L'intervista

Pera: "Meloni non attira i moderati: colpa della sua classe dirigente"

Simone Canettieri

Il senatore di Fdi: "I sondaggi fanno riflettere. Il partito non corre come Giorgia. La Fiamma? Per ma va tolta dal simbolo già alle europee"

Subiaco, dal nostro inviato. “Sono colpito”. Da cosa senatore Pera? “Dal fatto che i sondaggi non premino il lavoro di Giorgia Meloni. E’ percepita meglio all’estero che in Italia: è strano”. E’ colpa della classe dirigente di Fratelli d’Italia? “Credo proprio di sì, purtroppo il partito non corre come corre lei. Ci sono stati problemi di selezione evidenti: e queste scelte si pagano”. Marcello Pera, ex presidente del Senato e dal 2022 a Palazzo Madama per Fratelli d’Italia, è seduto in prima fila nel Teatro Narzio, sala Gina Lollobrigida. Sul palco i partiti di Ecr si mostrano ai fotografi dopo aver varato la carta dei valori dei Conservatori. A Pera è toccata una dotta introduzione sul conservatorismo e l’Europa tra sant’Agostino, Benedetto XVI e san Benedetto.

Pera, 81 anni, politico e filosofo popperiano ha licenza di commento. E si ferma a parlare con il Foglio, prima di andare a pranzo con tutti gli altri nel refettorio del conventino benedettino. Poi lo aspetta un lungo viaggio verso la sua Lucca. Ecco perché se non fosse uno degli ospiti più autorevoli di questa iniziativa “ripartirei subito per casa: sa, ho una certa età”. Nicola Procaccini, proconsole meloniano a Strasburgo nonché copresidente di Ecr, lo coccola e lo ringrazia per l’intervento “alto” che ha aperto i lavori. Lui, Pera, si schernisce: “Grazie, sono cose che penso da una vita”. 

Ora che le luci si sono accese in sala, il senatore semplice e saggio di Fratelli d’Italia può ragionare in libertà sul partito che decise di candidarlo per allargare il recinto delle idee. Caso più unico che raro, viste le truppe che siedono sugli scranni di Palazzo Madama, ma anche di Montecitorio.

Insomma, Pera perché diceva che i sondaggi delle europee la impressionano in negativo? “Perché dimostrano, secondo me, che Meloni non riesce a sfondare al centro. Non è in grado di essere attrattiva per i moderati, come dimostrano di converso, le proiezioni di Forza Italia”. 

La premier dovrebbe togliersi l’elmetto ed essere più concava e convessa, magari con toni più concilianti? “Forse sì. In Europa, fuori da qui, è percepita davvero molto bene, e non sta sbagliando una mossa: dalla guerra alle alleanze, passando per l’economia. E’ una voce riconosciuta e molto autorevole”.

In Italia? “In Italia, invece, tutto si fa più complicato per Giorgia, mio malgrado”. Le europee possono però essere un’occasione se le liste di Fratelli d’Italia saranno più inclusive? “Credo proprio di sì. La classe dirigente di Meloni, alcuni dei suoi colonnelli o semplici soldati, a volte sembrano frenarla”. Viene in mente, ultimo caso uscito fuori dal bestiario parlamentare, il suo collega Roberto Menia che ha definito l’altro giorno il presidente francese Emmanuel Macron “femmineo”. “Per questo le dico. Il partito non corre alla stessa velocità della leader. E comunque va ancora compiuto un lungo percorso se si vuole avere l’ambizione di essere il partito della nazione”. Anche se per qualcuno è estetica politica spera che a giugno Meloni tolga la fiamma dal simbolo di FdI? Sarebbe una cesura netta con il passato e anche la fine di un argomento per la sinistra, per esempio. “Personalmente, me lo auguro. Per me sarebbe una scelta giusta. Tuttavia non credo che ciò accadrà. Semmai la scomparsa della fiamma dal simbolo segnerà la fine di un percorso”. Pera sembra essere un ideologo poco ascoltato nella Fiamma magica. E questa di oggi è in qualche modo la sua vetrina: si parla di idee e di approdi. In mattinata lo hanno ascoltato, grazie ai traduttori simultanei, i rappresentanti di Ecr arrivati fin qui da tutta Europa. Ognuno col suo viaggio, ognuno diverso: l’eurodeputato polacco di Pis, Zdzisław Krasnodebski “scettico” sull’ingresso di Orbán, il vicepresidente Vox, Jorge Buxadé, che non vuole nemmeno sentire parlare di Ursula von der Leyen, il francese di Reconquête, Nicolas Bay, che dice no all’arrivo di Marine Le Pen. “La politica fa miracoli”, dice Pera, prima di andare a pranzo. 

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  • Simone Canettieri
  • Viterbese, 1982. Al Foglio da settembre 2020 come caposervizio. Otto anni al Messaggero (in cronaca e al politico). Prima ancora in Emilia Romagna come corrispondente (fra nascita del M5s e terremoto), a Firenze come redattore del Nuovo Corriere (alle prese tutte le mattine con cronaca nera e giudiziaria). Ha iniziato a Viterbo a 19 anni con il pattinaggio e il calcio minore, poi a 26 anni ha strappato la prima assunzione. Ha scritto per Oggi, Linkiesta, inserti di viaggi e gastronomia. Ha collaborato con RadioRai, ma anche con emittenti televisive e radiofoniche locali che non  pagavano mai. Premio Agnes 2020 per la carta stampata in Italia. Ha vinto anche il premio Guidarello 2023 per il giornalismo d'autore.