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La Roma di Marras, stilista cinefilo: “Una città trascurata”
"Da ragazzo vedevo la Capitale come una metà. Vederla in questo stato mi rattrista. La Raggi? Donna fragile ma coriacea". Parla il designer di moda, da sempre malato di cinema
Alghero. “Roma? È una bellissima signora, ma trascurata. Ha un amante distratto che non la cura, non la considera e non la supporta: è uno di quelli che non la tratta con le dovute attenzioni che una signora così bella meriterebbe. Vederla in questo stato, mi rattrista”. Nella sua splendida casa con vista su Capo Caccia, circondato da sua moglie Patrizia e dal figlio Efisio, dagli amati cani Tore e Gilla, amici e parenti che arrivano anche solo per un saluto e un caffè, inebriati da profumi, colori e tanta bellezza - lo stilista e designer di fama internazionale Antonio Marras ricorda al Foglio il suo legame con la Capitale. “Da ragazzo, la vedevo come una meta, come un luogo dove uno come me – proveniente dalla provincia più estrema, dai confini dell’Impero - poteva andare e realizzare i propri sogni. Sono sempre stato malato di cinema e quindi, di riflesso, anche di questa città, che è stata per me il posto dove avrei voluto nascere, vivere e lavorare per poter stare a contatto anche con quel mondo legato alla Settima Arte”. E così è stato, almeno per un po’. “Mi piace sempre dire che sono uno prestato agli stracci, perché alla moda ci sono finito quasi per caso”, continua il designer, protagonista di una mostra tra archeologia e moda al Museo Nazionale Archeologico ed Etnografico di Sassari. “La mia prima collezione l’ho fatta a Roma nel 1987 in un palazzone parallelepipedo sulla Tibbburtina” – dice imitando un accento romano – e con Patrizia la chiamammo Piano Piano Dolce Carlotta, in omaggio all’omonimo film di Robert Aldrich e al mio idolo: Bette Davis. Da lì, è stato un susseguirsi di eventi: l’Alta Moda grazie a Dominella che mi fece sfilare per la prima volta con il mio nome e molti altri, persino durante la Guerra del Golfo”. Marras e la moda: prima Roma, quindi, e poi Milano. “Ripensandoci - aggiunge – provo anche un po’ di nostalgia. Roma è per me come Venezia: non devi avere fretta, perché tutto ha un ritmo che non tiene conto del tempo. La collego poi ad alcuni momenti e cose molto belle, dai primi servizi al tg nazionale alla sfilata a Piazza di Spagna”.
Rispetto a Milano? “Ha in più i colori, la sua luce speciale riflessa sui palazzi e il Tevere: uno specchiarsi continuo che incide sull’umore di chi la abita, nonostante le tante difficoltà”. E in proposito, un cultore del gusto e dello stile come lui – ambasciatore della ‘sua’ isola, la sua forza assieme all’estro creativo – non può non notarle. Monnezza in primis. “Uno scempio inspiegabile. Sono un sardo-svizzero e cose del genere, sono un problema come il poter uscire senza sapere quando si arriva”.
Dopo l’indimenticabile mostra alla Triennale, è stato chiamato per farne una a Roma con un evento in Campidoglio, “ma poi tutto è stato annullato senza un vero motivo”, e in questo – precisa – “il Covid non c’entra”. La Raggi? “Noto una certa somiglianza con la cantante Giorgia” (ride, ndr). “La vedo come una donna fragile, ma coriacea: è attaccata da tutti su tutto, ma lei – e questo per me resta un mistero – inizia e finisce sempre con il sorriso. Come fa? Ha una visione del mondo che è solo sua e la porta avanti senza tenere conto di quello che può scatenare. Come dite voi? J’arimbarza! (ride di nuovo, ndr). Fa scelte precise e questo modus vivendi e operandi lo riflette sulla città. Non scorderò mai quando si presentò alla prima dell’Opera vestita con un abito/scultura con filamenti bianchi che sembravano spaghetti: mi ricordò subito Donna Vittoria, nata Michitto, sposata Leone, solo che lei vestiva Capucci”.
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