Gli agricoltori di "Riscatto Agricolo" con i trattori durante la manifestazione sul "Grande Raccordo Anulare", Roma, 9 febbraio (Ansa) 

Proteste e soluzioni

Oltre i trattori. La terza via agricola di Massimo Carlotti

Marianna Rizzini

Al vertice di Terre dell’Etruria, chi è il “cooperatore” che agli slogan oppone l’azione “in sinergia"

Dal 1986 lavora nella cooperazione agricola (filiera ortofrutticola). Da molti anni vive in un mondo che gli piace, dice, ma “che rischia di implodere su se stesso”. Massimo Carlotti è il presidente di Terre dell’Etruria (quattromila imprese agricole associate), ha una lunga esperienza ai vertici di Legacoop e si sente addosso “tutta la responsabilità delle parole” in un momento in cui il termine “agricoltura” viene associato, come fosse un monoblocco unico, alla protesta dei trattori, con i suoi slogan, i suoi capi e i suoi padrini politici. E questo nonostante le differenze di opinione presenti tra chi è sceso in piazza - per non dire di chi non ha partecipato ai blocchi. Dice Carlotti: “Vorrei intanto che si smettesse di descrivere gli agricoltori o come esponenti di un mondo bucolico lontano oppure, al contrario, come avvelenatori senza scrupoli”.

 

Riavvolgendo il nastro, e guardando alla realtà italiana degli ultimi anni, Carlotti, classe 1965, cresciuto e vissuto con la famiglia tra Piombino, Cecina e Castagneto Carducci, abituato a lavorare “quindici ore al giorno come tanti agricoltori” tra Pisa, Grosseto, Livorno e una parte del senese, non vuole semplificare, non vuole gridare: “Io non sono contro qualcuno, contro chi protesta o contro chi non protesta. Io dico che il mondo agricolo è in grande sofferenza. So per esperienza diretta che la vita in campagna è dura, e che, per esempio, se hai una stalla, poi nella stalla ci devi andare, non puoi mandare un robot a controllare gli animali. E però so anche che bisogna stare attenti a quello che si dice quando si parla di pancia, se non si vuole ottenere il contrario di quello che si chiede”. Trattore avvisato, ma anche avvisati gli attori istituzionali.

  

“Non si può parlare di un’impresa agricola da trecento ettari come di una da tre”, dice Carlotti, “ci sono tante agricolture: se non le si conosce si rischia di programmare investimenti fini a se stessi. C’è molta approssimazione, addirittura sento confondere il riciclo con il riuso – ed è solo un esempio tra tanti”.

  

Al profano che osservi da fuori, Carlotti fa notare “che si parla molto di cibo, ma si fa poca educazione alimentare: non si racconta come si produce il cibo e in quali condizioni, e quali passaggi fa un prodotto per arrivare sullo scaffale. L’agricoltura riguarda territori diversissimi tra loro, si va dalle foreste al mare. L’agricoltore affronta un rischio d’impresa quotidiano, ma non si può paragonare l’agricoltore italiano a quello irlandese, non considerare se in un territorio ci sono tanti allevamenti o se in un altro si produce soprattutto vino”.

 

Parte dalla fine, Carlotti: “Penso che la soluzione alle proteste sia nell’aggregazione. Soltanto uniti possiamo sederci a un tavolo e trattare efficacemente sui dossier europei: produttori, imprese di trasformazione e distribuzione, associazioni di categoria. Io sono dalla parte dell’agricoltore che produce. Ma se si vuole essere incisivi in Europa serve la forza di tutti”. Vallo ai dire ai trattori. “Il presidente cooperatore non è un quaquaraqua”, dice Carlotti, “ma uno che capisce i problemi dell’agricoltura e che tutti i giorni si sporca la mani per dare risposte agli agricoltori in termini di ritiro e lavorazione dei prodotti e di salvaguardia dei prezzi. Viva la cooperazione agricola”.

   

Anche sull’ambiente, tema molto divisivo? “La nostra visione non contrappone l’agricoltura all’ambiente, ma propone di lavorare assieme per avere un ‘ambiente futuro’ nel quale innovazione tecnica, ricerca genetica, lotta contro il dumping sociale e ambientale nei commerci permettano ai nostri prodotti di arrivare a un prezzo equo per tutti sul mercato. Un sistema agroalimentare giusto, forte e coeso costituisce le fondamenta anche per i nuovi traguardi che la Ue si è data nella lotta contro il cambiamento climatico e sullo scenario internazionale, sempre più caratterizzato da blocchi continentali contrapposti”.

  

Chi protesta spesso addita il Green deal come nemico. “Noi non rinneghiamo le ragioni che hanno portato al Green deal”, dice Carlotti, “perché sperimentiamo quotidianamente gli effetti delle estremizzazioni climatiche che decenni fa erano state previste dai modelli scientifici, ma pensiamo che dopo la pandemia e le guerre in corso vadano rilette le priorità e analizzati con cura i fatti, a proposito della strada già percorsa dal settore in direzione della sostenibilità, oltre a rivalutare le strategie di mitigazione e adattamento. In questo senso condividiamo il dibattito proposto dal ministro Francesco Lollobrogida sul ruolo dell’agricoltore imprenditore e custode del territorio e delle risorse naturali e crediamo che questo dibattito possa essere una base d’incontro con altri portatori d’interessi, attraverso le istituzioni democratiche della Ue, per arrivare a un proficuo punto di equilibrio”.

 

In mezzo c’è però anche la campagna elettorale per le Europee, anche per il partito della premier e di Lollobrigida. “Nelle accese discussioni dei prossimi mesi”, dice Carlotti, “avremo bisogno di un mondo agricolo e cooperativo più unito e coeso per favorire le ragioni del nostro settore, consapevoli che il budget agricolo è stato pesantemente intaccato nel corso degli ultimi vent’anni anni perché si è chiesto alla Ue di svolgere nuovi ruoli e nuove politiche, mantenendo un misero 1 per cento del pil europeo. Finito il momento della rabbia, però, gli agricoltori e i cooperatori dovranno saper valutare bene chi vuole dotarsi di più risorse e strumenti per aver più forza in Europa e come Europa nel mondo, e chi delle proteste e dei blocchi racconterà strumentalmente per continuare soltanto a ‘coltivare’ sterili illusioni nazionaliste senza futuro”. Dall’altro lato, dice Carlotti, va sfatato il luogo comune “sui fondi europei all’agricoltura come regalia all’agricoltura: i cittadini europei fanno un investimento in un settore strategico, considerato anche che avremo sempre più bisogno di cibo nel mondo. E poi: il problema della transizione ecologica è anche nostro, molti agricoltori hanno investito di tasca propria, per esempio sui pannelli fotovoltaici”.

 

La grande accusata in piazza è la Pac. “La Pac non è da azzerare. Rischiamo un effetto boomerang con questa demagogia, quando invece con le tasse dei cittadini europei sono stati finanziati contributi a fondo perduto per l’acquisto di trattori e macchinari, per l’organizzazione delle filiere e per l’imprenditoria agricola giovanile. L’importante è confrontarsi sul merito, anche sull’agricoltura sostenibile, sapendo che non ovunque è possibile agire nello stesso modo”. Come si fa? “Si fissa un obiettivo e si cerca di capire come raggiungerlo nei vari territori, anche con incentivi. E si può lavorare anche per un confronto sullo sviluppo delle Tea (tecnologie di evoluzione assistita), futuro dell’agricoltura moderna, sull’uso dei biofarmaci e sul modello di gestione dell’acqua. Se si ha come obiettivo la sostenibilità ambientale, ci sono scelte non più rinviabili sul tavolo. Basta però declinarle nel modo giusto, senza negare la necessità delle stesse in uno scenario di competizione globale”.

 

Intanto c’è chi, nello stesso scenario di competizione globale, vorrebbe mettere dazi all’importazione. “Il nostro export agroalimentare vale diverse decine di miliardi di euro. Dobbiamo quindi essere in grado di competere senza pensare ai dazi all’importazione, lavorando in sinergia per contenere i costi e sviluppando al contempo l’innovazione per garantire margini crescenti di utile”.

 

I consumatori continuano però a lamentarsi per i prezzi. “Ecco, sarebbe necessario che, anche a livello europeo, si investisse sull’educazione e la formazione dei consumatori. Perché sappiano quanto costa produrre cibo buono. Se al supermercato scelgo sempre e soltanto il prezzo più basso, magari compro un prodotto più scadente con un risparmio davvero minimo: 20 o 30 centesimi in più al chilo possono voler dire una grande differenza di qualità su un prodotto”.

  • Marianna Rizzini
  • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.