fisici e curiosi in tutto il mondo. Nel twitt lo scienziato (ma anche attore, produttore e scrittore) diffondeva un rumor: “Forse il Ligo (un gigantesco interferometro costruito a Livingstone nel 2002) ha scoperto le onde gravitazionali”. Di colpo la notizia ha fatto il giro del web. E, come nel caso del bosone di Higgs, un pubblico di massa ha preso contatto con uno dei misteri più resistenti della fisica del Novecento: l’ultimo dilemma, ancora insoluto, della teoria della relatività. Esattamente cento anni fa, nel 1916, Albert Einstein concludeva la stesura del suo capolavoro scientifico. Da allora quasi tutto della costruzione di Einstein è stato provato e verificato. Tutto tranne un “dettaglio”: le onde gravitazionali. Einstein le ipotizzò come una conseguenza inevitabile della sua nuova ipotesi fisica della gravità. Ma era talmente scettico sulle possibilità di rintracciarle, da concludere con pessimismo: “Non le troverete mai”. Ancor più che le elusive particelle elementari scovate nei fantascientifici acceleratori del Cern, le onde gravitazionali presentano difficoltà tecnologiche quasi sovrumane, alla loro scoperta. E, tuttavia, il mondo si è caparbiamente dedicato alla scoperta di quelle onde: una caccia tra le più affascinanti della storia della tecnologia.  Con impianti e progetti avveniristici, come vedremo. Ma, per cominciare, cosa sono le onde gravitazionali? Facile a dirsi: increspature, oscillazioni, vibrazioni di quello che la relatività definisce spaziotempo. Einstein ragionò così: ogni oggetto massivo o corpo che vibra o si muove in un mezzo – in un liquido (onde del mare), in un fluido, nell’aria (onde sonore), nel vuoto (onde elettromagnetiche) – produce onde. Altro non sono che perturbazioni, oscillazioni, vibrazioni. Che nascono da una sorgente materiale e si propagano, nello spazio e nel tempo. Queste perturbazioni trasportano dell’energia. Anzi, altro non sono che scuotimenti di energia. La cui intensità, altezza, lunghezza e frequenza, noi misuriamo con strumenti: antenne, interferometri ecc. Non c’era ragione, concludeva Einstein, perché lo stesso fenomeno, la produzione di onde, non debba verificarsi quando un oggetto, dotato di massa, è sottoposto a gravità: attraversa un campo gravitazionale. Non fa una piega. A condizione, però, che egli abbia azzeccato la sua definizione di gravità: non più forza che attrae, come si era sempre pensato fino a Newton, ma come spazio (e tempo) che si incurva e si deforma al passaggio di oggetti massivi. La mela di Newton, insomma, cade non perché sia attratta dalla Terra, da qualche forza particolare, misteriosa, invisibile. Lo stesso Newton, che pure calcolò in modo preciso la matematica della gravitazione, era infastidito da questa idea fantasmatica, ineffabile e impercettibile di gravità. Poco elegante per una mente razionale. Einstein rovesciò la credenza e sbalordì il senso comune: non c’è nessuna forza che attrae o risucchia la mela verso il terreno. Nessun fantasma: la mela cade verso terra perché percorre uno spazio obbligato, una “traiettoria incurvata”, dice Einstein, dalla stessa massa dell’oggetto che cade, che “dice allo spazio come curvarsi” . E’ come se l’oggetto scendesse lungo un senso unico. Non è attratto da nulla. E’ lo spazio che percorre, dall’albero al terreno, che è distorto in modo tale che la mela non può che finire a terra.

 

La gravità, insomma, non è una forza: è una geometria. Lo spazio assomiglia a una tela, con una geometria in quattro dimensioni (le tre dimensioni conosciute più il tempo). Elastica e flessibile: che si deforma e si incurva al passaggio di un corpo. Di qui l’analogia tra lo spaziotempo gravitazionale e gli altri mezzi in cui si producono onde. Come un oggetto che si muove o vibra in un liquido, solido o gassoso (aria) produce onde materiali e come una carica elettrica che si muove nello spazio produce onde elettromagnetiche (raggi x, luce, onde radio ecc.) anche un corpo immesso in un campo gravitazionale – lo spaziotempo – deve generare onde: onde gravitazionali.

 

Se la gravità relativistica (non forza che attrae ma deformazione della geometria dello spazio) è azzeccata, le onde gravitazionali devono esserci, da qualche parte. E finché non si trovano resta un’ombra sulla relatività. Il puzzle dura da cento anni. Perché è così difficile trovarle? La spiegazione più convincente rimanda a una caratteristica sorprendente della gravità: la sua straordinaria debolezza. E’ controintuitivo. La gravità sembrerebbe la forza più forte in natura. E’ la più debole. Pensateci: se alzate un braccio state vincendo, senza alcuna fatica, la resistenza dell’intera gravità terrestre: di tutta la grande massa della Terra. Provate invece a spezzare un atomo: vi occorre una potenza immensa per vincere la forza nucleare forte, quella che tiene insieme i nuclei degli atomi. Nessuno sa spiegarsi la debolezza della gravità. Non mancano ipotesi suggestive. La più affascinante è certamente quella avanzata da Roger Penrose, celebre fisico, matematico e cosmologo britannico: la gravità è così debole perché è l’unica, tra le quattro forze della natura (la forza debole, quella nucleare forte, l’elettromagnetica) che viaggia non solo nelle quattro dimensioni a noi note dell’universo ma anche in altre dimensioni di esso che noi non percepiamo. Decisamente intrigante. Comunque: è la debolezza della gravità che impedisce di catturare le onde gravitazionali. I calcoli dicono che per generare un’onda gravitazionale di intensità appena apprezzabile occorre che a produrla sia uno spostamento originato dall’accelerazione di un corpo di massa enorme: la massa di stelle e pianeti. Per questo le onde gravitazionali possono essere ricercate solo nello spazio profondo: osservando oggetti esotici o ambienti estremi e dai movimenti violenti come stelle di neutroni, supernove, stelle binarie o supposti buchi neri. E non è tutto. L’oggetto che genera l’onda deve essere enorme. Ma l’onda che esso produrrebbe è fantasticamente piccola: 10-21 metri (0,000000000000000000001 metri). Sapete che lunghezza è? E’ quella inferiore, di un milione di volte, al diametro di un protone. Una distanza al di là di ogni possibilità umana di misura. Ma l’uomo è il suo genio: la caccia alle onde fantasma è in corso.

 

Nonostante lo scetticismo di Einstein, la fantastica piccolezza delle onde gravitazionali pare, ormai, alla portata dell’uomo. La sfida epocale per la loro cattura è trasversale tra i grandi del mondo. Con rivelatori, macchine, strumenti ed esperimenti ai confini della fantascienza. E dei limiti naturali del nostro ambiente fisico. Anzitutto con le gigantesche antenne gravitazionali Ligo e Virgo (la prima a Livingstone in America e la seconda in Italia in provincia di Pisa). Sono interferometri laser: cavità lunghe chilometri che sfruttano le interferenze, impercettibili alle facoltà umane, tra fasci di luce fatti incrociare tra loro tramite un sistema di specchi. Se un fascio di luce incontra un’onda gravitazionale, arriverà sfasato (leggermente in ritardo) all’incontro con l’altro fascio. E uno strumento, in quel caso, registrerà la presenza dell’onda misteriosa. Semplice? Per cogliere oscillazioni nella luce di 10-21 metri occorre che, intorno ai fasci di luce, il vuoto sia assoluto e ogni più piccola fonte di rumore o disturbo sia eliminata. Negli interferometri laser il vuoto è tale da risultare un milione di volte più rarefatto dell’aria che respiriamo. E per crearlo si ricorre al freddo: creando temperature vicinissime al freddo assoluto (-273,15 gradi centigradi), esistenti solo nello spazio remoto e tali da fermare perfino le oscillazioni termiche dinatomi e particelle.

 

Stupirsi per gli interferometri esistenti è nulla rispetto a Lisa, il fantastico progetto di interferometro cosmico che europei (Esa) e americani (Nasa) costruiranno intorno al Sole. Tre satelliti ruoteranno intorno alla nostra stella a una distanza tra loro di cinque milioni di chilometri. Costituiranno un triangolo equilatero perfetto che opererà come un interferometro. I satelliti si scambieranno fasci laser. Essi, all’interno dei satelliti, andranno a colpire un carico fatto di un cubo, due chili di oro e platino, che fluttua nell’ambiente vuoto dei tre satelliti. I fasci laser viaggeranno, tra i satelliti del triangolo, in modo perfettamente sincrono. Ma se l’enorme massa del Sole creerà le microscopiche onde gravitazionali, come dovrebbe essere, e una di esse colpirà il raggio laser, questi arriverà con minuscolo ritardo sul cubo d’oro. E il raggio risulterà sfasato, deviato, ritardato. In modo incredibilmente minuscolo ma percettibile dagli strumenti. E noi sapremo che è passata un’onda gravitazionale.
Ma, alla fine, cosa ci direbbero veramente le onde gravitazionali se le scovassimo? Che Einstein aveva ragione. E poi?

 

Informazioni sulla gravità dello spazio profondo. Ma, soprattutto, una cosa: la verità definitiva sul Big Bang. La cosmologia del Big Bang ha ancora punti oscuri. Due soprattutto. E molto curiosi. Primo: perché il cosmo è isotropico (la stessa forma)? Pensateci: ovunque guardiamo nel cielo profondo, l’universo sembra essere uguale a se stesso: contiene le stesse cose che mostrano le stesse leggi di funzionamento. Sembra che ogni parte del cosmo si sia scambiata informazioni con ogni altra parte. Che tutte siano cresciute in simbiosi. Ma questo non è possibile. L’universo è così vasto. Ci sono distanze, tra due punti diversi del cosmo, talmente grandi che la luce dell’uno non ha fatto ancora in tempo, in 13,7 miliardi di anni, a raggiungere l’altro. Come ha fatto l’universo, allora, a risultare così uniforme? E’ un mistero. Un altro. La fisica avanza un’ipotesi: a qualche frazione di secondo dall’istante zero del Big Bang, l’ineffabile tempo T, l’inizio di tutto, una gigantesca misteriosa inflazione ha dilatato le dimensioni del minuscolo universo nascente. Un rigonfiamento enorme, improvviso, inspiegato (ancora), che a una velocità superiore alla luce ha dato al cosmo appena nato le dimensioni di un’arancia. E le fattezze di una sfera omogenea, piatta, in cui ogni punto era uguale a ogni altro. Ecco le ragioni dell’uniformità. L’energia della dilatazione, dell’inflazione, del rigonfiamento potrebbe aver prodotto echi, sotto forme di onde gravitazionali.

 

[**Video_box_2**]Ma c’è un altro puzzle che inquieta la cosmologia. E’ l’esatto opposto del mistero dell’uniformità: perché esistono stelle e galassie? Com’è che nell’universo, pur uniforme e isotropico dell’inflazione e della grande espansione, si sono prodotte quelle discrepanze, quei grumi di difformità che chiamiamo stelle e galassie? Non dovrebbe esserci nulla nel cosmo, solo un’eterna e noiosa dilatazione di spazio vuoto e omogeneo. Solo una raccapricciante uniformità. E invece abbiamo stelle e galassie. Se esistessero, le onde gravitazionali potrebbero essere la risposta al dilemma. C’è un’immagine, celebre ed enigmatica: la prima rappresentazione reale, totale e unitaria dell’universo visibile. E’ ormai un’immagine cult del cosmo: la ricostruzione, come in una fotografia, dell’universo all’età di 380.000 anni dal Big Bang. E’ l’epoca della grande dissociazione: quando atomi e radiazione (fotoni) si separarono. Questa cominciò a viaggiare nello spazio, e gli atomi iniziarono ad aggregarsi: il cosmo da opaco divenne visibile. E da uniforme divenne discreto. L’immagine è quella elaborata con i dati della sonda Wmap, e viene continuamente riaggiornata. E’ la mappa a colori (temperature diverse) della radiazione cosmica di fondo. Fotografa il viaggio di quei fotoni che iniziarono a correre nello spazio, 380.000 anni dopo il Big Bang. Un viaggio che i fotoni iniziarono a temperature altissime e che noi oggi percepiamo come energia bassissima, nel regime delle microonde. Le increspature, i colori differenti che rappresentano le temperature diverse dell’immagine potrebbero essere il prodotto della differente intensità delle onde gravitazionali che, ipoteticamente, furono generate dalla grande dilatazione del Big Bang. Chissà!

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