I conti del Fazzo

Meloni sbaglia, il nuovo Patto di stabilità non darà all'Italia 35 miliardi in più all'anno

Luciano Capone

La premier, seguendo la suicida linea Fazzolari, dice che le nuove regole le consentiranno di spendere 35 miliardi. Non è solo una bugia, ma un grave errore politico: i suoi elettori si aspetteranno misure da pagare con soldi che non ci sono

Il sottosegretario Giovanbattista Fazzolari, braccio molto destro della premier, ha convinto Giorgia Meloni del fatto che con le nuove regole fiscali europee l’Italia avrà a disposizione 35 miliardi di euro in più all’anno. Una Finanziaria e mezza. E la presidente del Consiglio se ne è a sua volta talmente convinta che continua a ripeterlo da mesi, l’ultima volta martedì nel dibattito in Senato.

“Con i vecchi parametri del Patto di stabilità noi non avevamo, come Italia e con il nostro debito, la possibilità di fare il 3% di deficit. A noi era consentito un avanzo dello 0,25%, al tempo. Quindi con i nuovi parametri a regime, con la possibilità anche per noi di fare l’1,5% di deficit, abbiamo una maggiore flessibilità dell’1,75% rispetto ai vecchi parametri. Significa maggiore flessibilità per 35 miliardi”. Un affare, insomma.

Non si capisce, a questo punto, perché fino all’ultimo giorno il governo italiano fosse scettico sull’accordo e il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, andava dicendo in giro che avrebbe preferito non rispettare il vecchio Patto piuttosto che uno nuovo che portasse la sua firma. Qualcosa non torna.

 

Bisogna allora scendere un po’ nel dettaglio del coacervo dei parametri e delle regole fiscali europee per capire dov’è il trucco. O meglio, dov’è l’intoppo contro cui sbatte il ragionamento fazzolariano di Meloni. Innanzitutto, cos’è questo 0,25% di avanzo “consentito”? Le vecchie regole europee prevedevano un parametro chiamato Obiettivo di medio termine (Omt), che è appunto un obiettivo di bilancio strutturale, un margine di sicurezza definito paese per paese in base a vari parametri tra cui il debito. Per l’Italia, secondo le ultime indicazioni, l’Omt era appunto un avanzo di bilancio dello 0,25% del pil. È questo, appunto, il parametro indicato dalla Meloni.

Mentre il limite dell’1,5% di deficit è il parametro inserito nel nuovo Patto di stabilità, secondo cui appunto non è più sufficiente che il disavanzo resti sotto il 3% del pil (come previsto dalle regole di Maastricht), ma è necessario mantenere un ulteriore cuscinetto di sicurezza con un deficit massimo all’1,5%. È dalla differenza tra +0,25% (vecchio parametro) e -1,5% (nuovo), che Meloni ricava la flessibilità dell’1,75% del pil: 35 miliardi.

Il discorso, però, è fallace. Perché le vecchie regole non imponevano di raggiungere immediatamente l’Omt allo 0,25%: d’altronde l’Italia, nella sua storia repubblicana, non ha mai raggiunto una volta il pareggio di bilancio. L’Obiettivo a medio termine, come appunto suggerisce il nome, è un traguardo a cui tendere e che avrebbe dovuto guidare l’aggiustamento fiscale anno per anno per raggiungerlo.

Secondo le nuove regole, l’Italia dovrà comunque fare un percorso di aggiustamento fiscale: con un deficit al 7,2%, entrerà in una procedura di deficit eccessivo e dovrà quindi riportare rapidamente il disavanzo sotto il 3%, con una correzione di almeno 0,5 punti l’anno. E questo prima di poter usare il meccanismo, introdotto dal nuovo Patto, che prevede un piano di rientro dal deficit concordato con la Commissione Ue (dello 0,4% annuo in caso di un piano quadriennale, o dello 0,25% in caso di piano settennale), ma sempre rispettando il rientro basato sulla regola della spesa netta che potrebbe essere più stringente.

 

Questo vuol dire che, in ogni caso, l’Italia dovrà aggiustare i conti. E il percorso non è poi così tanto diverso. È spiegato proprio nel Def 2023, che reca la firma di Meloni e Giorgetti. Nel documento vengono ipotizzati due scenari di aggiustamento fiscale, il primo sulla base delle vecchie regole e il secondo sulla base della proposta di riforma della Commissione Ue (meno rigida dell’accordo finale). Ebbene, secondo il vecchio Patto era previsto un aggiustamento dello 0,6 % del pil ogni anno fino al 2032. Le nuove regole, invece, prevedono un aggiustamento dello 0,7% per i primi due anni e poi dello 0,45% fino al 2031. Alla fine del percorso, le vecchie regole risultano più dure perché prevedono un saldo strutturale più elevato. D’altronde, sul fatto che il nuovo Patto di stabilità sia più flessibile non ci sono dubbi.

Il problema è che si tratta di qualche decimale l’anno: tre miliardi e non trenta. In ogni caso, questo margine di tolleranza si manifesterà dopo che l’Italia sarà tornata sotto il 3% di deficit (ora siamo al 7,2%, oltre il doppio): per i prossimi anni il percorso di rientro è pressoché identico. D’altronde la Nadef del governo Meloni prevede un aggiustamento strutturale di 0,5-0,7 punti percentuali nel prossimo biennio.

 

Ma al di là delle imprecisioni tecniche, che nel coacervo di regole europee non appassionano neppure gli specialisti, la narrazione di Fazzolari e di Meloni è un grave errore politico. Perché se invece di spiegare che per i prossimi cinque anni i conti pubblici saranno appesantiti dalle centinaia di miliardi di bonus edilizi che vanno in pagamento, Meloni dice che con le nuove regole si potranno spendere addirittura 35 miliardi in più rispetto a prima, allora gli elettori si aspetteranno se non la ristrutturazione gratuita di casa quantomeno un taglio delle tasse o la realizzazione delle tante promesse elettorali del centrodestra.

Ma questo, appunto, non sarà possibile. Giorgetti avrà difficoltà anche a rinnovare i 15 miliardi di taglio del cuneo fiscale approvato quest’anno. Far credere agli elettori che ci saranno decine di miliardi da spendere non è solo una bugia, è soprattutto un errore politico. Seguire la linea Fazzolari porterà la Meloni a sbattere.

 

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali