Foto Roberto Monaldo / LaPresse

Ministro Speranza, c'è speranza?

Il Pnrr non sia un'occasione mancata

Rosaria Iardino

Sulla salute si sarebbe forse potuto fare di più, in modo da mettere in sicurezza il nostro sistema sanitario colpito dalla pandemia

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza? Un’enorme opportunità per il paese in tanti suoi settori quali la giustizia, la pubblica amministrazione. Ma cosa dire della salute o del servizio sanitario nazionale? Nella sanità che cosa si vuole riformare? Abbiamo capito dall’emergenza Covid che il territorio è strategico e va potenziato, abbiamo capito che bisogna avere un piano pandemico aggiornato – questa a dire il vero sembra un po’ la scoperta dell’acqua calda –, abbiamo capito che il sud non sarebbe pronto per un’altra pandemia e per fortuna, mi spiace per le persone che vivono al nord, l’allarme a marzo del 2020 è partito dalla Lombardia che nonostante tutto è un’eccellenza dal punto di vista sanitario. Abbiamo anche visto che la risposta del privato accreditato lombardo è stata data con spirito di servizio, e senza polemica inviterei a fare l’analisi della qualità tra questa realtà con quella laziale così, a titolo di esempio.

 

Abbiamo capito molto e va bene, ma adesso cosa occorre fare, dunque? Non sento porre delle domande da parte delle istituzioni, che dovrebbero essere la guida di questo cambiamento, su quali saranno da qui ai prossimi trent’anni i bisogni di salute dei cittadini italiani, e soprattutto mi chiedo: gli operatori del settore, tutti i dirigenti ospedalieri, i medici, gli infermieri e il terzo settore sono pronti al cambiamento? Sanno quale sarà l’impatto e come dovranno gestirlo? E ancora, il mercato della salute sarà gestito dal pubblico coinvolgendo il privato (e per privato intendo anche i fondi assicurativi)? Ricordo che le persone con patologia cronica o malattia pregressa non hanno accesso a polizze assicurative e quindi viene da chiedersi cosa accadrà loro, e se sostanzialmente andremo verso una comparazione che è nella sua sostanza molto diversa dall’integrazione.

 

Insomma, che cosa decideranno le istituzioni per noi e per i nostri figli? Avremo sempre un servizio sanitario nazionale che non guarda al reddito e cura chiunque – valore a mio avviso non negoziabile –, oppure adotteremo un sistema misto alla francese nel quale le spese sono coperte in parte dallo stato e in parte dai contribuenti con la cosiddetta mutuelle? E chi è disoccupato e ha una patologia cronica e non potrà accedere alla mutua, come verrà curato? Ci saranno delle deroghe per i redditi molto bassi o inesistenti, o ritorneremo a prima del 1978, quando l’accesso alla sanità era legato alla condizione lavorativa?

 

Bisogna fare il modo che il piano nazionale di ripresa e resilienza non sia un’occasione mancata: sulla salute si sarebbe forse potuto fare di più, in modo da mettere in sicurezza il nostro sistema sanitario che nell’essere duramente colpito ha mostrato tutta la sua fragilità. Nella prima fase di lockdown ci siamo sentiti dire che ne saremmo usciti, e che dagli errori avremmo imparato a gestire meglio il futuro. Ci abbiamo creduto, ci siamo aggrappati a questa idea e ora è tempo di verificare se la nostra fiducia sia stata o meno ben riposta. Tutti questi quesiti devo avere la dignità di ricevere una risposta dal ministro Speranza, del quale come sapete ho molta stima ma che ora deve dare delle informazioni chiare non solo perché è un suo dovere istituzionale, ma soprattutto perché è un diritto di ogni cittadino sapere quali scelte politiche sta assumendo, visto che sono scelte che cambieranno la nostra vita. On. ministro Speranza per favore, ci illumini.

 

Rosaria Iardino
Presidente fondazione The Bridge

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