La premier Giorgia Meloni - Getty Images

L'editoriale del direttore

Giustizia, demografia, tasse. Tre buone idee di destra tradite da Meloni

Claudio Cerasa

Ci sono incoerenze nell’azione di governo della presidente del Consiglio che sono positive. Altre che invece rischiano di non permettere al nostro paese di cogliere tutte le opportunità di cui potrebbe beneficiare con una destra europeista, visionaria e coraggiosa

L’unica cosa alla quale ci appassioneremo sempre sono i princìpi nei quali crediamo e la realtà che vogliamo costruire”. E ancora: “Quella forza, quella solidità, quella credibilità che ci vengono riconosciute hanno un senso e un valore se sappiamo utilizzarle per farci ascoltare, per contribuire a cambiare le cose. Non ci accontentiamo di giocare in difesa dell’Italia, noi vogliamo che l’Italia sia centrale per cambiare quello che non funziona in Europa. Perché sì, questa Italia che cambia, oggi, può cambiare anche l’Europa”.

Ci sono due passaggi interessanti del discorso pronunciato domenica scorsa a Pescara dalla premier che meritano di essere isolati, studiati, capiti e commentati. Meloni, nel discorso di due giorni fa per candidarsi alle europee, ha tenuto a ripercorrere alcune tappe dell’anno e mezzo passato al governo. In questi mesi, un elemento centrale dell’azione di governo di Meloni ha coinciso con la capacità di maneggiare una parola non a caso praticamente assente nel discorso della premier: la coerenza. O meglio: l’incoerenza. Quella parola oggi permette di poter ragionare nel bene e nel male su ciò che è stato il governo Meloni in questi mesi. Quando si parla di Giorgia Meloni, della sua esperienza al governo, lo sapete, ci sono due tipi di incoerenze che meritano di essere messe a fuoco. Una prima categoria di incoerenze rientra all’interno della sfera della provvidenza, una seconda categoria di incoerenze rientra all’interno della sfera della delusione.

Tra le incoerenze che in questi mesi ci hanno permesso di tirare molti sospiri di sollievo ci sono le scelte messe in campo da Meloni su una molteplicità di dossier. E’ stata incoerente sull’immigrazione (aveva promesso più blocchi navali e meno Europa, ha scelto di puntare più sull’Europa e meno sui blocchi navali). E’ stata incoerente sulla politica estera (aveva promesso di declinare il modello Trump, si è accomodata magnificamente sul modello Biden). E’ stata incoerente sulle pensioni (aveva promesso di assecondare la stagione del più pensioni per tutti, è stata costretta a mettere una toppa agli sperperi di Salvini via Quota 100). E’ stata incoerente sul Superbonus (dall’opposizione, lo aveva sempre elogiato, nella scorsa legislatura, al governo è arrivata a combatterlo). E’ stata incoerente nei rapporti con molti vecchi amici (come Orbán, da cui politicamente si è allontanata) e nei rapporti con molti vecchi nemici (come Macron, a cui strategicamente si è avvicinata).

E’ stata incoerente sulle accise (in campagna elettorale aveva promesso che avrebbe fatto di tutto per tagliarle, al governo ha capito che con i pochi soldi a disposizione era preferibile dedicarsi ad altro). E’ stata incoerente anche sulle riforme istituzionali (aveva promesso il presidenzialismo, si è accontentata del premierato). Ci sono incoerenze, come queste, che meritano di essere elogiate, da parte di chi, come noi, ha sempre sperato che, una volta arrivata al governo, Meloni si rendesse conto che l’unico modo per amministrare l’Italia fosse quello di fare l’opposto di ciò che aveva promesso. Ci sono però incoerenze diverse che coincidono con alcune delusioni cocenti di cui si è resa protagonista Meloni nel suo primo anno e mezzo al governo. Ci sono incoerenze sane, come quelle elencate, e ci sono incoerenze malsane.

Le incoerenze malsane, quelle cioè che non si augurava di vedere chi come noi si è augurato di vedere molte incoerenze nella stagione meloniana, a voler essere generosi sono tre. Un’incoerenza riguarda la giustizia, un’incoerenza riguarda le tasse, un’incoerenza riguarda la demografia. Sono le tre grandi delusioni della stagione meloniana, i tre terreni su cui Meloni sarebbe potuta essere coerente e non pericolosa, i tre terreni su cui la presidente del Consiglio avrebbe potuto mettere in campo bandiere di destra compatibili con la realtà e utili per il paese. Sulla giustizia, sperando che il ministro Nordio ci faccia ricredere, finora è stato un disastro. Le uniche norme efficaci approvate dal Parlamento sono quelle promosse dall’opposizione (vedi alla voce Enrico Costa), le riforme approvate in Consiglio dei ministri un anno fa (abuso d’ufficio) non sono state ancora calendarizzate alla Camera, le riforme epocali sono state solo enunciate, il governo ha creato un nuovo reato ogni mese e l’impressione è che l’esecutivo guidato da Meloni faccia fatica a emanciparsi dal suo tratto manettaro. Peccato. Sulla demografia, stessa storia. Il governo, attraverso il ministro Giorgetti, aveva fatto sapere di voler portare avanti un’aggressiva e incisiva politica finalizzata a incentivare la natalità, con una scelta strong come quella suggerita mesi fa dal ministro dell’Economia: niente tasse, più o meno, a chi fa due figli. Nulla di fatto. Aiuti alla maternità? Nulla di fatto. L’assegno universale? Carta straccia: la Banca d’Italia stima il costo mensile per allevare un figlio attorno ai 650 euro, come ha ricordato recentemente il professor Rosina, il valore dell’assegno unico progettato dal governo si trova attorno ai cinquanta euro. E anche sull’altro fronte della lotta contro la denatalità poco si è fatto: il fabbisogno richiesto dalle imprese italiane per soddisfare le esigenze della manodopera è pari a 833 mila unità, il governo ha previsto solo 452 mila ingressi nel triennio 2023-2025. Sulle tasse, stessa storia. Meloni ha promesso di abbassarle, la destra ha promesso di abbassare la pressione fiscale, gli azionisti del governo hanno ripetutamente, negli ultimi anni, promesso che avrebbero fatto tutto il necessario per frustare il cavallo dell’economia alleggerendo la pressione fiscale ma finora le cose non sono andate così. Il massimo che Meloni è riuscita a fare è stato confermare il taglio del cuneo fiscale annuale voluto dal governo Draghi e alla fine dei conti il problema è sempre lo stesso: se non hai il coraggio di tagliare la spesa pubblica, il massimo che potrai fare con le tasse è alzare una tassa di qua e rialzarla di là, cosa che il governo fa come tutti i governi precedenti. Molta amministrazione, poca visione.

L’incoerenza di Meloni, in alcuni casi, ha salvato l’Italia e ha permesso al treno del nostro paese di non deragliare. In altri casi, ha avuto l’effetto opposto e rischia di produrre un risultato non meno pericoloso delle promesse pazze di Meloni & Co.: non far deragliare il treno italiano ma non permettere al nostro paese di cogliere tutte le opportunità di cui potrebbe beneficiare un paese guidato da una destra europeista, visionaria e coraggiosa, che si candida ora a contare in Europa senza avere il coraggio di scommettere sulle battaglie giuste che la destra aveva messo in agenda e che in un anno e mezzo di governo ha scelto di calpestare, sulla strada non della Realpolitik ma della politica votata a gestire l’esistente e lo status quo senza sfidare fino i fondo i tabù che tengono da troppo anni il nostro paese ostaggio della mediocrità. C’è un’incoerenza buona, in Meloni, che è quella che ha permesso alla destra di governo di smentire le sue promesse più pericolose. E c’è poi un’incoerenza negativa che riguarda tutte le promesse giuste che il governo aveva fatto in campagna elettorale e che in questi mesi non ha avuto il coraggio di trasformare in realtà. L’unica cosa alla quale ci appassioneremo sempre, ha detto Meloni, sono i princìpi nei quali crediamo e la realtà che vogliamo costruire. Finora non è andata così. In alcuni casi è una fortuna. In altri una grande occasione persa per rendere l’Italia più competitiva, più ambiziosa e semplicemente più coraggiosa.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.