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L'editoriale del direttore

Come fa un paese indebitato come l'Italia a non terrorizzare i mercati?

Claudio Cerasa

Il pericolo dell’èra Meloni non è lo sfascismo ma il rischio di non cogliere grandi opportunità. Dialoghi attorno a un formidabile mistero italiano

Gli osservatori meno birichini e più attenti alle dinamiche economiche non possono più fare a meno di notare un fenomeno interessante che riguarda il nostro paese. Un fenomeno che, a dire il vero, coincide con un mistero italiano che brutalmente potremmo provare a sintetizzare così: ma come è possibile che uno dei paesi più indebitati del mondo, ovvero l’Italia, sia oggi uno dei paesi europei a cui gli investitori internazionali guardano con maggiore fiducia proiettando la propria attenzione verso il futuro?

Il tema, come avrete visto, ha appassionato alcuni importanti giornali internazionali e alla fine della scorsa settimana è stato il Financial Times a notare che alcune performance italiane sono tra le più virtuose d’Europa. Lo spread obbligazionario italiano, ha scritto Ft, è sceso al minimo, l’economia ha superato quella tedesca come crescita e in quanto al pil l’Italia non è più da tempo il fanalino di coda del G7, con una crescita che è stabilmente superiore a quella del Giappone, della Germania e del Regno Unito. La domanda dunque sorge spontanea e la risposta a questa domanda potrebbe essere tanto eretica quanto irresponsabile: siamo entrati in una fase della nostra storia in cui le traiettorie del debito non sono più quelle decisive per misurare la credibilità e l’affidabilità di un paese? Fabio Panetta, governatore di Bankitalia, qualche settimana fa, a Genova, al congresso Forex, ha offerto qualche spunto utile per ragionare sul tema.

Panetta ha riconosciuto che “pur in un quadro di debolezza, segnali di vivacità provengono da parti del mondo produttivo”. E ha messo insieme qualche numero. Lo scorso settembre, ha notato, la revisione dei conti annuali ha innalzato la crescita del prodotto nel 2021 di oltre un punto percentuale, “restituendoci l’immagine di un’economia che si è ripresa con rapidità e tenacia dalla recessione pandemica”. Il pil è oggi 3,6 punti percentuali superiore a quello della fine del 2019, contro 1,8 punti in Francia e 0,1 in Germania. Il mercato del lavoro ha recuperato i livelli pre crisi. Nel 2023 il numero degli occupati è aumentato dell’1,9 per cento, raggiungendo il livello più elevato da molti anni, così come il tasso di partecipazione. Si sono diffuse forme contrattuali stabili. I consumi nei primi tre trimestri del 2023 sono cresciuti dell’1,4 per cento, e secondo le nostre stime sosterrebbero la domanda anche quest’anno. Negli anni recenti il nostro paese ha conseguito ampi avanzi commerciali e un miglioramento della posizione creditoria netta sull’estero. Ciò testimonia la competitività di molte imprese italiane nel mercato globale, ma denota al tempo stesso un potenziale di crescita inespresso. Il mistero però resta: perché il debito italiano fa così poca paura? Abbiamo parlato, anonimamente, con alcuni pezzi da novanta dell’establishment italiano, con i quali ci siamo confrontati sul tema. Un influente ex presidente del Consiglio italiano sostiene che il debito italiano sia sempre un grosso problema per l’Italia ma aggiunge che oggi vi sono due grosse novità. Un tempo quando si parlava di debito, in giro per il mondo, si parlava soprattutto di Italia. 


Oggi il tema del debito non è più un tema solo italiano ma è un tema internazionale: prima della pandemia la domanda di debito era di circa 40 trilioni di dollari, nel 2023 è stata di 54 trilioni, nel 2024 sarà di circa 58 trilioni. Ma al netto di un problema diffuso, l’ex premier offre un altro spunto di riflessione. Un tempo, a un paese indebitato non bastava crescere per potersi dire al sicuro dalle conseguenze del debito. Oggi un paese indebitato che cresce è un paese che riesce a presentarsi di fronte agli investitori come un paese credibile. Un altro importante ex presidente del Consiglio interpellato dal Foglio dice che vi è effettivamente uno spread in calo molto simile ai livelli che erano stati raggiunti dai governi Letta, Renzi e Gentiloni ma dice anche che sarebbe un grave abbaglio pensare che il debito non sia più un problema (lo scorso anno l’Italia ha pagato 78-80 miliardi di interessi sul debito, nel 2026 è previsto che verranno superati i 100 miliardi) e dice anche che sarebbe pericoloso non avere bene in testa che il nostro debito oggi è in termini relativi il più alto d’Europa, anche più della Grecia, e che quindi, con un costo del debito alto, il rischio per l’Italia resterà basso solo quando i mercati finanziari resteranno stabili, solo quando le scelte del governo continueranno a essere prudenti in economia e mainstream sulla politica estera e solo fino a quando l’Italia riuscirà ad avere una crescita sostenuta.

Un ex ministro dell’Economia dice che la presenza di un governo stabile e una crescita maggiore della media dell’Eurozona aiuta ad avere uno spread più basso ma che un deficit come quello registrato nel 2023 dall’Italia, 7,5 per cento, non è semplicemente sostenibile e il tema dell’Italia oggi dovrebbe essere non come fregarsene del debito ma come utilizzare questa fase favorevole per mettere in cantiere velocemente le riforme necessarie per crescere di più e avere così in futuro la leva del pil a disposizione per ripararsi dalle cattive conseguenze dell’essere un paese con il debito alto. Uno dei più importanti player internazionali d’Italia, a capo di un grande fondo di investimento non europeo, dice che la restrizione delle preoccupazioni sul debito non è un tema solo italiano, è qualcosa che capita in molti paesi europei, come la Spagna, ed è qualcosa che è legato a una congiuntura favorevole: inflazione che migliora e tassi di interesse che andranno al ribasso. L’Italia, di suo, ha la stabilità politica e la presenza di un governo che, anche agli occhi degli investitori, ha fatto meno peggio del previsto e tutto questo crea interesse, fiducia e credibilità. Essere indebitati, di per sé, non è più un dramma a condizione che vi sia la capacità di un paese indebitato di crescere più del previsto, di essere più stabile del previsto, di essere più credibile del previsto, di essere in grado di creare più affidabilità rispetto alle aspettative, considerando il fatto che con una demografia drammatica come quella italiana e con un effetto crescita legato al Pnrr il rischio di tornare alla casella di partenza è qualcosa di più che un semplice timore astratto.

Il caso dell’Italia – un paese sotto accusa per aver speso 160 miliardi di euro in bonus edilizi il contributo alla crescita  secondo l’Ufficio parlamentare di bilancio è stato molto contenuto rispetto alle risorse investite e che nonostante questo cresce, non spaventa i mercati e non terrorizza gli investitori – contiene al suo interno molti di questi elementi di riflessione ai quali vanno aggiunti due spunti ulteriori che ci vengono suggeriti da una delle autorità economiche più importanti del paese. Gli spunti sono questi. Primo: la domanda internazionale di consumi, in giro per il mondo, si sta sviluppando nei settori dove l’Italia è più forte, per esempio il turismo, e la crescita sorprendente dell’Italia può dipendere anche da questo. Secondo: la trasformazione del Pnrr, il passaggio da progetti piccoli e frammentati a progetti grandi e più strutturati, potrebbe aver messo in moto l’economia più di quanto il governo stesso si stia rendendo conto e per quanto vi siano certamente sprechi e inefficienze sul Pnrr la mole di denaro che verrà rovesciata sull’Italia sta producendo e produrrà degli effetti sulla crescita destinati a durare nel tempo.

Dice in conclusione un altro ex ministro dell’Economia che abbiamo contattato per affrontare il mistero italiano: i mercati vedono un governo che si comporta in modo prudente e non vedono tutta questa propensione a spendere. C’è forse troppa timidezza a bloccare leggi di spesa passate ma oggi come non mai il problema del debito è prima di tutto quasi o solo un problema di fiducia. Il debito è un problema, ma lo è meno di un tempo. L’economia cresce, e lo fa più del previsto. L’Europa ci assiste e lo farà ancora. Resta solo da capire quale delle due strade sceglierà il governo: usare il periodo di vacche grasse per investire sulla politica delle marchette, e del mantenimento dello status quo, o usare il periodo favorevole per investire sul futuro dell’Italia, approfittando anche della stabilità ritrovata delle banche e del dinamismo delle imprese. Il governo Meloni è un pericolo in questo senso: non per quello che sta facendo per l’Italia ma per quello che, viste le opportunità che ha, potrebbe non fare. Il mistero c’è. La strada per crescere pure. Basta solo volerla vedere e volerla capire. 

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.