Renato Schifani (Ansa)

Il caso

In Sicilia la maggioranza si spacca un'altra volta. E adesso Schifani traballa

Ruggiero Montenegro

Dopo la legge "salva ineleggibili", l'assemblea siciliana boccia anche la riforma delle province voluta dal presidente, sotto i colpi dei franchi tiratori. Le opposizioni chiedono le dimissioni. Una crisi che rischia di non rimanere circoscritta all'isola

Ci risiamo. In Sicilia la maggioranza che sostiene, o almeno dovrebbe, il presidente Renato Schifani si è frantumata di nuovo. Ieri nel Parlamento dell'ìsola si votava un ddl per la reintroduzione delle province, una riforma su cui Schifani aveva puntato in campagna elettorale. I franchi tiratori, il voto segreto, l'hanno affossata. Così, dai 37 esponenti del centrodestra presenti in aula, arrivano solo 25 voti a favore, mentre quelli contrari sono stati in tutto 40.

E' la seconda volta in pochi giorni che il governo della Sicilia va sotto in aula. Una settimana fa era stata affossato il disegno di legge "salva-ineleggibili", proposto da Fratelli d'Italia, che avrebbe sanato la posizione di alcuni consiglieri In seguito a una sentenza di primo grado. Un passaggio dopo il quale i meloniani avevano fatto trapelare che non sarebbe finita lì. Sempre una settimana fa, divergenze in maggioranza si erano registrate anche sulle nomime dei dirigenti sanitari, sebbene la segreteria del presidente avesse spiegato come tutte le scelte fossero state condivise e le indicazioni degli alleati di maggioranza rispettate. In quell'occasione Schifani era in aula, partecipava ai lavori. E lo era anche ieri mentre si consumava la disfatta, nonostante già dalla mattinata si era intuito come il voto al provvedimento tanto caro all'ex presidente della Camera potesse trasformarsi in una trappola. Schifani ha cercato la prova di forza, spiegano dall'isola. Ma alla fine, ad emergere con forza sono state  le debolezze del presidente, a cui la maggioranza ha voluto dare un segnale chiaro.


"È in atto una stucchevole sagra delle ipocrisie", ha attaccato questa mattina Totò Cuffaro, segretario della Dc, prendendosela con quanti, nei partiti che sostengono il governatore forzista, si erano detti a favore della riforma. La componente locale di FdI parla di un voto "che lascia interdetti". Mentre la Lega, che sulle province sta portando avanti una battaglia per voce dello stesso Matteo Salvini, si dice "amareggiata". "Un’occasione persa per tutti, anche in virtù dell’accordo nazionale e regionale sul tema", mette agli atti Claudio Durigon. Per Forza Italia si tratta invece di "sconfitta della democrazia". 

Sono parole che restituiscono bene il clima che si respira all'Ars, una doppiezza sulla quale Renato Schifani rischia di capitolare. E' quello che chiede Cateno De Luca: "Non può che dimettersi. C'è di mezzo credibilità della Sicilia", ha detto il leader di Sud chiama Nord. Dichirazioni dello stesso segno sono arrivate anche da Pd e M5s. Sullo sfondo restano le dinamiche nazionali, che proprio rispetto alle scelte locali, regionali, hanno svelato tensioni nella maggioranza che governa a Roma. Il caso della Sardegna è stato emblematico. Schifani intanto sembra non voler mollare, ma è chiaro che se davvero dovesse cadere la giunta in Sicilia, la crisi potrebbe non rimanere circoscritta al territorio. E tra poco Lega, FI e FdI dovranno rimettersi al tavolo per le candidature dei governatori in Abruzzo, Basilicata e Piemonte. 

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