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L'intervista

“Bigon? Le sanzioni non servono. Sul fine vita meglio seguire Zaia”. Parla Cappato

Francesco Gottardi

“Se i politici vogliono impegnarsi lottando davvero al nostro fianco, sono i benvenuti. Ma le sanzioni disciplinari contro i singoli in dissenso, magari anche no. Soprattutto se manca una linea di partito”, dice il tesoriere dell'Associazione Luca Coscioni 

Peggio la toppa del buco. Una consigliera del Pd fa naufragare la legge sul fine vita in Veneto, poi viene degradata dai suoi stessi dirigenti. “Questa vicenda rischia di distogliere l’attenzione dal vero tema: cosa riesce a fare un partito per la società”. Cioè poco e male, ultimamente in casa dem. L’ammonizione arriva dritta da Marco Cappato, punto di riferimento per l’attivismo civico e tesoriere dell’Associazione Luca Coscioni – da cui è partita la proposta normativa. “Se i politici vogliono impegnarsi lottando davvero al nostro fianco, sono i benvenuti. Ma le sanzioni disciplinari contro i singoli in dissenso, pronti a farsi martiri, magari anche no. Soprattutto se manca una linea di partito”.


Il nome di Anna Maria Bigon – l’amministratrice dem nell’occhio del ciclone – Cappato non lo fa mai. “E vi spiego perché”, dice al Foglio. “Le nostre campagne sul territorio hanno coinvolto tanti militanti del Pd a cui non voglio togliere nulla. Ma i vertici risentono tuttora di una pluridecennale cautela: non dimentico il silenzio di Letta sul referendum per l’eutanasia”. Con Schlein al timone sta cambiando musica? “Le scrissi il giorno dopo la sua elezione: è ora di trasformare il posizionismo storico in azioni concrete. Così l’individuo che vota in direzione opposta alla maggioranza sarebbe irrilevante”. E invece lo sgambetto di Bigon diventa un caso nazionale. “Affermare che abbiano punito lei per pulirsi la coscienza è eccessivo: non so nemmeno se sia stata un’iniziativa di Schlein. Ma vedo reazioni spropositate. La consigliera non è stata mica espulsa: rimuoverla dalle funzioni dirigenziali di una sezione provinciale non mi sembra una purga staliniana”.


Però è uno specchio per le allodole. “E riflette scarsa sincerità. A me dei proclami interessa poco”, sottolinea Cappato. “Guardo alla sostanza e all’opportunità: noi stiamo presentando questa stessa legge in 20 regioni, alcune delle quali governate dal Pd. Invece di arrovellarsi su una consigliera, cerchiamo di capire come riuscire a realizzare quel che in Veneto non è passato. Nonostante l’impegno dell’amministrazione locale”. Se su Schlein “il giudizio è sospeso”, l’ex radicale applaude Luca Zaia. “Lui sì che si è speso in prima persona”. Lui. “Il governatore è stato metodologicamente chiaro, ha spinto sui contenuti e fatto tutto il possibile sul piano normativo. Ma alla regione spetta ancora un ruolo importante: se una persona chiede di essere aiutata a morire, anche in attesa di una legge ad hoc, è la giunta a poter stabilire le procedure per attivare il diritto. E cioè a dettare i tempi di risposta delle asl”.  


Resta però una duplice constatazione. Quel Pd che dovrebbe essere il faro dei progressisti italiani si è fatto dare una lezione da pezzi di Lega. Quello stesso Pd che si erge a officina di pluralismo è andato in tilt per un voto di coscienza. Comunque la si guardi, una Caporetto – il lessico della sconfitta, quello sì tiene insieme i dem. “Un partito non dev’essere strumento di uniformazione del pensiero”, conviene l’attivista. “Dei collanti valoriali però ci vogliono: sul fine vita significa scegliere la laicità o meno. E mica in comizio, ma sul campo. Abbiamo già ottenuto leggi sull’interruzione delle terapie e sul testamento biologico: vinceremo anche questa battaglia. Con o senza Pd. Che a riguardo non ha ancora dimostrato impegno univoco”.


Cappato parla per esperienza diretta: soltanto pochi mesi fa il suo nome sfidava quello di Adriano Galliani per il seggio vacante del Cav. in Senato. “C’è chi si è schierato al mio fianco e chi invece no. Il sindaco di Monza in quota dem ha scelto un messaggio evidente: scheda bianca”. E Forza Italia ringrazia. “Mi ero candidato senza chiedere l’appoggio preventivo, figuriamoci se invoco la disciplina interna. Non è questione di legittimità, ma di valutazioni politiche. Ieri come oggi. Dunque il Pd si guardi dentro. Si domandi da che parte stare. E stabilisca cosa sia divisivo e cosa no”. Ce n’è abbastanza per finire in analisi. Nel dubbio, il paziente dem si stende sul lettino ma poi sta zitto: scheda bianca pure per Freud.