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Viva il Mattarelloni

Che peso ha sul governo un Quirinale che dice addio alla stagione dei silenzi

Claudio Cerasa

Tra Meloni e Mattarella si è creato un doppio binario al centro del quale vi è un’intesa forte sui valori non negoziabili di una democrazia liberale e un’intesa meno forte su alcuni temi che riguardano l’ordinarietà del lavoro legislativo. Il non scontato attivismo verbale del presidente della Repubblica

All’inizio, la sua forza è stata saper dire di “no”. Oggi, la sua forza è saper dire “basta”. All’inizio, la sua forza è stata saper lasciare sul terreno di gioco dei sassolini per indicare un percorso possibile. Oggi, la sua forza è quella di fissare, sul terreno da gioco, i paletti, i macigni, invalicabili di una democrazia liberale. All’inizio, la sua forza è stata sapere trasformare anche i suoi silenzi in un messaggio politico, sono arbitro, osservo, giudico, ma resto lontano, almeno all’apparenza. Oggi, la sua forza è riuscire a dimostrare perché, di fronte a certi fatti, di fronte a certi temi, di fronte a certi problemi stare in silenzio semplicemente non si può più. Ci si può girare attorno quanto si vuole ma nel panorama politico italiano vi è un fatto nuovo a cui non eravamo più abituati e che coincide con il non scontato attivismo verbale del presidente della Repubblica Sergio Mattarella.

I più pigri, quelli cioè che cercano oggi di trasformare il capo dello stato in quello che non è, ovvero la punta di diamante dell’opposizione a Giorgia Meloni, hanno trasformato il richiamo muscolare fatto la scorsa settimana dal capo dello stato sul tema delle manganellate della Polizia a Pisa nel segno evidente che tra il Quirinale e Palazzo Chigi qualcosa si è definitivamente guastato. Il mattarellismo a corrente alternata tende inevitabilmente a mettere in evidenza l’azione del capo dello stato solo quando questa risponde all’algoritmo dell’indignazione meloniana. Ma se si osserva con un briciolo di spirito critico, e anche con qualche informazione, quello che è lo stato del rapporto tra il presidente della Repubblica e la presidente del Consiglio si noterà che tra Meloni e Mattarella si è creato un doppio binario al centro del quale vi è un’intesa forte sui valori non negoziabili di una democrazia liberale e un’intesa meno forte su alcuni temi che riguardano l’ordinarietà del lavoro legislativo. Sui fondamentali, ovvero sulla politica estera, sulla difesa dell’Ucraina, sul rapporto con la Nato, sulla relazione con gli Stati Uniti, sulla lotta contro il putinismo, sul rapporto con i partner europei, sulla difesa del diritto di Israele a esistere, sulla progressiva lontananza mostrata dalla presidente del Consiglio dalla destra estrema nelle partite che contano, l’intesa tra il presidente della Repubblica e il capo del governo è pressoché perfetta e non si può non riconoscere a Meloni, anche dal Quirinale, l’impegno mostrato dal suo governo per combattere ogni forma di fascismo contemporaneo. Rispetto alla fase attuale vissuta dall’Italia, le preoccupazioni di Mattarella, a leggere le sue parole, i suoi testi, le sue dichiarazioni, riguardano una sfera diversa al centro della quale vi sono due problemi complementari. Da una parte vi sono le preoccupazioni legate alla volontà di disinnescare ogni possibile mina capace di avvelenare il clima politico del paese e il saggio richiamo al non abuso nell’utilizzo del manganello dopo i fatti di Pisa è arrivato il giorno dopo un altro monito a cui i quotidiani che più detestano Meloni non hanno dato spazio eccessivo, quando cioè Mattarella, dopo aver visto le immagini di un manichino di cartone con le sembianze della premier bruciato in piazza, ha espresso vicinanza al capo del governo. Dall’altra parte vi sono preoccupazioni di altro tipo, che costituiscono il vero elemento di pungolo per il governo e che rappresentano la vera fonte di preoccupazione da parte del Quirinale.

Sei temi su tutti: la velocità non soddisfacente a cui viaggia il Pnrr (l’Italia ha speso 45,6 miliardi dei 101 ricevuti), la qualità non elevata di alcune nomine volute dal governo (ad aprile ci sono scelte pesanti da fare: Cdp e Fs), l’esasperazione del conflitto tra i partiti (l’antifascismo strumentale quanto intossica la politica?), la collaborazione non sempre proficua tra gli uffici di Palazzo Chigi e quelli del Quirinale (il braccio destro di Meloni a Chigi, Giovanbattista Fazzolari, anni fa considerava Mattarella “un rottame”), l’uso disinvolto della decretazione d’urgenza (il 26 maggio il capo dello stato convocò al Quirinale i presidenti delle Camere per affrontare il punto) e la scarsa responsabilità mostrata dalla maggioranza sul tema della concorrenza (vedi lettera, questa sì feroce, mandata al governo all’inizio dell’anno dopo le nuove concessioni ai balneari offerte dalla maggioranza, di fronte alle quali il capo dello stato ha manifestato “rilevanti perplessità”). I problemi ci sono, dunque, e forse qualche incomprensione c’è anche sulla riforma costituzionale, ai tempi della riforma Renzi Mattarella fece sapere di essere d’accordo, oggi non ha ancora dato modo di far sapere qual è il suo pensiero sul tema. Ma sono problemi che possono riguardare i meccanismi della quotidianità, il metodo di lavoro, il dettaglio delle leggi, la messa a punto dei provvedimenti. Sulla forma, si fa fatica. Sulla sostanza, ci si trova alla grande. E per il momento, manganelli a parte, è forse questo quello che conta. La direzione è giusta, su come arrivarci c’è ancora molto lavoro da fare. Viva il Mattarelloni.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.