(foto EPA)

cattivi scienziati

La possibilità di ottenere vaccini validi contro tutte le varianti esiste ed è concreta

Enrico Bucci

Mentre si salvavano vite con i primi vaccini, la ricerca non si è fermata; speriamo di non sprecare i suoi risultati con scelte sbagliate

Gli attuali vaccini contro SARS-CoV-2 hanno permesso probabilmente di salvare quasi mezzo milione di vite nella sola Unione Europea; si tratta di un indiscutibile successo, che da solo dovrebbe far riflettere su quanto si sarebbe potuto raggiungere, migliorando il nostro atteggiamento di fiducia nei confronti sia della scienza sia, soprattutto, delle autorità sanitarie.

Eppure, tutti i vaccini fin qui disponibili, eccetto quelli basati sull’uso di virus attenuati, hanno un punto debole importante: essi si fondano sulla selezione di antigeni immunodominanti – regioni del virus, cioè, che suscitano una forte risposta immune nei soggetti esposti – perché, durante le fasi iniziali della risposta alla pandemia, era importante massimizzare le probabilità che i vaccini prodotti fossero immunogenici. Questa ragionevole scelta ha una debolezza importante: poiché abbiamo usato quelle regioni che sono riconosciute con particolare efficacia dal sistema immune, abbiamo anche selezionato quelle regioni che sono sottoposte in natura alla massima pressione darwiniana per mutare; regioni, per così dire, in cui è ragionevole attendersi che appaiano continuamente nuove mutazioni, per selezione da parte del nostro stesso sistema immune. Ecco perché possiamo aspettarci, ragionevolmente, che almeno una parte dell’efficacia dei nostri vaccini sia via via neutralizzata dalle nuove varianti, così come è logico che gli anticorpi monoclonali – sin qui selezionati con lo stesso criterio – diventino obsoleti, man mano che la quasispecie virale evolve.

Al contrario dell’emergenza iniziale, tuttavia, oggi sappiamo che è possibile identificare vaccini efficaci contro SARS-CoV-2; possiamo quindi pensare di ottenere vaccini che abbiano buona possibilità di neutralizzare contro tutte le sue varianti, presenti e future, oppure addirittura tutti i coronavirus umani? La risposta è che questa possibilità esiste; non voglio dire che il successo sia garantito, ma vorrei illustrare su cosa si sta lavorando e quali sono le strade che si stanno battendo.

Il modo stesso in cui siamo venuti a conoscenza della possibilità di ottenere vaccini pan-coronavirus ha dato origine ad una di queste strade. A metà del 2020 si è scoperto, per esempio, che 23 individui, a 17 anni dall’infezione con SARS-CoV-1, possedevano cellule T che erano in grado di rispondere sia al virus originario che all’attuale virus SARS-CoV-2.

Ciò indicava che dovevano esistere delle porzioni del virus (epitopi) in grado di indurre risposte immuni a cellule T di lunga durata, comuni almeno al virus di SARS e COVID-19; epitopi puntualmente identificati a partire dall’inizio del 2021, quando è risultato che in realtà ne esistevano di comuni ai coronavirus umani HCoV-NL63, HCoV-229E, HCoV-OC43, HCoV-HKU1, SARS-CoV, MERS-CoV e SARS-CoV-2.

A maggio 2021, per giunta, si è scoperto che anche la risposta di tipo B – quella anticorpale – può essere indirizzata contro regioni conservate della proteina Spike in molti coronavirus: un anticorpo in grado di neutralizzare diversi coronavirus umani è stato infatti descritto su una rivista del gruppo Nature, seguito ad agosto da altri 5 in grado di neutralizzare tutti i coronavirus di rilevanza clinica, perché diretti contro la parte S2 della proteina Spike (invece della più variabile S1, che è quella presa maggiormente in considerazione sinora).

Sempre nello stesso periodo, altri due studi interessanti hanno mostrato cosa si potrebbe ottenere da un vaccino di seconda generazione: in un primo lavoro del giugno 2021, sono stati identificati epitopi T e B conservati in oltre 81.000 isolati di SARS-CoV-2, nei coronavirus del raffreddore, in 9 coronavirus di pipistrello, 9 di pangolino, 3 di zibetto e 6 ceppi di MERS da dromedario, i quali hanno mostrato di indurre una potente risposta immune sia da parte di cellule di soggetti guariti da COVID-19 e di soggetti mai immunizzati, che nei topi; in un secondo lavoro, si è visto che i soggetti guariti da SARS e poi immunizzati contro SARS-CoV-2 producevano anticorpi in grado di neutralizzare un ampio ventaglio di coronavirus umani e non.

Infine, a Novembre di quest’anno si è scoperto che soggetti mai esposti al virus e soggetti che lo neutralizzano molto efficientemente hanno cellule T in grado di riconoscere una proteina diversa dalla Spike, ovvero la polimerasi dei coronavirus, molto conservata tra virus diversi, suggerendo un nuovo antigene ad ampio spettro per lo sviluppo di vaccini. Sappiamo quindi che è possibile indurre sia risposta B che T ad ampio spettro contro i coronavirus; sappiamo che almeno la T potrebbe essere di lunga durata; e, naturalmente, lo sviluppo industriale di candidati vaccini pan-coronavirus è iniziato, con almeno una mezza dozzina di aziende in corsa, tra cui per esempio BioVaxys e VBI. Mentre si salvavano vite con i primi vaccini, la ricerca non si è fermata; speriamo di non sprecare i suoi risultati con scelte sbagliate.

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