“Montanari era l'assessore perfetto, il volto surreale della giunta surreale”. Parla Tonelli
Intervista all'ideatore di Roma fa schifo, il blog che dal 2008 documenta i cittadini su disservizi, scandali e degrado della Capitale: “Di fronte al disastro sella raccolta rifiuti la giunta aveva bisogno di un capro espiatorio”
Roma. “Virginia Raggi agisce come ha sempre fatto: scarica le responsabilità dell’emergenza rifiuti a Roma su Pinuccia Montanari e sul management di Ama. Così può dire ai suoi elettori che la giunta non c’entra con questo disastro…”. Massimiliano Tonelli è l’ideatore di Roma fa schifo, blog che dal 2008 documenta i cittadini su disservizi, scandali e degrado della Capitale. Le dimissioni di Pinuccia Montanari da assessore all’Ambiente (dopo quelle di Paola Muraro) non lo sorprendono più di tanto.
Come si spiega l’addio dell’assessore?
“La partita è tutta politica. Di fronte al disastro sella raccolta rifiuti la giunta aveva bisogno di un capro espiatorio così da poter dire ai cittadini: ecco, vedete, è colpa loro, ma ora siamo arrivati noi e abbiamo messo le cose a posto. Così può ripartire la narrazione pentastellata. E magari la parte più sempliciotta del loro elettorato ci crede”.
Virginia Raggi ha puntato i piedi sui conti, non permettendo all’Ama di mettere a bilancio 18 milioni che arriveranno, ma ancora non sono in cassa, per i servizi sui cimiteri.
“Si tratta di una scusa palese. Per un’azienda che fattura quasi 1 miliardo l’anno (con altrettanti debiti) attaccarsi a 18 milioni non ha senso, se non quello di voler far saltare il banco e puntare al concordato preventivo come in Atac. Nel mirino non c’era solo Montanari, ma anche il presidente e ad di Ama Lorenzo Bagnacani, che condivideva la linea dell’ex assessora”.
Entrambi, infatti, furono suggeriti alla Raggi da Beppe Grillo. Come giudica il lavoro di Pinuccia Montanari?
“Per quanto bene può aver lavorato in una realtà piccola come Reggio Emilia, a Roma la sua figura ha assunto tratti caricaturali. Ha attaccato il somaro dove voleva il padrone e si è calata nel ruolo di assessore della giunta Raggi, con idee strampalate come le pecore nei parchi a brucare l’erba, la piscina sul Tevere, le pergolette installate a Largo Argentina. La sua ricetta per migliorare la raccolta rifiuti si basava sul produrre meno rifiuti. Bello a dirsi, difficile a farsi. Si è dimostrata inadeguata, come tutta la giunta”.
Meglio lei o la Muraro?
“Paola Muraro è una persona più preparata e pragmatica, come meno fantasie grillesche per la testa. Ma qualsiasi assessore arrivi adesso non potrà fare molto. Si potranno mettere in campo solo provvedimenti tampone, palliativi, non soluzioni”.
Perché?
“Le scelte strategiche sui rifiuti andavano fatte prima, nei primi 6-8 mesi di governo cittadino. E invece si è deciso di fare marcia indietro sull’impianto di trasformazione di Rocca Cencia, che avrebbe reso più efficiente il sistema evitando l’emergenza degli ultimi mesi”.
Sui rifiuti, però, non c’è un’unica ricetta…
“Vero, ma ci sono dei modelli comuni a tutte le città avanzate: raccolta differenziata porta a porta e impianti di trasformazione che consentono di generare risorse, e denaro, dall’immondizia”.
Il problema rifiuti, però, non è solo colpa di questa amministrazione.
“No, però Ignazio Marino, sui rifiuti e su altro, aveva provato a mettere in cantiere progetti a medio e lungo termine che avrebbero dato i loro frutti. Ma è stato fermato con un’operazione precisa che significa solo una cosa: a Roma ci sono interessi affinché tutto resti com’è”.
Interessi da parte di chi?
“Sui disservizi della Capitale si è generato un sistema di potere e di sopravvivenza personale: burocrati, amministratori, professionisti. A Roma ci sono più avvocati che in tutta la Francia, molti dei quali campano su contenziosi e arbitrati. Se Roma fosse una città normale, efficiente, molti di loro dovrebbero trovarsi un lavoro. L’industria del caos, del degrado e dell’inefficienza amministrativa fa campare bene parecchia gente”.
Uno scenario apocalittico.
“Per questo continuo a sostenere la necessità di avere un commissario con poteri da ministro per dodici anni. Solo così si può invertire il processo. Non è un’idea strampalata: Parigi e Londra sono state amministrate da commissari per anni”.
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