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Qualcosa si muove a Roma nella temperie di gabbiani, buche, clan e testate zingare

Michele Masneri

Non solo monnezza: Apple, Rinascente e Norwegian. La modernità contesa della Capitale

Qualcosa forse si muove a Roma: nella temperie di gabbiani, buche, clan Spada e aristocrazie zingare, testate e Casa Pound, ecco vaghi collegamenti con la modernità: l’apertura della Rinascente – già dal nome, dannunziano e programmatico, e però department store aspirazionale, con capitale thailandese; già entrato nel cuore dei romani, che non hanno i soldi per comprarsi gli abitini di Prada al piano terra (i commessi della Rinascente hanno un’aria un po’ disperata, pochi pare che riescano a rispettare gli obiettivi di vendita richiesti dalla proprietà); ma fanno a botte per salire soprattutto all’ultimo piano sui terrazzi e sui ristoranti giappo-brasiliani di Temakinho (fondamentale startup mangereccia tutta italiana). La Rinascente, che ingloba il Temakinho e l’acquedotto romano restaurato ed esposto nel “basement”, tiene insieme tutto, “quell’antico-moderno che è er segreto de Roma”, come diceva la prostituta Delia ovvero Franca Valeri in “Parigi o cara”, nella città della modernità impossibile, ove le Olimpiadi non si fanno, gli stadi non attecchiscono, le Nuvole finiscono sotto inchiesta, e l’archistar soccombe al Tar e l’architettura all’edilizia (“questa non è architettura, è edilizia!”, diceva il Nanni Moretti delle archistar novecentesche, Ettore Sottsass).

 

Modernità comunque mediterranea, una Tunisi 2.0 come dicono i milanesi recentemente rinfrancati nella loro superiorità morale (“non venivo da un anno: proprio Tunisi”). La prostituta Delia andava a dettare i suoi annunci all’ufficio postale in piazza San Silvestro, proprio dove ora fervono i lavori addirittura per un fondamentale nuovo Apple Store nella piazza già “rustica ma tirata al fino” (sempre Franca Valeri) da Paolo Portoghesi. Anche questa dell’Apple Store, una notiziona nella capitale sempre più riluttante; Roma era del resto l’unica città occidentale finora a non avere in centro un negozio della Mela, ambasciata di modernità. Ma attenzione: Roma da febbraio sarà poi collegata addirittura con Silicon Valley: parte infatti il primo volo diretto con San Francisco, dopo anni di petizioni, firme, proteste, di cervelloni e imprenditori costretti a volare via Francoforte o Londra o Zurigo (capitali moderne); ancora, Roma era l’unica capitale di un paese G8 a non avere un volo diretto con la valle della contemporaneità. Sarà un collegamento low cost, e dalla porta di servizio, perché Roma è appunto riluttante, andrà non proprio a San Francisco ma a Oakland, sobborgo un po’ sfigato, come Orio al Serio per Milano. Negli intenti della compagnia servirà probabilmente per portare qui turisti nerd; il volo, operato dalla Norwegian Air, costerà (trovando i posti) meno di duecento dollari, e sarebbe bello se succedesse invece il contrario: se diventasse tipo un Frecciarossa verso la globalità, coi giovani romani che fregando i milanesi se ne vanno in Silicon Valley. Stufi di aspettare la metro A o B o C si buttassero in California ritornando poi pieni di idee e startup come da un Erasmus siliconvallico, facendo rosicare molto gli omologhi milanesi (il volo dura undici ore, più o meno quanto si attende un taxi a Termini nei giorni di pioggia, vabbè).

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