(foto Ansa)

A montecitorio

Sciolto il giurì di Conte. Mulè: “Trasformati in un gioco da tavola”

Luca Roberto

Finisce con un nulla di fatto la vicenda attivata dall'ex premier. Il presidente della commissione: "Ci hanno fatto perdere due mesi di tempo. La prossima volta risolvetela per strada o tirando ai dadi". Conte: "Fuori luogo. Ha deciso Fontana"

Hanno trasformato il Giurì in un gioco da tavolo: il Giurin giurello della Camera dei deputati. Per questo piuttosto che chiederne un altro, la prossima volta consiglio ai parlamentari di risolverla o dietro un convento di monache, all’alba, in maniera un po’ più maschia. O tirando ai dadi”.  Giorgio Mulè non ha ancora finito di raccogliere gli stracci della commissione parlamentare che ha presieduto per due mesi, da oggi ufficialmente disciolta. Eppure c’è già c’è chi al Senato vuole un Giurì tutto suo. Come se la vicenda Conte-Meloni non avesse insegnato alcunché.

 

Piccolo recap: avete presente la querelle sul Mes tra la premier e il presidente del M5s? La decisione e il voto sul Fondo salva stati arrivati “con il favore delle tenebre”, il fax sventolato nell’Aula? Conte s’era rivolto al presidente della Camera per provare che Meloni lo aveva attaccato con argomentazioni false. Ma dopo le dimissioni dei due deputati di minoranza del Giurì, Filiberto Zaratti di Alleanza verdi-sinistra e Stefano Vaccari del Pd, arrivate mercoledì in polemica con i lavori della commissione che sarebbe stata poco imparziale, ha detto: “La terzietà è venuta meno”. Chiedendo allo stesso Fontana che il Giurì venisse sciolto. Cosa che quest’ultimo ha accordato oggi, solo dopo aver ringraziato Mulè per “l’accuratezza e la precisione del lavoro svolto e per la perfetta aderenza al regolamento della Camera della procedura seguita per giungere alla relazione finale”.

Così il vicepresidente di Montecitorio ha voluto spiegare in conferenza stampa come non sia “vero che nella scrittura della relazione si fossero create una maggioranza e una minoranza”. E che “per quindici pagine e mezzo su diciassette si è proceduto all’unanimità paragrafo per paragrafo. Poi non so cosa possa essere successo martedì sera, con il favore delle tenebre”. Fatto sta che con questa iniziativa, “portando via il pallone e accusandoci di parzialità, Conte ha compiuto un vero e proprio sfregio nei confronti del Parlamento”, ha aggiunto Mulè. Spiegando pure di “non aver fatto alla Meloni nemmeno gli auguri di capodanno o di compleanno” pur di mantenere un’imparzialità durante tutto il lavoro della commissione. “Glieli farò adesso, in ritardo”. Conte ha risposto: “Mulè è fuori luogo. Faccia un po’ di autocritica, volevano far vincere Meloni. Ha deciso Fontana. Il pallone ce l’aveva lui in mano”.

 

Ma dicevamo che per un Giurì che si chiude un altro potrebbe aprirsi presto. Lo ha richiesto, con un tempismo che almeno un po’ ha fatto sorridere, il senatore di Fratelli d’Italia Alberto Balboni. Scrivendo direttamente una lettera al presidente del Senato Ignazio La Russa. E difendendosi dall’accusa del capogruppo del Pd Francesco Boccia, secondo cui in commissione Affari costituzionali Balboni avrebbe detto: “Qui comando io”. Solo che a vedere com’è andata a finire alla Camera sembra quasi l’attivazione di un gioco delle parti con l’unico scopo di prendere tempo. Anche perché se si sta per arrivare alla conclusione che non ti aspetti, puoi sempre chiedere che il Giurì venga sciolto. Forse vale la considerazione che Mulè ha scelto di condividere col Foglio. “Ci hanno fatto perdere due mesi di tempo. La prossima volta meglio risolverla per strada. O tirando ai dadi”.

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