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“A Venezia il green pass c'era già nel ‘500 e oggi ve lo raccontiamo”

Così due documenti regolavano il commercio nella Serenissima in tempo di epidemia: ora sono in esposizione “per recuperare la nostra memoria storica”. Intervista alla Scuola grande di San Marco

Francesco Gottardi

È il momento del green pass. O meglio il gran ritorno: se i Simpson l’hanno già fattoavete presente il tormentone? – figuriamoci i veneziani. “Si chiamavano patenti di sanità, circolavano già nel ‘500 e avevano esattamente lo stesso ruolo del certificato voluto oggi dal governo Draghi per contenere l’epidemia”. Vedere per credere: da qualche giorno e fino a inizio ottobre, gli storici documenti sono in mostra gratuita nel cuore dell’ex Serenissima. “Un’iniziativa nata in silenzio e che ora chiaramente sta riscuotendo una certa curiosità fra il pubblico”, dichiara al Foglio Mario Po’, direttore del Polo culturale e museale della Scuola grande di San Marco. Necessaria precisazione: l’esposizione – “Le pandemie, una lunga storia: dalla peste al Covid-19” – si trova “in una navata del Portego delle colonne, il salone d’ingresso dell’ospedale civile di Venezia. Attraverso una ventina di pannelli offre supporto informativo su ciò che è accaduto in quest’ultimo periodo. E coinvolge anche chi sta semplicemente uscendo dalla struttura”, sia per un prelievo del sangue, una visita medica. O magari proprio per il vaccino anti-Covid.

  

Si consoli chi grida alla dittatura sanitaria: nella città dei dogi – Jenner scoprì il siero contro il vaiolo nel 1796, l’anno dopo in laguna arrivò Napoleone – i no vax non avevano di che preoccuparsi. “Questa è la sola grande differenza tra l’attualità e le pestilenze di un tempo”, interviene Walter Pasini, epidemiologo specializzato in travel medicine e consultore medico-scientifico per la mostra. “È sconcertante che l’umanità si sia fatta trovare così impreparata: decenni privi di catastrofi sanitarie su larga scala hanno fatto venire meno ogni traccia di memoria storica”. Oggi scopriamo – avremmo dovuto sapere? – che l’iter si ripete: “Già nelle fasi più critiche della pandemia si sono intraviste contromisure in uso secoli fa: l’isolamento e le zone rosse sono riconducibili al sequestro domiciliare, citato anche nei Promessi sposi; la quarantena e la cura nei reparti Covid a ciò che avveniva nei lazzaretti, anch’essi di origine veneziana. E adesso ci risiamo con il green pass”. Ma come funzionava una volta? “Parliamo di veri e propri passaporti sanitari, che certificavano le esigenze di protezione delle comunità indenni: se i forestieri non li esibivano, l’autorità sanitaria non li faceva entrare a Venezia”.

 

Da ogni parte: “Esistevano due tipi di documenti”, spiega Pasini. “La fede di sanità, per chi viaggiava via terra. E soprattutto la patente di sanità, che era richiesta a chi proveniva dal mare per attestare che la città o il porto di provenienza fossero liberi dalla peste. Questo era il certificato più elaborato e prezioso”, perché i maggiori pericoli, in termini di potenziale contagio, provenivano dalle navi. “Vi si potevano leggere le generalità del proprietario, il nome dell’imbarcazione o anche segni particolari come il taglio di capelli. Una sorta di primordiale carta d’identità, che faceva fede, appunto: da Venezia questo meccanismo presto si diffuse in moltissime altre città d’Europa e c’era un reciproco vantaggio a rilasciare patenti attendibili. In caso di falso infatti, le ripercussioni potevano essere disastrose per il commercio: nell’eventualità di un’epidemia ma anche per le ritorsioni future”. Guai a chi sgarrava. “Così come oggi osserviamo le restrizioni imposte alle zone del mondo più colpite dal virus, una volta si ricorreva ai bandi di sanità: manifesti che impedivano viaggi da e per determinate città. Una singola trasgressione poteva voler dire anche pena di morte”.

 

Era pur sempre il mondo dell’Ancien régime. Ma sotto le sanzioni sanguinarie, si nascondeva un timore ragionato: “La grande lezione della Serenissima è l’approccio di lungimiranza e severità delle misure adottate: già nel XIV secolo si era perfettamente compreso il concetto di contagio, il nesso tra spostamenti delle persone ed epidemie. Fino ai primitivi casi di igienizzazione: era ancora pratica comune nell’Ottocento ‘disinfettare’ la posta tramite fuoco e aceto”. Il paradosso di oggi è che ai passi da gigante compiuti nel frattempo dalla medicina si contrappone un’irrazionale cultura del sospetto: “l’alternativa al vaccino è il ritorno al Medioevo”, lo dice pure parte della Lega in Veneto.

 

“E per questo”, di nuovo il direttore Po’, “l’importanza delle informazioni storico-sanitarie della società veneziana e la loro condivisione sta suscitando interesse diffuso, fino a Washington. Disponiamo di decine di documenti di sanità, circa 20mila volumi donati alla nostra biblioteca monumentale della medicina negli ultimi 250 anni e l’archivio storico degli atti ospedalieri della città dal 1094 in poi. La Scuola grande di San Marco fu costruita nel 1437 come sede di una confraternita ed è ancora lì”, parte di un complesso che oggi è tra gli ospedali più incredibili del mondo attualmente in uso, con gli ambulatori situati fra chiostri, chiese, opere del Tintoretto e Veronese. “Tra le famiglie che hanno tradizionalmente contribuito alle donazioni della struttura ricordiamo anche i Cappello, da cui discende la moglie del premier Draghi: fa sorridere che oggi la nostra esposizione possa illustrare un precedente storico sul decreto del momento. Ma questa è nata all’interno delle iniziative per i 1600 anni di Venezia, ben prima di ogni discussione sul green pass a Palazzo Chigi: quando si tratta di pandemie e quarantene, ci sono anche le patenti di sanità. Per gli studiosi è scontato”. Per il resto degli italiani si spera che lo sarà presto. E da terra e da mare e da cielo.

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