foto tratta da Google Maps

Pronto in due settimane l'ospedale riattrezzato per il coronavirus

Alessandro Luna

Il presidio Columbus del Gemelli esclusivamente destinato all’emergenza. Si lavora a 59 posti per terapia intensiva

Roma. E’ una caccia al tesoro quella che in queste ore le istituzioni regionali e capitoline stanno compiendo per individuare una struttura capace di ospitare i tanti reparti di terapia intensiva che l’emergenza coronavirus sembra ormai richiedere. Solo una settimana fa a Roma questa epidemia era considerata un fenomeno lontano e che riguardava quasi esclusivamente il nord Italia, ma ora comincia a concretizzarsi uno scenario in cui presto l’ospedale Spallanzani non basterà più per contenere i malati che, nel frattempo, crescono di giorno in giorno. Secondo l’ultimo bollettino medico i positivi al Covid-19 sono 73, di cui 13 necessitano del supporto respiratorio. Ma anche oggi ci sono stati 13 nuovi contagi e se le misure estreme adottate dal governo non dovessero funzionare si rischierebbe di vedere a Roma una situazione simile a quella di Bergamo, in cui i medici hanno raccontato di aver già cominciato a dover scegliere chi intubare, basandosi su età e probabilità di sopravvivere.

 

Una settimana fa la regione ha annunciato di poter disporre nel Lazio di 543 posti di terapia intensiva, a cui si potrebbero aggiungere i 50 del Gemelli, i 53 all’Umberto I e i 64 del San Camillo. Posti che, però non possono essere tutti destinati a pazienti contagiati dal Covid-19. Per questa ragione si sta cercando di capire quale degli ospedali romani convertire a centro di terapia intensiva per la lotta contro il coronavirus, ma il tempo è poco e la scelta difficile e limitata.

 

Nel frattempo alcuni medici ci raccontano che lo Spallanzani ha iniziato a trasferire tutti i pazienti che non riesce più a ospitare al Policlinico Sant’Andrea, su via di Grottarossa a nord di Roma, dove sono state montate altre tende in regime di isolamento e dove dovrebbero arrivare nuovi macchinari per la terapia intensiva in pochi giorni. Ma intanto si cerca una struttura che faccia fronte a quella che potrebbe essere un’emergenza senza precedenti. Le opzioni di cui si è parlato per ora sono due: l’ex-ospedale Carlo Forlanini nel quartiere Gianicolense e il reparto Columbus dell’ospedale Gemelli su via di Pineta Sacchetti. Costruito durante il fascismo, il Forlanini è una struttura di 170 mila metri quadri che è stata chiusa definitivamente nel 2015 e da allora abbandonata, salvo poi essere affidata quest’estate a una società di eventi culturali e mondani che organizza mostre, dj-set e aperitivi. L’ultimo primario del Forlanini, Massimo Martelli, ha lanciato una petizione chiedendo che si cominci a lavorare per rimettere in sesto la struttura, spiegando che in trenta giorni si potrebbero creare nuovi 50 posti letto per la terapia intensiva e che la vicinanza strategica con lo Spallanzani sarebbe importantissima in questo momento. Ma il costo sarebbe molto elevato, i lavori di manutenzione e rimessa in sesto complicati e soprattutto appare molto difficile pensare che possiamo permetterci di aspettare trenta giorni, che comunque risultano essere una stima molto ottimistica.

 

Il problema del tempo è cruciale ed è lo stesso che grava sull’ipotesi che sia il Columbus, reparto del Gemelli, a risolvere la questione. La Regione Lazio ha disposto che tra quattro settimane vengano resi operativi 80 posti letto e 59 di terapia intensiva. Sergio Alfieri, primario del reparto di Chirurgia digestiva al Gemelli, ci spiega poco dopo essere uscito da una riunione dell’ospedale sulla struttura Columbus, che “per quanto riguarda la chirurgia stiamo assicurando regolarmente tutti gli interventi urgenti e tumorali, mentre gli altri li stiamo rinviando, ma la situazione è sotto controllo. Nel Columbus verrà creato un ospedale destinato esclusivamente al coronavirus con cui far fronte all’emergenza”. E ci dà una buona notizia Nicola Cerbino, ufficio stampa del Gemelli, che annuncia che “i lavori sono più avanti del previsto. Riusciremo ad avere al Columbus 59 letti da terapia intensiva in sole due settimane”.

 

Tra i medici c’è chi mantiene uno stato d’animo positivo e ottimista, per esempio sostenendo che il Lazio non sarà soggetto a un contagio sul modello padano, dal momento che viviamo in una regione senza i livelli di urbanizzazione, industrializzazione e necessità di spostamenti della Lombardia, del Veneto e dell’Emilia. E soprattutto dal momento che le misure d’emergenza adottate del governo sono arrivate a Roma e nel Lazio a uno stadio della diffusione ancora embrionale rispetto al livello di contagio che si era raggiunto in Lombardia quando, sabato scorso, il governo ha esteso la zona rossa a quasi tutto il nord Italia. Ma, in ogni caso, se nei prossimi giorni i contagi dovessero cominciare a crescere, la nostra città potrebbe non essere in grado di gestire il problema. Va infatti considerato che il tempo di incubazione, cioè quello che decorre tra il giorno in cui si viene esposti al virus e quello in cui se ne cominciano a mostrare i sintomi, può arrivare fino a 14 giorni. Considerato che Roma è stata interessata dai provvedimenti del governo solo tre giorni fa, non possiamo sapere quanti positivi asintomatici ci siano in realtà nella capitale e quanti, nei prossimi giorni, potrebbero cominciare a mostrare i sintomi più gravi che talvolta il coronavirus comporta e affollare così gli ospedali.