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Il Grab, ovvero il (non)senso di Roma per le piste ciclabili

Andrea Venanzoni

Cosa non va nell'anello ciclabile della Capitale, che anche nella mobilità a pedali si è "distinta" per la scarsa pianificazione

Sulla destra scorre in piano sequenza la maestà del Circo Massimo, un acquerello da Roma sparita che concilia la contemplazione zen, anche se è a sinistra che si dovrebbe guardare con estrema attenzione. Perché è da sinistra, mentre si percorre via dell’Aventino sgambando su verso i ruderi, che il flusso dei veicoli interseca la pista ciclabile comparsa d’improvviso, tagliandola in due quando si tratta di dover svoltare su Via del Circo Massimo, col rischio di veder falciato qualche ciclista.

In questi ultimi mesi, nella sorpresa generale dei cittadini romani, sono spuntate come funghi dopo un acquazzone le piste ciclabili, piccoli segmenti più o meno improvvisati o grandi estensioni del Grande Raccordo Anulare delle Bici: il Grab, un nome che già a sentirlo vengono i sudori freddi visto quanto i romani amano il Raccordo Anulare.
D’altronde come canta Corrado Guzzanti imitando Venditti “all’autogrill dove faccio er pieno de benzina pe fa ‘n metro sulla Tiburtina”.

 

Il Grab è un anello ciclabile esteso per circa 43 chilometri, fende alcuni dei luoghi di maggior pregio e si è lasciato dietro non banali polemiche con gli ambientalisti, per il suo passaggio nel verde delle ville cittadine.

Ma a parte il feticismo italiano per la pianificazione centralizzata e per decisioni spesso estemporanee e calate dall’alto, a sorprendere è il germinare inarrestabile di piccolissime piste ciclabili di quartiere, spesso propiziate dalla pandemia.

No, non è un refuso, avete letto bene. Perché il sostegno alla mobilità alternativa, e quindi l’incoraggiare l’utilizzo delle biciclette, è stato un imperativo fatto norma, prima in epoca Conte e ora, tra le maglie del Pnrr, si prosegue con lo stanziamento di circa 600 milioni di euro, prevedendo la realizzazione, in tutta Italia, di 570 chilometri di piste ciclabili urbane. L’idea sarebbe quella di decongestionare il servizio pubblico; una idea nobile che forse sarebbe attuabile se Roma godesse di un servizio di trasporto pubblico non disastroso. E fermo restando, lo vedremo, che appare difficile immaginare la bici come perfetto surrogato del veicolo, per pendolari e studenti.

Roma Capitale, durante la consiliatura grillina già assai sensibile alle ragioni dei ciclisti, non ha mancato di dare il suo contributo e già nel maggio del 2020 ha approvato una deliberazione con cui si definiva la necessaria realizzazione, in via emergenziale, di 150 chilometri di nuove piste ciclabili. Pista ciclabile emergenziale è quella pista che viene affrescata direttamente in strada, tracciando la segnaletica, senza lavori di costruzione strutturale. Ne abbiamo viste, per la grande gioia della cittadinanza e soprattutto dei commercianti, fiorire sulla Tuscolana, a Via Gregorio VII, a Colli Portuensi, a Fonte Laurentina, sul Lungomare di Ostia. 

L’emergenzialità ha conciliato, sembra chiaro, una scarsa pianificazione, tanto che sin da subito ci si è resi conto che le piste divenivano un videogioco con ostacoli di ogni grado, interruzioni, cassonetti AMA piazzati nel mezzo tanto per testare il grado di reattività dei ciclisti e complicare la vita lavorativa agli operatori della nettezza urbana durante le fasi di raccolta. 

Il punto è in realtà assai semplice: Roma non è Ferrara, né il lungomare di Ostia equivale al paseo di Cervia. Roma è una città estesa quasi solo per orizzontale, con enormi distanze da coprire, ogni sua arteria è una via di fuga essenziale per un traffico congestionato, ha una qualità delle strade pessima e pericolosa per le due ruote di ogni genere. La mobilità ciclistica può andar bene all’interno di un singolo quartiere, ma appare utopistico pensare a essa come ad una modalità davvero alternativa di spostamento per esempio per le masse di pendolari che dalle periferie ogni giorno si riversano verso il Centro cittadino, dove nonostante promesse di decentramento urbanistico vecchie di decenni ancora oggi svettano tutti i palazzi istituzionali e gli uffici pubblici.

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