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Rapporti alla mano /8

La macchina delle leggi: come il governo ha invaso la pubblica amministrazione

Sabino Cassese

Fatti i decreti, occorre adottare i provvedimenti attuativi. Il circolo vizioso che rallenta il paese e la furbizia del Parlamento: come sbrogliare la matassa

Al 13 febbraio 2024 erano ben 583 i provvedimenti di attuazione di leggi di iniziativa governativa da adottare: 41 per attuare leggi dei governi Letta, Renzi, Gentiloni, della diciassettesima legislatura; 216 che risalivano alla diciottesima legislatura e quindi ai governi Conte I, Conte II e Draghi; 326 della diciannovesima legislatura, quella che si è aperta con il governo Meloni (30 provvedimenti di attuazione di leggi della diciottesima legislatura e 10 di quelli dell’ultima erano previsti da norme introdotte dal Parlamento su atti di iniziativa governativa). 227 provvedimenti da adottare sono riferibili, quindi, ai sei governi della diciassettesima e diciottesima legislatura, oltre ai 40 derivanti da leggi di iniziativa parlamentare.

Se ci si sofferma soltanto su un anno e meno di 5 mesi del governo Meloni, dall’ottobre 2022 a metà febbraio del 2024, i provvedimenti di attuazione previsti da disposizioni legislative approvate su iniziativa del governo sono 536, di cui 220 adottati e 316 ancora da adottare.

  
Questi dati emergono da un rapporto del Servizio per il controllo parlamentare della Camera dei deputati, intitolato “I provvedimenti attuativi delle leggi. Monitoraggio e controllo”, n. 4, febbraio 2024, che conferma quelli di una relazione del Dipartimento per il programma di governo della Presidenza del Consiglio dei ministri, quest’ultima peraltro riferita a dati aggiornati alla fine del 2023.

    

   

Il circolo vizioso delle leggi

I dati appena riferiti mettono in luce un circolo vizioso sempre più preoccupante, che mina lo stato di salute delle nostre istituzioni. Si parte dal fenomeno più vistoso, la circostanza che l’attività legislativa è sempre più opera del governo, che adotta decreti legge al ritmo di circa uno a settimana. Di conseguenza, il Parlamento è impegnato sostanzialmente a convertire decreti legge. Quindi, l’iniziativa legislativa è presa dal governo e al Parlamento arrivano atti che sono già entrati in vigore. Questi atti si ampliano notevolmente lungo il percorso parlamentare, perché i membri delle Camere trovano utile aggiungervi altre norme che hanno non solo buona probabilità di essere approvate, perché legate a decreti legge che hanno già cominciato a produrre i loro effetti, ma anche tempi brevi, perché la conversione in legge deve essere fatta entro 60 giorni. In secondo luogo, al governo non basta assorbire l’attività legislativa, appropriandosi di una funzione che spetta al Parlamento. Il governo vuole anche essere sicuro che le decisioni diventino realtà; per questo deve invadere anche l’ambito della pubblica amministrazione. Dietro a questa seconda spinta c’è la sfiducia nella burocrazia e la tendenza a rendere le norme auto-applicative. I governi hanno l’ambizione di esaurire nell’ambito governativo le decisioni per fare a meno della pubblica amministrazione, oltre che del Parlamento. Dunque, i decreti legge regolano minuziosamente le molte materie trattate.
 
Tuttavia – e qui viene la terza anomalia – non tutto può essere fatto in una volta, cioè il decreto legge non può assorbire tutta l’attività legislativa e amministrativa, e quindi deve prevedere atti attuativi, che sono normalmente decreti ministeriali, decreti del presidente del Consiglio dei ministri e decreti del presidente della Repubblica. Si tratta in larghissima misura di un compito che il governo, tramite il decreto legge, conferisce a sé stesso, o a  singoli ministri, di definire questioni che sarebbe stato impossibile decidere “one shot” nel decreto legge. Si tratta di impegni presi dal governo stesso, che deve attuarli.
Da qui deriva il fenomeno da cui si è partiti, cioè quello della grande quantità di decreti attuativi previsti, con l’indicazione di un termine o senza indicazione di un termine, dal governo, che si è così auto-impegnato a emanarli.

 

 
L’ultimo passaggio è quello segnalato all’inizio: limitandoci al solo governo Meloni, in meno di un anno e mezzo, 536 decreti di attuazione, dei quali soltanto 220 adottati e 316 che aspettano ancora di essere adottati. Si tratta di provvedimenti che lo stesso governo, collegialmente o tramite singoli ministri, deve adottare. Ma il governo stesso, dopo aver accelerato, ricorrendo al decreto legge (un atto che deve essere sempre motivato dall’urgenza) e aver così sottratto poteri al Parlamento e alla pubblica amministrazione, “si riposa”, la prende calma nell’adottare i decreti di attuazione. Se si esamina la distribuzione dei compiti di attuazione per ministeri, si nota che le maggiori responsabilità ricadono sul ministero dell’Economia e delle Finanze, come è naturale, considerato che una parte dei decreti attuativi origina nella legge di Bilancio, un atto che proviene necessariamente, secondo la Costituzione, dal governo.

    

Le storture prodotte dal circolo vizioso

Questo circolo vizioso produce numerose storture. Gli atti normativi primari, i decreti legge e poi le leggi che li convertono in legge, sono sempre più simili a provvedimenti amministrativi, perché entrano in troppi dettagli. In secondo luogo, dopo essersi affrettati, si rallenta. Basti notare che per quasi la metà dei decreti legge che prevedono un termine di adozione, il termine è scaduto. In terzo luogo, c’è il paradosso di governi successivi che ereditano un pesante patrimonio di promesse fatte da governi precedenti, spesso di orientamento diverso, e che dovrebbero attuare, quindi, politiche a cui si sono opposti o che non condividono. Il quarto paradosso è che il Parlamento non solo assiste impotente a questa invasione, ma la volge a suo vantaggio perché inserisce molte norme nelle leggi di conversione dei decreti legge, spesso raddoppiandone le dimensioni, per garantirsi la sollecita approvazione.

 

 
In quinto luogo, tutto questo spinge verso la formula delle leggi “omnibus” o calderone: i decreti legge, nascono già, violando decisioni della Corte costituzionale, con disposizioni che riguardano i più diversi settori; ma poi si arricchiscono e diventano ancora più “variopinti” nel corso dell’iter parlamentare. Infine, tutto questo è condito da sprezzanti addossamenti di colpe, sia in sede governativa che in sede parlamentare, alla pubblica amministrazione, alla quale vengono attribuiti tutti i mali della lentezza, anche quelli che hanno la loro origine nell’affrettarsi e nel frenare dei governi stessi. Nei documenti governativi e parlamentari, quelli ai quali si è già fatto riferimento, questa diagnosi è chiara, perché lì si si scrive che occorre limitare il ricorso ad atti di natura secondaria rendendo quanto più possibili autoapplicative le norme deliberate, un proposito che comporta un invito al governo a scrivere decreti legge che non abbiano bisogno di ulteriori interventi governativi, né di decisioni amministrative, lasciando alla burocrazia il solo compito di eseguire.